Il figlio della vedova
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Il figlio della vedova
Può accadere ogni cosa nella bruna osteria,
può accadere che fuori sia un cielo di stelle,
al di là della nebbia autunnale e del mosto.
Può accadere che cantino dalla collina
le arrochite canzoni sulle aie deserte
e che torni improvvisa sotto il cielo d’allora
la donnetta seduta in attesa del giorno.
Tornerebbero intorno alla donna i villani
dalle scarne parole, in attesa del sole
e del pallido cenno di lei, rimboccati
fino al gomito, chini a fissare la terra.
Alla voce del grillo si unirebbe il frastuono
della cote sul ferro e un piú rauco sospiro.
Tacerebbero il vento e i brusii della notte.
La donnetta seduta parlerebbe con ira.
Lavorando i villani ricurvi lontano,
la donnetta è rimasta sull’aia e li segue
con lo sguardo, poggiata allo stipite, affranta
dal gran ventre maturo. Sul volto consunto
ha un amaro sorriso impaziente, e una voce
che non giunge ai villani le solleva la gola.
Batte il sole sull’aia e sugli occhi arrossati
ammiccanti. Una nube purpurea vela la stoppia
seminata di gialli covoni. La donna
vacillando, la mano sul grembo, entra in casa.
Donne corrono con impazienza le stanze deserte
comandate dal cenno e dall’occhio che, soli,
di sul letto le seguono. La grande finestra
che contiene colline e filari e il gran cielo,
manda un fioco ronzio che è il lavoro di tutti.
La donnetta dal pallido viso ha serrate le labbra
alle fitte del ventre e si tende in ascolto
impaziente. Le donne la servono, pronte.