Novella LXVI

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LXV LXVII

Coppo di Borghese Domenichi da Firenze, leggendo una storia del Titolivio, gli venne sí fatto sdegno che, andando maestri per danari a lui, non gli ascolta, non gli intende, e cacciagli via.

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Fu un cittadino già in Firenze, e savio, e in istato assai il cui nome fu Coppo di Borghese, e stava dirimpetto dove stanno al presente i Leoni, il quale faceva murare nelle sue case; e leggendo un sabato dopo nona nel Titolivio, si venne abbattuto a una storia; come le donne romane, essendo stata fatta contra loro ornamenti legge di poco tempo, erano corse al Campidoglio, volendo e addomandando che quella legge si dirogasse. Coppo, come che savio fosse, essendo sdegnoso, e in parte bizzarro, cominciò in sé medesimo muoversi ad ira, come il caso in quella dinanzi a lui intervenisse; e percuote e ’l libro e le mani in su la tavola, e talora percuote l’una con l’altra mano, dicendo:
- Oimè, Romani, sofferrete voi questo, che non avete sofferto che re o imperadore sia maggior di voi?
E cosí si nabissava, come se la fante in quell’ora l’avesse voluto cacciare di casa sua.
In questa cosí fatta furia stando il detto Coppo, ed ecco venir li maestri e manovali che uscivano d’opera, e salutando Coppo, domandarono denari, come che molto il vedessino adirato. E Coppo come uno serpente volgesi a costoro, dicendo:
- Voi mi salutate, e io vorrei volentieri essere a casa il diavolo; voi mi chiedete danari delle case che mi acconciate, io vorrei volentieri ch’elle rovinasseno testeso, e rovinassonmi addosso.
Costoro si volgeano l’uno all’altro, maravigliandosi, dicendo:
- Che vorrebb’egli?
E dissono:
- Coppo, se voi avete cosa che vi spiaccia, noi siamo malcontenti; se noi possiamo fare alcuna cosa, che vi levassi dalla noia che avete, ditecelo, e farenlo volentieri.
Disse Coppo:
- Deh, andatevi con Dio oggi al nome del diavolo, ch’io vorrei volentieri non esser mai stato al mondo, pensando che quelle sfacciate, quelle puttane, quelle dolorose, abbiano aúto tanto ardire ch’elle sieno corse al Campidoglio per rivolere gli ornamenti. Che faranno li Romani di questo? ché Coppo, che è qui, non se ne puote dar pace: e se io potessi, tutte le farei ardere, acciò che sempre chi rimanesse se ne ricordasse: andatevene, e lasciatemi stare.
Costoro per lo migliore se n’andorno, dicendo l’uno all’altro:
- Che diavolo ha egli? e’ dice non so che di romani: forse da stadera.
E l’altro dicea:
- E’ conta non so che di puttane: avrebbegli la donna fatto fallo?
E uno manovale disse:
- A me pare che dica del capo mi doglio ; forse gli duole il capo.
Disse un altro manovale:
- A me pare che si dolga che gli sia versato un coppo d’oglio.
- Che che si sia, - dicon poi - noi vorremmo e’ danari nostri, e poi abbia quel vuole.
E cosí deliberarono di non andare piú a lui per allora, ma di tornarvi la domenica mattina; e Coppo si rimase nella battaglia, della quale essendo la mattina raffreddo, e tornandovi e’ maestri, diede loro ciò che doveano avere, dicendo che la sera avea altra maninconia.
Savio uomo fu costui, come che nuova fantasia gli venisse; ma ogni cosa considerata, ella si mosse da giusto e virtuoso zelo.