Il buon cuore - Anno X, n. 37 - 9 settembre 1911/Beneficenza

Beneficenza

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Il buon cuore - Anno X, n. 37 - 9 settembre 1911 Educazione ed Istruzione

[p. 289 modifica]Beneficenza


Il secondo Congresso degli italiani all’estero


Relazione dell’ITALICA GENS


(Continuazione, vedi n. 36).


E dopo aver accennato a tante difficoltà cui vanno incontro le scuole italiane in Argentina soggiunge:

«E temo forte che se da un lato le lotte sono finite e le gelosie nativiste sopite, continuino a fare il vuoto attorno alle scuole italiane l’indifferenza della maggioranza e l’orgoglio dei figli degli italiani imbevuti di un fanatismo chauviniste, che non dovrebbe sussistere in un paese arricchitosi col lavoro italiano e in mezzo a giovani che devono al sangue italiano la parte più sana e più feconda delle loro energie.

«Il confronto tra la popolazione scolastica del 1904 quale risulta dalla monografia del Martignetti, e quella registrata dall’Annuario delle scuole all’estero del 1910 è addirittura sconfortante: nel 1904 le sole scuole laiche dell’Argentina contavano 5731 iscritti, mentre nel 1910 questa cifra si presenta quasi dimezzata, perchè i 6077 alunni registrati dall’Annuario sono dati da 38 scuole laiche, e da 82 scuole confessionali.

«E si tratta della più potente delle colonie che l’Italia può annoverare con legittimo orgoglio nel nuovo mondo!».

Nè le cose, prosegue il relatore, vanno meglio nel Cile, dove la lingua italiana va scomparendo nelle famiglie di origine italiana, dove se ancora i padri venuti dall’Italia hanno tuttavia qualche palpito per ciò che rammenta loro la patria, ciò non è compreso dai figli e dalle donne, che disprezzano o mettono in ridicolo quei sentimenti.

La situazione è alquanto migliore nel Brasile, dove si hanno scuole di italiano in numero discreto, ma la qualità e l’efficacia di esse lasciano molto a desiderare, specialmente nelle grandi città. Il Congresso, seguendo il pensiero del relatore, ha insistito in modo speciale sulla necessità che sorgano nei principali centri sudamericani scuole medie nelle quali sia possibile ai fanciulli che escono dalle scuole primarie italiane, continuare su basi italiane la formazione della loro coltura: ed ha fatto vivo plauso a quei privati che in S. Paolo del Brasile ed in Santiago del Cile, elargendo forti somme, si sono fatti propugnatori di due di tali istituti che fra non molto dovranno incominciare a funzionare.

Riguardo all’America del Nord ha fatto una serena e lucida esposizione dello stato di fatto il R. Viceconsole avv. Giuseppe Gentile; egli considera il problema della diffusione della coltura e della lingua italiana negli Stati Uniti diviso in tre campi, secondo che si riferisca agli italiani emigrati, ai figli loro nati colà od emigrati da piccoli, ed agli americani.

Ben poco crede il relatore che si possa ottenere dalle scuole per adulti negli Stati Uniti, perchè l’emigrato è troppo assorbito dal lavoro per aver tempo di andare a imparare la lingua italiana in terra straniera: molto invece si può influire sugli adulti per mezzo dei giornali, che costituiscono un vero bisogno laggiù per qualunque classe di persone, colle biblioteche e colle conferenze, nei quali sistemi gli stessi americani si presterebbero ad aiutarci per mezzo delle medesime loro istituzioni. Riguardo ai figli di italiani nati o residenti fino da piccoli negli Stati Uniti, si osserva, che sebbene soggetti ad una completa americanizzazione, pure la scuola italiana può portare grande vantaggio, non foss’altro esercitando la loro influenza perchè essi non diventino avversi a ciò che è italiano, cosa che permetterà poi loro di frequentare le università italiane e di conservare legami colla patria di origine.

Esclusa la scuola puramente nazionale, che non darebbe pratici risultati, che anche dagli stessi tedeschi [p. 290 modifica]ha dovuto essere abbandonata, sia per l’opposizione delle autorità, sia per difficoltà tecniche e finanziarie, sia perchè non piacerebbe nè ai genitori nè ai fanciulli; dei resultati — sebbene a nostro parere di importanza assai relativa — si possono avere invece sia facendo ammettere la nostra lingua come materia d’insegnamento nelle pubbliche scuole, ciò che già fu ottenuto, ma di cui per ora ben poco ci si valse per mancanza di alunni che ne abbiano voluto approfittare, sia in qualche caso, si prestino allo scopo scuole sostenute da società filantropiche americane, come attualmente quelle della «Children aid society». Sulle scuole parrocchiali il relatore così si è pronunziato:

«Le scuole parrocchiali italiane sono quelle che più di tutte hanno sinora curato l’insegnamento della nostra lingua negli Stati Uniti. Il clero italiano dopo aver seguito numeroso il flusso dell’emigrazione, è andato man mano istituendo scuole parrocchiali un po’ dapertutto nelle nostre colonie.

«Queste scuole, affidate generalmente a qualche ordine religioso, seguono quasi tutti i programmi scolastici americani: ma parecchie di esse impartiscono anche l’insegnamento abbligatorio o semplicemente facoltativo, della lingua italiana.

«È d’uopo fare omaggio allo zelo di quei sacerdoti i quali in remote colonie agricole, là ove appena rudimentale è ogni organizzazione sociale, s’incaricano di conservare la lingua ed i patri costumi tra quei nostri poveri emigrati, meravigliosi nel dissodare e coltivare terreni vergini e spesso malsani. Ammirevole è altresì l’esempio del Padre Caruso, il quale, per difendere l’insegnamento obbligatorio della lingua italiana nella scuola parocchiale del «Buon Consiglio» in Filadelfia (frequentata da circa 1300 fanciulli italiani) contro le opposizioni del locale ispettore scolastico, non esitò a ricorrere alle competenti autorità in Washington, le quali dovettero riconoscere il suo buon diritto. In generale però, e su ciò son concordi i rapporti dei Regi Agenti, l’insegnamento dell’italiano nelle scuole parrochiali (ed in genere in tutte le scuole) è impartito in modo frammentario e del tutto insufficiente. Non è la volontà che faccia difetto, ma mancano quasi sempre i mezzi finanziari adeguati ed un programma organico d’insegnamento».

(Continua).

R. Venerosi.

PAGLIUZZE D'ORO


Quando si tratta di deformità del prossimo, l’uomo sano, l’uomo ben conformato, l’uomo che si crede perfetto, è sempre pronto e disposto... a metterle in ridicolo. I ciechi, i ciechi soli, fanno eccezione alla regola. La cecità non è fonte di riso.

Ei non sono se non i contentissimi, i pienamente soddisfatti, i non desiderosi di nulla per la patria, i quali debbano difendere su tutto i maggiori, su tutto i contemporanei, per procacciare un tutto simile ai nepoti.