Il Trecentonovelle/XXXI
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Due ambasciadori di Casentino sono mandati al vescovo Guido d’Arezzo; dimenticano ciò che è stato commesso, e quello che ’l vescovo dice loro, e come tornati hanno grande onore per aver ben fatto.
Se lo passato ambasciadore ampliava il suo dire, o la sua rettorica per bere il vino, in questa mostrerrò come due ambasciadori per lo bere d’un buon vino, come che non fossono di gran memoria, ma quella cotanta che aveano quasi perderono.
Quando il vescovo Guido signoreggiava Arezzo, si creò per li Comuni di Casentino due ambasciadori, per mandare a lui addomandando certe cose. Ed essendo fatta loro la commessione di quello che aveano a narrare, una sera al tardi ebbono il comandamento di essere mossi la mattina. Di che tornati la sera a casa loro, acconciarono loro bisacce, e la mattina si mossono per andare al loro viaggio imposto. Ed essendo camminati parecchie miglia, disse l’uno all’altro:
- Hai tu a mente la commessione che ci fu fatta?
Rispose l’altro che non gliene ricordava.
Disse l’altro:
- O io stava a tua fidanza.
E quelli rispose:
- E io stava alla tua.
L’un guata l’altro, dicendo:
- Noi abbiàn pur ben fatto! O come faremo?
Dice l’uno:
- Or ecco, noi saremo tosto a desinare all’albergo, e là ci ristrigneremo insieme, non potrà essere che non ci torni la memoria.
Disse l’altro:
- Ben di’ -; e cavalcando e trasognando pervennono a terza all’albergo dove doveano desinare, e pensando e ripensando, insino che furono per andare a tavola, giammai non se ne poterono ricordare.
Andati a desinare, essendo a mensa, fu dato loro d’uno finissimo vino. Gli ambasciadori, a cui piacea piú il vino che avere tenuta a mente la commessione, si comincia ad attaccare al vetro; e béi e ribei, cionca e ricionca, quando ebbono desinato, non che si ricordassino della loro ambasciata ma e’ non sapeano dove si fossono, e andarono a dormire. Dormito che ebbono una pezza, si destaron tutti intronati. Disse l’uno all’altro:
- Ricorditi tu ancora del fatto nostro?
Disse l’altro:
- Non so io; a me ricorda che ’l vino dell’oste è il migliore vino che io beessi mai; e poi ch’io desinai, non mi sono mai risentito, se non ora; e ora appena so dove io mi sia.
Disse l’altro:
- Altrettale te la dico; ben, come faremo? che diremo?
Brievemente disse l’uno:
- Stiànci qui tutto dí oggi; e istanotte (ché sai che la notte assottiglia il pensiero) non potrà essere che non ce ne ricordi.
E accordaronsi a questo; e ivi stettono tutto quel giorno, ritrovandosi spesso co’ loro pensieri nella Torre a Vinacciano. La sera essendo a cena e adoperandosi piú il vetro che ’l legname, cenato che ebbono, appena intendea l’uno l’altro. Andaronsi al letto, e tutta notte russorono come porci. La mattina levatisi, disse l’uno:
- Che faremo?
Rispose l’altro:
- Mal che Dio ci dia, ché poi che istanotte non m’è ricordato d’alcuna cosa, non penso me ne ricordi mai.
Disse l’altro:
- Alle guagnele, che noi bene stiamo, che io non so quello che si sia, o se fosse quel vino, o altro, che mai non dormi’ cosí fiso, sanza potermi mai destare, come io ho dormito istanotte in questo albergo.
- Che diavol vuol dir questo? - disse l’altro. -
Saliamo a cavallo, e andiamo con Dio; forse tra via pur ce ne ricorderemo.
E cosí si partirono, dicendo per la via spesso l’uno all’altro:
- Ricorditi tu?
E l’altro dice:
- No, io.
- Né io.
Giunsono a questo modo in Arezzo, e andorono all’albergo; dove spesso tirandosi da parte, con le mani alle gote, in una camera, non poterono mai ricordarsene. Dice l’uno, quasi alla disperata:
- Andiamo, Dio ci aiuti.
Dice l’altro:
- O che diremo, che non sappiamo che?
Rispose quelli:
- Qui non dee rimanere la cosa.
Misonsi alla ventura, e andorono al vescovo; e giugnendo dove era, feciono la reverenzia, e in quella si stavano senza venire ad altro. Il vescovo, come uomo che era da molto, si levò e andò verso costoro, e pigliandoli per la mano, disse:
- Voi siate li ben venuti, figliuoli miei; che novelle avete voi?
L’uno guata l’altro:
- Di’ tu.
- Di’ tu.
E nessuno dicea. Alla fine disse l’uno:
- Messer lo vescovo, noi siamo mandati ambasciadori dinanzi alla vostra signoria da quelli vostri servidori di Casentino, ed eglino che ci mandano, e noi che siamo mandati, siamo uomeni assai materiali; e ci feciono la commessione da sera in fretta; come che la cosa sia, o e’ non ce la seppono dire, o noi non l’abbiamo saputa intendere. Preghianvi teneramente che quelli Comuni e uomeni vi siano raccomandati, che morti siano egli a ghiadi che ci mandorono, e noi che ci venimmo.
Il vescovo saggio mise loro la mano in su le spalle, e disse:
- Or andate, e dite a quelli miei figliuoli, che ogni cosa che mi sia possibile nel loro bene, sempre intendo di fare. E perché da quinci innanzi non si diano spesa in mandare ambasciadori, ognora che vogliono alcuna cosa, mi scrivino, e io per lettera risponderò loro.
E cosí pigliando commiato, si partirono.
Ed essendo nel cammino, disse l’uno all’altro:
- Guardiamo che e’ non c’intervenga al tornare, come all’andare.
Disse l’altro:
- O che abbiamo noi a tenere a mente?
Disse l’altro:
- E però si vuol pensare, però che noi averemo a dire quello che noi esponemmo, e quello che ci fu risposto. Però che s’e’ nostri di Casentino sapessono come dimenticammo la loro commessione, e tornassimo dinanzi da loro come smemorati, non che ci mandassono mai per ambasciadori, ma mai offizio non ci darebbono.
Disse l’altro, che era piú malizioso:
- Lascia questo pensiero a me. Io dirò che sposto che avemo l’ambasciata dinanzi al vescovo, che egli graziosamente in tutto e per tutto s’offerse essere sempre presto a ogni loro bene, e per maggiore amore disse che per meno spesa ogni volta che avessono bisogno di lui, per loro pace e riposo scrivessero una semplice lettera, e lasciassono stare le ’mbasciate.
Disse l’altro:
- Tu hai ben pensato; cavalchiamo pur forte, che giunghiamo a buon’ora al vino che tu sai.
E cosí spronando, giunsono all’albergo, e giunto un fante loro alla staffa, non domandorono dell’oste, né come avea da desinare, ma alla prima parola domandorono quello che era di quel vino.
Disse il fante:
- Migliore che mai.
E quivi s’armorono la seconda volta non meno della prima, e innanzi che si partissono, però che molti muscioni erano del paese tratti, il vino venne al basso, e levossi la botte. Gli ambasciadori dolenti di ciò la levorono anco ellino, e giunsono a chi gli avea mandati, tenendo meglio a mente la bugia che aveano composta che non feciono la verità di prima, dicendo che dinanzi al vescovo aveano fatto cosí bella aringhiera, e dando ad intendere che l’uno fosse stato Tulio e l’altro Quintiliano, e’ furono molto commendati, e da indi innanzi ebbono molti officii, che le piú volte erano o sindachi, o massai.
Oh quanto interviene spesso, e non pur de’ pari di questi omicciatti, ma de’ molto maggiori di loro, che sono tutto dí mandati per ambasciadori, che delle cose che avvengono hanno a fare quello che ’l Soldano in Francia; e scrivono e dicono che per dí e per notte mai non hanno posato, ma sempre con grande sollecitudine hanno adoperato, e tutta è stata loro fattura; che attagliono e intervengono, ed eglino seranno molte volte con quel sentimento che un ceppo; e fiano commendati da chi gli ha mandati, e premiati con grandissimi officii e con altri guiderdoni perché li piú si partono dal vero e spezialmente quando per essere loro creduto se ne veggiono seguire vantaggio.