Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante/I Vita di Dante/VII. Digressione sul matrimonio

I Vita di Dante - VII. Digressione sul matrimonio

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[p. 14 modifica] comeché egli poco, mentre questa vita cosí lagrimosa durò, altrui che ad amici veder si lasciasse.

Questa compassione e dubitanza di peggio facevano li suoi parenti stare attenti a’suoi conforti; li quali, come alquanto videro le lagrime cessate e conobbero li cocenti sospiri alquanto dare sosta al faticato petto, con le consolazioni lungamente perdute rincominciarono a sollecitare lo sconsolato; il quale, come che infino a quella ora avesse a tutte ostinatamente tenute le orecchie chiuse, alquanto le cominciò non solamente ad aprire, ma ad ascoltare volentieri ciò che intorno al suo conforto gli fosse detto. La qual cosa veggendo i suoi parenti, accioché del tutto non solamente de’ dolori il traessero, ma il recassero in allegrezza, ragionarono insieme di volergli dar moglie; accioché, come la perduta donna gli era stata di tristizia cagione, cosí di letizia gli fosse la nuovamente acquistata. E, trovata una giovane, quale alla sua condizione era deeevole, con quelle ragioni che piú loro parvero induttive, la loro intenzion gli scoprirono. E, accioché io particolarmente non tocchi ciascuna cosa, dopo lunga tenzone, senza mettere guari di tempo in mezzo, al ragionamento segui l’effetto: e fu sposato.

VII

DIGRESSIONE SUL MATRIMONIO

Oh menti cieche, oh tenebrosi intelletti, oh argomenti vani di molti mortali, quanto sono le riuscite in assai cose contrarie a’ vostri avvisi, e non sanza ragion le piú volte! Chi sarebbe colui che del dolce aere d’Italia, per soperchio caldo, menasse alcuno nelle cocenti arene di Libia a rinfrescarsi, o dell’isola di Cipri, per riscaldarsi, nelle eterne ombre de’ monti Rodopei? qual medico s’ingegnerá di cacciare l’aguta febbre col fuoco, o il freddo delle medolla dell’ossa col ghiaccio o con la neve? Certo, niuno altro, se non colui che con nuova moglie crederá l’amorose tribulazion mitigare. Non conoscono quegli, che ciò [p. 15 modifica] credono fare, la natura d’amore, né quanto ogni altra passione aggiunga alla sua. Invano si porgono aiuti o consigli alle sue forze, se egli ha ferma radice presa nel cuore di colui che ha lungamente amato. Cosí come ne’ principi ogni picciola resistenza è giovevole, cosí nel processo le grandi sogliono essere spesse volte dannose. Ma da ritornare è al proposito, e da concedere al presente che cose sieno, le quali per sé possano l’amorose fatiche fare obliare.

Che avrá fatto però chi, per trarmi d’un pensiero noioso, mi metterá in mille molto maggiori e di piú noia? Certo niuna altra cosa, se non che per giunta del male che m’avrá fatto, mi fará disiderare di tornare in quello, onde m’ha tratto; il che assai spesso veggiamo addivenire a’ piú, li quali o per uscire o per essere tratti d’alcune fatiche, ciecamente o s’ammogliano o sono da altrui ammogliati; né prima s’avveggiono, d’uno viluppo usciti, essere intrati in mille, che la pruova, sanza potere, pentendosi, indietro tornare, n’ha data esperienza. Dierono gli parenti e gli amici moglie a Dante, perché le lagrime cessassero di Beatrice. Non so se per questo, comeché le lagrime passassero, anzi forse eran passate, si passò l’amorosa fiamma; ché noi credo; ma, conceduto che si spegnesse, nuove cose e assai poterono piú faticose sopravvenire. Egli, usato di vegghiare ne’ santi studi, quante volte a grado gli era, cogl’imperadori, co’ re e con qualunque altri altissimi prencipi ragionava, disputava co’ filosofi, e co’ piacevolissimi poetisi dilettava, e l’altrui angosce ascoltando, mitigava le sue. Ora, quanto alla nuova donna piace, è con costoro, e quel tempo, ch’ella vuole tolto da cosí celebre compagnia, gli conviene ascoltare i femminili ragionamenti, e quegli, se non vuol crescer la noia, contra il suo piacere non solamente acconsentir, ma lodare. Egli, costumato, quante volte la volgar turba gli rincresceva, di ritrarsi in alcuna solitaria parte e, quivi speculando, vedere quale spirito muove il cielo, onde venga la vita agli animali che sono in terra, quali sieno le cagioni delle cose, o premeditare alcune invenzioni peregrine o alcune cose comporre, le quali appo li futuri facessero lui morto viver per fama; ora non solamente [p. 16 modifica] dalle contemplazioni dolci è tolto quante volte voglia ne viene alla nuova donna, ma gli conviene essere accompagnato di compagnia male a cosí fatte cose disposta. Egli, usato liberamente di ridere, di piagnere, di cantare o di sospirare, secondo che le passioni dolci e amare il pungevano, ora o non osa, o gli conviene non che delle maggiori cose, ma d’ogni picciol sospiro rendere alla donna ragione, mostrando che ’l mosse, donde venne e dove andò; la letizia cagione dell’altrui amore, la tristizia esser del suo odio estimando. Oh fatica inestimabile, avere con cosí sospettoso animale a vivere, a conversare, e ultimamente a invecchiare o a morire! Io voglio lasciare stare la sollecitudine nuova e gravissima, la quale si conviene avere a’ non usati (e massimamente nella nostra cittá), cioè onde vengano i vestimenti, gli ornamenti e le camere piene di superflue dilicatezze, le quali le donne si fanno a credere essere al ben vivere opportune; onde vengano li servi, le serve, le nutrici, le cameriere; onde vengano i conviti, i doni, i presenti che fare si convengono a’ parenti delle novelle spose, a quegli che vogliono che esse credano da loro essere amate; e appresso queste, altre cose assai prima non conosciute da’ liberi uomini; e venire a cose che fuggir non si possono. Chi dubita che della sua donna, che ella sia bella o non bella, non caggia il giudicio nel vulgo? Se bella fia reputata, chi dubita che essa subitamente non abbia molti amadori, de’ quali alcuno con la sua bellezza, altri con la sua nobiltá, e tale con maravigliose lusinghe, e chi con doni, e quale con piacevolezza infestissimamente combatterá il non stabile animo? E quel, che molti disiderano, malagevolmente da alcuno si difende. E alla pudicizia delle donne non bisogna d’essere presa piú che una volta, a fare sé infame e i mariti dolorosi in perpetuo. Se per isciagura di chi a casa la si mena, fia sozza, assai aperto veggiamo le bellissime spesse volte e tosto rincrescere; che dunque dell’altre possiamo pensare, se non che, non che esse, ma ancora ogni luogo nel quale esse sieno credute trovare da coloro, a’ quali sempre le conviene aver per loro, è avuto in odio? Onde le loro ire nascono, né alcuna fiera è piú né tanto crudele [p. 17 modifica] quanto la femmina adirata, né può viver sicuro di sé, chi sé commette ad alcuna, alla quale paia con ragione esser crucciata; che pare a tutte.

Che dirò de’ loro costumi? Se io vorrò mostrare come e quanto essi sieno tutti contrari alla pace e al riposo degli uomini, io tirerò in troppo lungo sermone il mio ragionare; e però uno solo, quasi a tutte generale, basti averne detto. Esse immaginano il bene operare ogni menomo servo ritener nella casa, e il contrario fargli cacciare; per che estimano, se ben fanno, non altra sorte esser la lor che d’un servo: per che allora par solamente loro esser donne, quando, male adoperando, non vengono al fine che’ fanti fanno. Perché voglio io andare dimostrando particularmente quello che gli piú sanno? Io giudico che sia meglio il tacersi che dispiacere, parlando, alle vaghe donne. Chi non sa che tutte l’altre cose si pruovano, prima che colui, di cui debbono esser, comperate, le prenda, se non la moglie, accioché prima non dispiaccia che sia menata? A ciascuno che la prende, la conviene avere non tale quale egli la vorrebbe, ma quale la fortuna gliele concede. E se le cose che di sopra son dette son vere (che il sa chi provate l’ha), possiamo pensare quanti dolori nascondano le camere, li quali di fuori, da chi non ha occhi la cui perspicacitá trapassi le mura, sono reputati diletti. Certo io non affermo queste cose a Dante essere avvenute, ché noi so; comeché vero sia che, o simili cose a queste, o altre che ne fosser cagione, egli, una volta da lei partitosi, che per consolazione de’ suoi affanni gli era stata data, mai né dove ella fosse volle venire, né sofferse che lá dove egli fosse ella venisse giammai; con tutto che di piú figliuoli egli insieme con lei fosse parente. Né creda alcuno che io per le su dette cose voglia conchiudere gli uomini non dover tórre moglie; anzi il lodo molto, ma non a ciascuno. Lascino i filosofanti lo sposarsi a’ ricchi stolti, a’ signori e a’ lavoratori, e essi con la filosofia si dilettino, molto migliore sposa che alcuna altra. G. Boccaccio, Scritti danteschi - 1. 2