Il buon cuore - Anno IX, n. 29 - 16 luglio 1910/Religione

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Educazione ed Istruzione Società Amici del bene

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Vangelo della domenica nona dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.

In quel tempo, mentre intorno a Gesù si affollavano le turbe per udire la parola di Dio, egli se ne stava presso il lago di Genezaret. E vide due barche ferme a riva del lago: e ne erano usciti i pescatori, e lavavano le reti. Ed entrato in una barca, che era quella di Simone, lo richiese di allontanarsi alquanto da terra. E stando a sedere, insegnava dalla barca alle turbe. E finito che ebbe di parlare, disse a Simone: Avanzati in alto, e gettate le vostre reti per la pesca. E Simone gli rispose, e disse: Maestro, essendoci noi affaticati per tutta la notte, non abbiamo preso nulla: nondimeno sulla tua parola getterò le reti. E fatto che ebber questo, raccolsero grande quantità di pesci: e si rompeva la loro rete. E fecero segno ai compagni, che erano in altra barca, che andassero ad aiutarli. Ed andarono, ed empirono ambedue le barchette, di modo che quasi si affondavano. Veduto ciò, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù dicendo: Partiti da ine, Signore, perchè io son uomo peccatore. Imperocchè ed egli, e quanti si trovavan con lui eran restati stupefatti dalla pesca che avevan fatta di pesci. E lo stesso era di Giacomo e di Giovanni figliuolo di Zebedeo, compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: Non temere: da ora innanzi prenderai degli uomini. E tirate a riva le barche, abbandonata ogni cosa, lo seguirono.

S. LUCA, Cap. 5.


Pensieri.

«..... intorno a lui s’affollava la gente per udir la parola di Dio...».

Io non so staccare il mio pensiero da Gesù. che attraeva tante anime intorno a sè con il fascino della sua parola e medito, commosso, sulla sollecitudine, la premura con cui le anime s’assiepavano intorno al maestro divino.... Esulto, sentendo Gesù vivo oggi, come ieri, come domani, vivo fra noi con il suo spirito per rispondere al bisogno delle anime anelanti all’eterno.... Quante ce ne sono di queste anime che, sulla terra, vivon come straniere, sospirando la patria e che unico conforto, unico sollievo nel loro pellegrinaggio terreno, trovano nella parola degli uomini del Signore!

Esse son vigili nell’attesa, e quando l’uomo divino compare accorrono come i cervi alla sorgente; si riaprono come i fiori chini e chiusi per il freddo notturno, si spiegano ai tepidi raggi del sole....

Non tutte le ore sono quelle della letizia: ora la grazia viene a noi quale fiume maestoso, ora come uno sgocciolio tra rupe e rupe....

E le anime ora se ne abbeverano; ora la invocano, raccogliendo le stille sparse come per miracolo, sul terreno arido e riarso....

Che convito di grazia, quando apparve Gesù!

E come quella festa si rinnovella ogni volta che un santo vien sulla terra!....

Che cosa predicava Gesù?

Che diceva di inusitato, di nuovo, di consolante per farsi ascoltare, per farsi seguire dalle turbe?

Egli annunziava il Regno di Dio: la pace nella povertà; la beatitudine nel dolore. Gesù diceva l’esperienza sua personale e la sua parola vissuta faceva vivere le anime!

Noi, tutti quanti fra noi, lavoriamo per l’educazione morale e spirituale dei fratelli, convinciamoci che a nulla riusciremo, che non muteremo un’anima, se non parleremo una parola nostra, intimamente e profondamente nostra, frutto della nostra esperienza, anima e vita dell’anima e della vita nostra!

Le belle parole e i ragionamenti non valgono a nulla senza questo foco interiore! È necessario che il nostro spirito sia tutto ardore, che vibri, che frema; è necessario che la parola non sia involucro che chiuda il vuoto, ma espressione nella quale il pensiero trova un mezzo di comunicarsi, sebbene non appieno, sebbene non esaurientemente.... Bisogna sentirci nell’incapacità di dire, e dopo aver detto tutto e non saper dir di più, trovarci ancora ricolmi e nell’impotenza di ridare [p. 229 modifica]intima persuasione, l’interno amore... e umili e fidenti abbandonarci a Dio, perchè completi Lui l’opera cominciata in Lui, per Lui....

Quando si parla così si comunica con le anime e le anime rispondono — si sente — e si sente Dio che opera, che è presente, che benedice e perfeziona l’opera nostra, quell’opera ch’Egli comincia per mezzo nostro, e che ci fa vedere così bene non è opera nostra!

Queste son le ore di commozione profonda, di intensa gioia che dà l’apostolato del bene, del vero....

Ogni sacerdote, ogni genitore, ogni cristiano le dovrebbe sapere! È così?

Il passo evangelico che oggi è proposto alla nostra meditazione è d’una ricchezza inesauribile: soffermiamoci ancora su un altro versetto. Dopo aver narrato della pesca miracolosa noi leggiamo che: Simon Pietro si gettò a’ ginocchi di Gesù, dicendo: Signore, scostati da me, che son uomo peccatore.

Il successo non lo inorgoglisce, lo umilia. L’uomo religioso sa ch’egli non può nulla senza il Signore: ogni riuscita sente presente Dio, e davanti a Lui si umilia, si fà piccino, si annienta!

Oh, noi siamo troppo terreni, troppo pieni di noi per capire l’umiltà prodigiosa dei santi e, quando qualcosa ce ne appare, restiamo come storditi! La luce del cielo è troppo vivida alle nostre pupille erranti sempre per le bassure della terra! Eppure noi siamo cristiani! Scuotiamoci, gettiamo le nostre piccole reti nel nostro piccolo mare, gettiamole nel nome di Dio, e quando un pò di bene ne viene, eleviamoci a Dio, inabissiamoci davanti a Lui.... invochiamo che qualcosa di Lui — che si serve di noi — che ci fa suoi strumenti, resti anche a noi.... Oh, se ogni piccola nostra vittoria buona ci umiliasse e santificasse così! Che lo spirito di Cristo rinnovi anche con noi i prodigi che ha operato negli apostoli, che opera nei Santi!

La Contessa MARIA DAL VERME CORNAGGIA


Improvviso come la folgore ci è giunto l’annuncio della morte repentina della contessa Maria Dal Verme Cornaggia, così espressoci da una distinta amica e collega della defunta nelle opere di carità delle Dame di S. Vincenzo: «Sono indicibilmente impressionata dalla morte della contessa Dal Verme. Fui a vedere quella salma, a pregare per quell’anima santa, che io penso già nella gloria; ma la fulmineità del fatto mi ha come sgomenta».

L’avevamo veduta qualche giorno prima in partenza per il suo luogo di riposo in Merate. Gentile, soave come sempre, ci aveva parlato del problema ognor più difficile della carità che tanto la preoccupava, e ad un nostro complimento sul gran bene che ella faceva tra i poveri, così ci aveva risposto: «Non ho nessun merito del poco che faccio, perchè sono sostenuta da una salute a tutta prova».

Così fu un vero lampo il separarsi della sua bella anima, la quale, benchè trattenuta quaggiù da santi affetti famigliari, istantaneamente si disciolse per rispondere a chiamata divina.

Nobile nel più squisito senso della parola, educata a tutte le finezze della società eletta, gentile con tutti, umile specialmente cogli umili, la contessa Maria Dal Verme suscitava profonde simpatie colla dolcezza innata, colla frase incisiva e insinuante, colla voce armoniosa, che aveva tutta l’espressione di una bontà incomparabile.

Fu madre ai poveri per impulso del cuore, per tradizioni famigliari, e fu pure gentildonna intelligente, che non trascurò mai gli ardui problemi sociali, e si occupò quindi dell’istruzione del popolo, delle opere di culto, di molte istituzioni tendenti a migliorare le condizioni morali e materiali dei lavoratori, nonchè della cosa pubblica, seguendo con fervidi voti l’opera illuminata dell’illustre fratello, il conte Carlo Ottavio Cornaggia, deputato al Parlamento.

I funerali, celebratisi in Merate colla voluta semplicità, riuscirono solenni e commoventi come vero plebiscito d’amore.

Sulla facciata della Chiesa, leggevasi questa sintesi delle virtù che adornavano la cara defunta:

iddio giusto e misericordioso

accolga nell’eterna requie

l’anima cristianamente pia

della contessa

MARIA DAL VERME CORNAGGIA MEDICI

moglie madre esemplare

che alle pratiche devote

associava la beneficenza operosa intelligente

presidente attivissima

delle dame di s. vincenzo

Al Cimitero, il rev. mons. Ermenegildo Pogliani, quale direttore della Società delle Dame di S. Vincenzo, mise in bella luce le doti della defunta con un discorso che qui riassumiamo:

«La morte della contessa Maria Dal Verme per la Società delle Dame di S. Vincenzo non è un lutto, è una sventura. Successa col plauso unanime delle consocie all’egregia contessa Cornaggia, sua ottima madre, era stata della Società una delle confondatrici e l’anima intelligente per lunghi anni, ella coadunava in sè tutte le doti che si richieggono ad un onere di tanta importanza. Prontezza di rilievo, soavità di tratto, facile accondiscendenza, gentilezza squisita col ricco, cordialità materna col povero, generosità di sacrificio e una reverenza profonda al principio di autorità, che da qualche emancipato si sarebbe detta timidezza.

«Non è facile presiedere ad un’accolta di oltre 500 signore, delle quali non poche ricche di censo e di intelligenza, forti di una volontà propria, senza mai destare la più piccola suscettibilità. Accostarsi al povero, anche quando gli si deve dare un rifiuto; rispondere alle esigenze impellenti delle suore, delle visitatrici, trattare con parroci, direttori di istituti e di ricoveri, sempre tranquilla, serena, equanime, in ogni prospera e penosa contingenza; precedere coll’esempio: temprare [p. 230 modifica]fino la forma di una espressione pel timore di avere anche involontariamente recato un’offesa — erano queste le doti rare dell’amatissima nostra presidente. — La Società delle Dame di S. Vincenzo sotto il suo governo si ingigantì, prosperò direi quasi miracolosamente. Lo attesta il numero cospicuo delle nuove ascritte e la ricchezza di un bilancio, che dalla sua rigida esposizione rivela tutto un lavoro di grazia e d’amore.

«Ma d’onde mai ella traeva tanta forza, se la stessa affigurazione del suo carattere morale, non era quale da natura fu dotata, ma frutto di una lotta soggettiva, acre e continua per contenere ogni scatto, per disciplinarsi a remissività anche quando le vedute altrui non erano le sue? Ai piedi degli altari santi, in un’ascetica ben intesa, fortemente sentita, trovò il segreto della sua forza.

«Ella era davvero una dama di carità, quale il santo fondatore Vincenzo de’ Paoli l’ebbe tratteggiata.

«Deh, perchè cosi presto il Signore ti ha tolta da noi? Ma nella tomba non si estingue la vita. Dei giusti è detto che le loro ossa pulluleranno dai loro sepolcreti e parleranno anche dopo morte.

«E tu parlerai a noi il linguaggio eloquente dell’amore! Porteremo il tuo saluto al povero, che ti piange, perchè colle sue preci ti affretti il cielo; scolpiremo il tuo nome indelebile nella nostra memoria e se oggi, per aderire al tuo desiderio nobile e cristiano, non abbiamo portato fiori, inghirlanderemo la tua tomba di fiori che non avvizziscono. Nelle nostre plenarie adunanze, fra i nostri privati consigli, alle nostre fiere di beneficenza, ad ogni nuova espansione dell’opera, penseremo a te, ti offriremo come corona il frutto di tua semente. E tu appo Dio prega per noi e ne consola».

Altri discorsi affettuosi ed eloquenti nell’enumerazione di fatti parlanti furono pronunciati dal rev. sacerdote Tanzi e da una signorina della parrocchia di S. Maria alla Porta. I sentimenti degli abitanti di Merate furono espressi con calda parola da un coadjutore, D. Elia Caversasio, il quale dimostrò come la contessa Maria Dal Verme intensificasse ed estrinsecasse efficacemente anche in campagna la sua opera benefica, facendosi amare da tutti quale protettrice dei poveri, dei malati, dei deboli e di ogni opera tendente a lenire le miserie dei colpiti dalla sventura.

Quante lacrime intorno a quella bara! Indicibili erano le espressioni di dolore delle Dame di S. Vincenzo, intervenute in gran numero. Le Signore del Consiglio direttivo, non avendo potuto, in ossequio alla volontà della defunta, portare alla loro amata Presidente un tributo di fiori, onoreranno la sua memoria a seconda dello spirito dell’eletta benefattrice, cioè elargiranno un’offerta alla Società per i bisogni più incalzanti della prossima invernata.

Nonostante il succedersi turbinoso delle vicende, il ricordo della contessa Maria Dal Verme sarà duraturo. La ricorderanno le benefattrici a Lei collegate nelle opere buone, e la ricorderanno i beneficati nei richiami della carità delle Dame di S. Vincenzo. La ricorderanno pure le buone Suore, che riguardavano la pia gentildonna come perno dell’associazione, e La ricorderemo anche noi, che, da queste colonne, con cuore affezionato, esprimiamo le nostre condoglianze a tutti i superstiti in lacrime, ancor trasognati per la repentina scomparsa dell’eletta Creatura.

A. M. C.

L’editore Cav. PAOLO CARRARA.

Dopo lunghe sofferenze, martedì mattina, assistito da’ suoi cari, coi conforti della Fede, è spirato il noto editore cav. Paolo Carrara.

Questo nome ci rammenta una bella epoca letteraria, l’epoca in cui non mancavano degni discepoli della scuola manzoniana, di cui il Carrara fu convinto ed efficace fautore.

Egli, infatti, fu editore dello Stoppavi pei Primi anni di Manzoni, e fu pure editore di Giulio Tarra, di Felicita Morandi e di tanti altri benemeriti della letteratura educativa.

Naturalmente il Carrara rimpiangeva la bella epoca tramontata e protestava contro le pubblicazioni immorali, specialmente contro i periodici divulgatori di scandali. Il nostro memore saluto all’ottimo editore; le nostre amichevoli condoglianze al figlio Pietro, affettuoso e fedele continuatore delle tradizioni paterne.

A. M. C.

EDOARDO BURGUIÈRES

fu un giovine del quale non è esagerazione il dire che amò la terra solo perchè amava il cielo. La sua breve vita trascorse tra il collegio, la famiglia e il lavoro. Abborriva l’ozio; amava la sua famiglia di un amore di nostalgia, e lì solamente, coi suoi cari, e specialmente con la mamma, si trovava bene; tanto che non sentì mai il bisogno di compagni.

Ebbe un istintivo abborrimento al male e in modo particolare, a quella forma di male, che tra i giovani pare inevitabile. La sua fisonornia era abitualmente seria, quasi severa; ma un dolcissimo sorriso lo illuminava quando gli si rivolgeva la parola dell’affetto: parlava poco, e ascoltava molto: aveva un cuore straordinariamente inclinato alla pietà per i poveri, ai quali destinava la maggior parte dei suoi risparmi. L’anima sua congiungeva l’affetto tenerissimo per la famiglia con un religioso misticismo, che gli rendeva la preghiera facile e cara.

La malattia che lo condusse alla morte lo rivelò completamente. Essa fu lunga e penosa: fu una dolorosa alternativa tra la speranza e il timore, finchè, malgrado tutti gli sforzi dell’arte medica, interrogata per mille guise, dovette soccombere. Fu sempre calmo tra i dolori, confortato dalle cure affettuose de’ suoi: la mamma e le sorelle si alternavano a vegliarlo con quell’affetto che non si esprime: egli, riconoscente a tutti, voleva sempre la mamma; e quando l’aveva vicina, gli pareva di star bene. Il giorno prima di morire e molte altre volte innanzi, aveva raccomandato ai suoi di soccorrere una famiglia povera che egli prediligeva.

Aveva ricevuto i conforti religiosi con esemplare [p. 231 modifica]divozione, e poi tutti i giorni, anche sotto la febbre altissima, pregava con angelico fervore, leggendo egli stesso o facendosi leggere un libro di pietà. Si spense dolcemente, senza sforzo alcuno, proprio quando tornava a riapparire la speranza di salvarlo. Dio lo ha voluto tra i suoi angeli, puro come un angelo.

A 23 anni!

Alla famiglia desolatissima giunga il compianto specialmente di quanti sanno per esperienza un simile dolore; e sia di conforto la preghiera della fede che ci riconduce a Dio, e in lui ci fa ritrovare i nostri cari.

Sac. P. R.

Don ETTORE CAVIGLIONE.

Il giorno 4, amorosamente assistito dai confratelli, si spegneva in Torino, il rev. don Ettore Caviglione, dei Rosminiani.

Nato da una famiglia di sentimenti profondamente cristiani, aveva compiuti i suoi primi studi nell’Istituto Sociale. Nel 1885, a quattordici anni, entrava al noviziato dei religiosi rosminiani a Domodossola, ove poi conseguiva la licenza liceale nel Collegio A. Rosmini; indi passava a compiere gli studi teologici al Calvario di Domodossola. Ordinato sacerdote, fu nominato censore nel Collegio Rosmini di Stresa, ove successe poscia nel 1900 in qualità di direttore al rev. prof. Cerrutti. Ma piuttosto cagionevole di salute, fu costretto dopo un anno a lasciare il faticoso ufficio di rettore di collegio per ritirarsi in Torino, di cui resse la casa rosminiana di via Chisone, tenendo contemporaneamente anche la direzione della Sacra di San Michele. Anima mite, carattere dolce, lascia fra quanti lo avvicinarono una larga eredità di affetti ed un vivo rimpianto. I funerali, nella semplicità che è tradizionale tra i figli di Rosmini, riuscirono un’affettuosa e toccante dimostrazione di stima e di devoto affetto verso il povero defunto.

Il Conte GIUSEPPE GRABINSKI.

Da Bologna ci giunge un’altra dolorosa notizia: quella della morte del conte Giuseppe Grabinski, col quale abbiamo avuto sempre rapporti amichevoli.

Di sani, forti e severi principi, il conte Grabinski si distinse specialmente negli studi storico-religiosi, che pubblicò con predilezione nella Rassegna Nazionale di Firenze, propugnando anche la conciliazione tra la Chiesa e lo Stato.

Molti ricordano certamente un suo volume — Storia documentata dell’«Osservatore Cattolico» — che suscitò molto rumore.

Contava sessant’anni ed è spirato santamente, colla benedizione del Santo Padre.

I suoi parenti invocano una prece per il caro defunto, e noi, colla promessa di un affettuoso suffragio, mandiamo loro le nostre più vive condoglianze.

A. M. C.