Novella CXXX

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CXXIX CXXXI

Berto Folchi è preso, standosi al fuoco, da una gatta, e se non fosse la moglie che con un sottile avviso il liberoe, egli ne venía a pericolo di morte.

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Adrieto in una novella è dimostrato come Berto Folchi fu colto in iscambio d’una botta; ora in questa piccola novelletta voglio mostrare come fu colto in iscambio d’uno topo; la quale sta per questa forma. Il detto Berto, essendo del mese d’ottobre, ed essendo a uno suo luogo a Scandicci, contado di Firenze, avea uno ciccione nel sedere, appunto dove si tiene il brachiere; ed era sí velenoso che molti dí gli avea quasi dato un poco di febbre; e convenía che per quello s’andasse e stesse per casa sanza panni di gamba.
Avvenne che una sera, avendo quattro bellissimi tordi, e volendoli arrostire a suo modo, avea detto a una sua fanticella gli recasse a un fuoco che era in sala; e quivi acconciando lo schedone, ponendosi a sedere su uno deschetto e pigliando la paletta, e acconciando il fuoco, e volendo che li detti tordi per ragione fossono cotti per mangiarseli in santa pace con la sua donna; essendo una sua gatta sotto il deschetto, come sempre stanno, ebbe veduta la masserizia di Berto pengigliare tra li piè del deschetto; avvisandosi forsi quella essere un topo, avventasi e dàgli d’uncico.
Come Berto si sente cosí preso, getta le mani verso la gatta, e pigliandola, se la volea levar da dosso; ma quanto piú questo facea, la gatta, facendo gnao, piú l’afferrava; tanto che per la pena cominciò a gridare. La fante, che volgea lo schedone, dicea:
- Che avete voi, Berto?
E Berto dicea:
- Non lo vedi tu?
E la fante, bench’ella il vedesse, non ardiva accostarsi per onestà verso le masserizie di Berto, ma comincia a chiamar la gatta: «Muscina, musci, musci, muscina»; e brevemente la gatta, non che ella il lasciasse, ma continuo piú strignea; tanto che Berto continuando le strida, e la donna, sentendolo, subito corse.
Come Berto la vede, dice:
- Oimè, donna mia, io muoio; la gatta m’ha preso, come tu puoi vedere; io muoio, io muoio.
La donna tenera del suo marito e delle sue masserizie, gettasi là, e piglia la gatta e strignela perché le lasci: e la gatta allora piú afferrava: poi la piglia per la gola e strigne perch’ell’apra la bocca. S’ella l’apriva, a mano a mano con un morso ripigliava; tanto che Berto comincia a gridare: «Accurr’uomo». La donna, vedendosi mal parata, come savia e avveduta e tenera delle carni del marito, pensò un sottil modo: ch’ella prese lo schedone de’ quattro tordi, che era a fuoco, che appena erano caldi, e accosta i tordi al ceffo della gatta. La gatta, che era affamata, sentendo l’odore de’ tordi, lascia i calonaci e dà d’uncico a’ tordi, li quali strascicò con tutto lo schedone per tutta la casa, e a piú bell’agio del mondo gli mangiò, però che la donna e la fante aveano altra faccenda tra mano e di quelli poco si curavano.
Berto uscito tra le branche della gatta, e per le strette e per li graffi, parea morto; le sue masserizie erano tutte azzannate, e parea vi fosse fatto su alla trottola.
La valentre donna mandò per uno medico de jure coglionica, e fecelo curare. Il quale ebbe assai che fare piú di due mesi a guarirlo; e se non fosse la buona moglie, che volle innanzi perder la cena che ’l marito, Berto Folchi era a pericolo di non esser mai piú uomo; e sempre da indi innanzi tenne Berto avere la vita per la sua valentrissima donna.