Novella CLVI

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CLV CLVII

Messer Dolcibene fa in forma di medico nel contado di Ferrara tornare una mana a una fanciulla, che era sconcia e svolta, nel suo luogo; e questo fa gittandovisi su a sedere.

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Nessuna cosa è tanto dolce quanto è il bene, chi volesse ben contemplare; e però essendo vago e dell’uno e dell’altro, ritornerò pur a quel nome, dove ciascuno di questi due s’inchiude, cioè a messer Dolcibene, il quale drieto in piú novelle è stato raccontato. E perché il valentre medico maestro Gabbadeo nella passata novella, con quella scienza e con quella pratica che la natura gli avea donato, con grandissimo ordine volendo bene considerare in sul poltracchiello l’orinale della sua inferma, e per quello poltracchiello essere quasi pericolato; voglio dimostrare in questa seguente come costui senza sapere o filosofia o medicina, essendo in caso che non trovava albergo né casa che si potesse alloggiare, fece una nuova e bellissima esperienza, e non mai usata per nessun medico stato innanzi a lui.
Venendo adunque alla novella, messer Dolcibene, essendo stato fatto per adrieto re degl’istrioni d’Italia da Carlo imperatore di Buem, sentendo che ’l detto imperadore la seconda volta ritornava in Italia, essendo già giunto in Lombardia, il detto messer Dolcibene con parecchi cavalli si partí di Firenze per andare in Lombardia incontro a vicitare il detto imperadore. E giugnendo una sera al tardi in Ferrara, trovò là essere il detto imperadore, e per la gran quantità di gente, che avea seco, avea preso tutte le stanze e gli alberghi, dentro in Ferrara e di fuori parecchie miglia; onde convenne che ’l detto messer Dolcibene, sanza trovare alloggiamento, se n’andasse al palagio, dove l’imperadore era. E sceso nella via, e lasciato i cavalli a’ suoi famigli, n’andò alla sua presenza, e fattali la reverenza, disse:
- Signor mio, abbiate buona speranza, che voi avete modo di vincere tutto il mondo; però che voi state bene e col Papa e con meco: voi con la spada, il Papa co’ suggelli e io con le parole; e a questo nessuno potrà resistere.
L’imperadore avendoli fatta risposta come si convenía, e messer Dolcibene disse:
- Sacra corona, io non sono ancora alloggiato, io voglio andare a cercare, se ci è, ov’io cappia, e poi tornerò alla vostra maestà.
E cosí partitosi e salito a cavallo, di luogo in luogo domandava dove potesse stare con cinque cavalli ch’egli avea. E brievemente, non trovando albergo in Ferrara, uscí fuori e tenne la via verso Francolino; e domandando di casa in casa dove potesse stare, andò parecchie miglia; e in fine s’abbatté a una casa di qua dal Ponte al Lago Scuro; dove veduto che ebbe una donna molto malinconosa all’uscio, disse:
- Com’è il vostro nome, madonna?
E quella rispose:
- Perché ’l disé voi? io ho nome donna Margotta.
E messer Dolcibene disse:
- O vostro marito com’ha nome?
E quella rispose:
- Ha nome Salisin.
Ed elli seguí:
- Madonna, potrestemi voi ricettare con questi cavalli per questa sera, dandovi quel pagamento che voi stessa addomanderete?
A cui la donna rispose:
- Messer, io ho tanta briga che mi si screva il core.
E quelli disse:
- Che avete voi?
Ed ella rispose che una sua figlia di quattordici anni, che piú non avea, s’avea sconcia e travolta una mano e ’l braccio, essendo caduta pur mo a terra d’una figa, e non fa altro che piagnere e lagnarse.
E messer Dolcibene dice:
- Madonna Margotta, io sarò l’angiolo di Dio che serò venuto qui per voi, e per la vostra putta; però che io sono il migliore medico di racconciare ossa che sia in Italia o nella Marca Trivisgiana. Io vi guarirò questa fanciulla, s’ella avesse, non che storte, ma rotte quante ossa ella ha addosso.
La donna, udendo messer Dolcibene, e parendoli nella apparenza quello che dicea, comincia a riceverli graziosamente; e acconci li cavalli, e tirati li colli a sue galline, apparecchiò ogni cosa, sí che ’l detto stette forse cosí bene come l’imperadore. E in questo tornò Salisino, che era andato a pescare e avea arrecato due porcellette, e donna Margotta fattalisi incontro, raccontò con dolore la caduta della loro figliuola, e con allegrezza la ventura che gli era venuta a casa, di sí valentre uomo medico. Il marito fece reverenza, raccogliendo messer Dolcibene, e fece cuocere le porcellette, e poi li raccomandò la figliuola. Onde messer Dolcibene fu menato al letto a veder la fanciulla, la quale era assai bella, secondo l’aria ferrarese; e veduta la mano la quale, essendovi caduta suso, l’avea rivolta sotto il braccio, quasi come uno uncino alla in su; messer Dolcibene domandando di molte cose, e in fine non trovandone quivi, e volendo fare pure una bella cura, fece quasi una poltiglia da cavalli, e stracciate pezze e fatte fasce e lenze, impiastrò la mano e ’l braccio della fanciulla per modo che stesse ben morbido, e fatto questo, la fece sostare un’ora acciò che stesse ben morbida, ed elli andò a provvedere e’ cavalli e assaggiare il vino e a studiare le galline e le porcellette. E stato per alquanto, tornò al suo magistero, e sfascia la fanciulla, e la fanciulla gridando forte del duolo, el padre e la madre, avendo paura non morisse di spasimo, pregavano che per Dio non facesse con le mani per forza. Messer Dolcibene disse:
- Io non ci porrò le mani, sopra la mia fé, - e fessi arrecare molta stoppa e due taglieri grandi; e messo il braccio su uno di questi taglieri, con lo scrigno dell’oncino di sopra, e con molta stoppa di sotto e di sopra, puose sopra quella l’altro tagliere, sí che quasi in strettoie si dovesse fare ritornare nel suo luogo.
E detto questo e fatto, recandosi cortese, disse:
- Non abbiate paura, che niuna delle mani adopero -; e dato volta, dicendo: - Tenete ben fermo il braccio com’io l’ho acconcio -; vi diede tal su del culo che averebbe dirizzato un palo di ferro che fosse stato torto.
E subito voltosi e preso il braccio con istecche, con sue poltiglie e allenzamenti l’ebbe fasciato, gittando dell’acqua nel viso alla fanciulla, la quale per lo gran dolore urlava quanto potea; pur da ivi appresso un’ora si racchetò, e ’l braccio e la mano stavano diritti e ciascuno nel luogo suo. E voltosi a Salisino e a madonna Margotta, dice:
- Come vi pare che sia andato?
E quelli dissono:
- Molto bene, maestro, che Dio vi doni buona e lunga vita.
Allora messer Dolcibene, vantandosi, dice:
- Or pensate quello che io farei con mano, quando col culo ho fatto cosí grande esperienza.
Dappoi andorono a cena con gran letizia, e fu tenuto alla paperina, non pagando alcun danaio; e la mattina per tempo levatosi, come ebbe preso commiato e salito a cavallo, un gran paio di capponi morti si trovò agli arcioni, e promissonli di fare piú oltre, se mai arrivasse piú in quel luogo. E tornato a Ferrara con questa novella, tenne piú dí a sollazzo la corte dello imperadore, e profferevasi a tutti quelli uomeni d’arme, che securamente si sconciasseno l’ossa, che egli le racconcerebbe subito col culo, meglio che altro uomo con mano. E valsegli questa volta piú che se uno sommo medico avesse guarito di simile cosa uno grandissimo signore.