Novella CXXXII

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CXXXI CXXXIII

Essendo stati assaliti quelli da Macerata dal conte Luzzo, una notte venendo una grande acqua, credendo che siano li nimici, con nuovi modi tutta la terra va a romore.

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Nel tempo che ’l comune di Firenze e gli altri collegati feciono perdere gran parte della Marca alla Chiesa di Roma, il conte Luzzo venne nella Marca con piú di mille lance, e puose il campo a Macerata dal lato d’una porta che si chiama la porta di San Salvadore; e dall’altro lato si puose messer Rinalduccio da Monteverde, che allora era signore di Fermo; puose lo campo da un’altra porta, cioè alla porta del mercato; e ivi al terzo dí dierono la battaglia alla terra, credendola aver per forza. E lo conte Luzzo con la sua brigata ruppono le mura appresso delle mura di San Salvadore in tre luoghi, avvegnadio che della sua gente assai ne fossono feriti e morti. E partendosi il quarto dí la detta oste, e ritornando in quello di Fermo, da ivi a pochi dí, una sera a tre ore di notte, venne una grandissima acqua a Macerata; e correndo forte le vie della terra, menando l’acqua ogni bruttura delle strade, turò una fogna. Di che l’acqua non possendo uscire di fuori, né fare il suo corso, entrò per le case che gli erano dappresso. Di che andando una femina per lo vino, ché volea cenare, andando di sicuro, trovò la casa piena d’acqua; e prima che di ciò s’accorgesse, entrò nell’acqua infino alle cosce, e forse piú su, ond’ella cominciò a gridare: «Accurr’uomo». Lo marito correndo al romore per aiutare la moglie, e ’l lume si spense, si trovò nella detta acqua; ed essendo nell’acqua cominciò a gridare: «Accurr’uomo». Li vicini, udendo il romore, scendeano le scale per sapere che fosse: e quando erano all’uscio non poteano uscire fuori per l’acqua che era per le vie e per le case. Di che anco eglino cominciarono a gridare, avvisandosi fosse il diluvio. Lo guardiano che stava nella terra cominciò a chiamare le guardie, udendo lo romore, chiamò lo cancelliero e li priori, dicendo che alla porta di San Salvadore si gridava: «All’arme, all’arme!» E li priori diceano:
- Odi mo che che dice.
E lo guardiano dice:
- Elli gridano che la gente è dentro.
Li priori rispondono e dicono:
- Suona, campanaro, suona, campanaro, all’arme; che sie impeso!
Lo campanaro cominciò a sonare all’arme. Le guardie che erano in piazza, pigliarono l’arme, e vanno alle bocche delle vie della piazza, mettendo le catene, gridando:
- All’arme, all’arme.
Ogni gente, sentendo la campana, usciva fuori armata, pensando essere assaliti dal conte Luzzo; e venendo in piazza, trovorono le guardie a difendere le catene della piazza: li quali gridavano: «Chi è là, chi è là?» e chi diceva: «Viva messer Ridolfo»; e chi rispondea: «Amici, amici»; ed era sí grande lo romore che non s’udía l’un l’altro, essendo tutto lo populo armato in piazza, aspettando la gente ad ora ad ora, però che molti diceano che la gente era dentro, e che era giunta a una chiesa che si chiama San Giorgio, la quale è a mezza via dalla porta alla piazza.
Vedendo li priori che niuno non venía, mandando certi messi verso la detta porta per sapere novelle, e molti ve n’andorono che feciono come il corbo, che mai non tornorono. Fra li quali fu mandato un frate Antonio dell’ordine di Santo Antonio, il quale avea uno palvese in braccio e con uno battaglio d’una sua campana in collo, il quale il dí dinanzi era caduto da una sua campana; andando per sapere del romore e recarne novelle, ritornando con la imbasciata, lo detto frate cadde sul detto palvese, e perché elli era molto grande che parea uno gigante, non potendo sbracciar lo palvese, non si potea levare, ed era poco dilungi dalla piazza; un altro stava su la via poco dilungi dalla piazza, udendo il detto fracasso del palvese che facea il detto frate per levarsi e non potea, cominciò a gridare:
- A me, brigata, che ecco la gente.
Un altro cominciò a gridare:
- A loro, a loro.
E una parte uscí fuori delle catene e andavano per la via, gridando:
- Alla morte, alla morte.
E quando furono presso al frate che era in terra, chi gridava:
- Chi e’ tu?
E chi gridava:
- Rendite, traditore.
E chi gridava:
- Chi vive?
E ’l frate che giacea in terra, gridava:
- Accorrete per l’amor di Dio.
Vedendo costoro che questo era il frate, con gran pena lo levarono su. Egli era tutto dirotto, però che quando cadde in terra, il battaglio uscendogli di mano, e l’uncino s’appiccò allo scapulare, e volendosi lo detto frate rilevare, lo battaglio gli avea molto dato per gli fianchi e per le reni; e per questo tutto era pesto ed era quasi mezzo morto. E ritornando alla piazza con la detta brigata, andò alli priori dicendo la novella della detta acqua, e com’elli era caduto, e al pericolo ch’elli era stato; dicendo che, se quello guardiano che lo udí bussare non l’avesse udito, ch’egli sería morto ivi; dicendo alli priori che, poiché Dio l’avea campato di questo, che mai palvese non portaria piú; e com’elli giugnesse a casa, di quello farebbe mille pezzi, per non portarlo mai piú. Li priori udendo la detta novella, ritornò loro il polso che quasi aveano perduto, dando licenza ad ogni uomo che ritornasse a casa. E di questa novella, e per Macerata e per l’altre terre da presso, piú dí n’ebbono gran piacere considerando all’acqua e alla caduta di frate Antonio.
E cosí sono spesse volte e ignoranti e matti i popoli che in tempo di guerra massimamente, cadendo un quarto di noci, o rompendo una gatta uno catino, si moveranno a romore credendo che siano inimici: e su questo come tordi ebbri s’anderanno avviluppando perdendo ogni loro intelletto.