Novella CLIX

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CLVIII CLX

Uno cavallaccio di Rinuccio di Nello, sciogliendosi, per correre drieto a una cavalla in Firenze, e ’l detto Rinuccio, seguendolo, con nuovi casi fece quasi correre a seguirlo la maggior parte de’ Fiorentini.

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Uno cittadino molto antico d’anni e nuovo di costumi fu, non è gran tempo, nella città di Firenze, il quale ebbe nome Rinuccio di Nello, uomo assai di famiglia antico; e stava presso a Santa Maria Maggiore. Costui avea sempre cavallo, per suo cavalcare, che era piú nuovo di lui, e non so da qual razza si veníano quelli cotanti che tenne ne’ suoi dí, che tutti pareano piú sgraziato l’uno che l’altro. Fra gli altri, quasi nell’utimo della sua vita, n’ebbe uno che parea uno cammello, con una schiena che parea Pinza di monte, e con una testa di mandragola, la sua groppa era che parea un bue magro; quando elli li dava una spronata, e’ si movea d’un pezzo, come se fosse di legno, alzando il muso verso il cielo; e sempre parea addormentato, se non quando avesse veduto una ronzina; allora rizzando la coda, un poco anitriva e spetezzava. Non era però da maravigliare se ’l detto cavallo era incordato, però che gli dava spesso a rodere sermenti per paglia e ghiande per biada. Avvenne un giorno per caso, che, volendo cavalcare il detto Rinuccio, avea appiccato il detto cavallo di fuori nella via; ed essendo venuta una ronzina alla piazza dove si vendono le legne, che era quasi dirimpetto alla sua casa, ed essendosi sciolta da uno arpione, cominciò a fuggire per la via dov’era appiccato il detto cavallo; il quale, come sentí la giumenta correre dirietro, tiroe la testa a sé con sí dura maniera che ruppe uno briglione assai forte; però che il detto Rinuccio l’avea fatto fare in prova, mostrando a ciascuno per quello che ’l cavallo fosse sí poderoso che appena si potea governare. Tirato addietro la testa con tutta la persona, spezzò la briglia, e voltosi dietro alla cavalla verso Santa Maria Maggiore, gli tenne dietro furioso, com’è d’usanza degli stalloni.
Rinuccio che era per uscire fuori e montare a cavallo, sente un gran romore, che ogni uomo correa drieto a tanta novità; fassi alla porta, non truova il cavallo, domanda dove gli è ito. Uno calzolaio gli dice:
- Rinuccio mio, il vostro cavallo ne va drieto a una cavalla col mazzafrusto teso, e in su la piazza di Santa Maria Maggiore mi parve gli salisse addosso: soccorretelo, ché si potrebbe troppo ben guastare.
Rinuccio non dice: «che ci è dato?»; mettesi a corso, e con gli sproni in piede fu piú volte presso che caduto; e tenendo per nuove vie drieto a questa sua buscalfana, pervenne in Mercato Vecchio; là dove giunto, vide il cavallo addosso alla ronzina; e ciò veggendo, comincia a gridare:
- San Giorgio, San Giorgio.
I rigattieri cominciano a serrare le botteghe, credendo che ’l romore sia levato. Le bestie entrano tra’ beccai, che allora stavano alla scoperta in mezzo della piazza; e giugnendo a uno desco d’uno che avea nome Giano, che vendea le vitelle, la ronzina si gettò sul detto desco, e ’l cavallo drietole per forma che Giano, che era assai nuovo pesce, fu presso che morto; e le pezze della vitella di latte, che erano tese per lo desco, furono tutte peste, e convertironsi in pezze di vitella di loto. E detto Giano, quasi come smemorato, fuggí in una bottega di speziale. E Rinuccio aombrato gridava: - San Giorgio -; e Giano gridava: - Oimè, ch’io sono diserto.
Colui, di cui era la ronzina, era tuttavia drieto con un bastone, e volendo attutare la concupiscenza della carne dava di gran bastonate, quando al cavallo e quando alla ronzina; e spesse volte, quando dava al cavallo, e Rinuccio gli si gettava addosso, e dicea:
- Per Santo Loi, che, se tu dài al mio cavallo, che io darò a te.
E cosí pervennono con questo romore per Calimala, là dove tutti i ritagliatori gittavano i panni dentro, e serravono le botteghe. Chi dicea:
- Che è?
E chi dicea:
- Che vuol dir questo? - e chi stava come smemorato; e molti seguivono le bestie, le quali, voltesi per lo chiassolino che va in Orto San Michele, entrorono tra’ granaiuoli e le bigonce del grano che si vendea sotto il palagio, dov’è l’Oratorio, e scalpitarono molti granaiuoli.
E di quelli ciechi, che sempre ve ne stavano assai nel detto luogo al Pilastro, sentendo il romore ed essendo sospinti e scalpitati, non sappiendo il caso del romore, menavano i loro bastoni, dando or all’uno e or all’altro.
La maggior parte di quelli, che si sentivano dare del bastone, si rivolgeano a loro non sappiendo che fossono ciechi. Altri, che sapeano che coloro erano ciechi, diceano e riprendeano quelli che contro a loro faceano; e quelli tali si rivolgeano loro addosso. E cosí chi di qua e chi di là, e chi per un verso e chi per un altro, si cominciarono a ingoffare, facendo molte mislee da piú parti; e con queste mischie uscirono fuori de Orto San Michele le scuccomedre, non essendo ancora attutato il caldo del bestiale amorazzo del cavallo, anzi piú tosto cresciuto, e forse con alcune pugna che ebbe Rinuccio e quello della ronzina, giunsono, cosí percotendosi, e con busso e con romore, su la piazza de’ Priori. Li quali Priori e chi era in palagio, veggendo dalle finestre tanto tumultuoso popolo giugnere da ogni parte, ebbono per certo il romore essere levato. Serrasi il palagio, e armasi la famiglia, e cosí quella del capitano e dello esecutore. Su la piazza era tutto pieno, e parte combatteano con pugna, e gran parte d’amici e parenti erano drieto a Bucifalasso e a Rinuccio, per aiutarlo, che già non potea piú.
Come la fortuna volle, il cavallo e la ronzina quasi congiunti entrorono nella corticella dello esecutore, là dove lo esecutore, per grandissima paura, non sappiendo che fosse, ma avvisandosi che ’l furore del populo gli venisse per uno che avea tra mano, del quale era gran contesa che non morisse, ed elli il volea far morire; si fuggí drieto a un letto d’un suo notaio, e di là entrò sotto la lettiera, essendo già quasi mezzo armato. Il popolo ancora si bussava in gran parte con le pugna, ed era per venire a’ ferri; se non che subito la porta dello esecutore, la qual giammai non si serra, fu subito serrata, e a gran fatica fu preso il cavallo e la giumenta, li quali tutti gocciolavono di sudore, e Rinuccio di Nello era piú morto che vivo, e non sudava, però che non avea omore, e le rotelle degli sproni gli erano cascate di dietro, e intrate sotto le piante, le quali gli aveano laceri tutti gli fiossi de’ piedi.
Li Signori rassicurati, ch’aveano veduto ciò che era, mandarono comandatori e famiglia ad acchetare la zuffa e ’l romore, e con bandi e con comandamenti ebbono assai che fare di potere acchetare la moltitudine.
Nella fine, essendo le cose rabbonacciate, la gente si cominciò a partire; ma drieto a Rinuccio e al suo Baialardo n’andorono centinaia, guardando Rinuccio per grande novità. Quello della ronzina se n’andò in Vinegia tutto pesto e afflitto con la sua ronzina, e là si riposò tanto che tornò un poco in sé: e giurò di non tenere mai piú ronzina tutto il tempo della vita sua; e cosí fece. Il Podestà e ’l capitano, essendosi armati, quando sentirono le cose non essere di pericolo, e la cagione del romore, e come già era cheto, salirono a cavallo, e con le loro brigate quasi a un’ora giunsono su la piazza. Fu fatto beffe di loro da quelli che v’erano rimasi, che pochi erano; ed eglino aveano seguito l’ammaestramento di Cato: rumores fuge . E là stati per alquanto, dicendo: «E dove son issi? e dove son quissi?» alla fine si partirono.
Uno cittadino che era ito per lo esecutore, il quale era ricoverato, dice a un suo spenditore:
- O che fa l’esecutore? dorm’elli?
Costui rispose:
- Quando questo romore cominciò, io vidi che si armava, e dappoi non l’ho mai veduto.
Risponde il cittadino:
- E’ sarà ricoverato in qualche cesso; egli ha fatto un bello onore a sé e a me, che andai per lui; hanno fatto cosí gli altri rettori?
E cosí dicendo, andorono nel suo palagio, e domandando il cittadino dello esecutore, ciascuno si stringea nelle spalle, e non si trovava. Alla per fine un suo piú fidato, che sapea dove era fuggito, andò alla camera dov’era sotto il letto, e dice:
- Jateci fori, non è cavelle.
Costui esce fuori tutto pieno di paglia e di ragnateli; e uscito un poco nella sala, si scontra nel cittadino; al quale disse il cittadino:
- Doh, messer l’esecutore, donde venite voi? che onore v’è questo, a non essere uscito fuori oggi?
E quelli dicea:
- Egli è tanto che non ci armai, che nulla armatura ci ho trovata bona, e la guardancanna piú d’un’ora m’ha tenuto, che eran guasti li fibbiali a potercela mettere, ancora non è acconcia: ma parciti, amico mio, che ancora vada in piazza?
- Andate il piú tosto che potete.
- Va’, truovaci il cavallo, e jamoci.
E mettesi una barbuta, che della farsata uscirono, com’e’ la prese, una nidiata di topi.
Quando lo esecutore vide questo, si cominciò a segnare, tirandosi a drieto, dicendo:
- Per Dio, questo c’è lo dí ozíaco.
E volgesi a uno famiglio, e dice:
- Dove ci ponesti questa barbuta, che t’affranga Cristo e la Madre?
Pur cosí fatta se la mise in testa; e salito a cavallo con una sopravvesta di ragnateli, profilata di paglia, uscí in su la piazza, là dove di due ore ogni cosa era finito. Quelli che vedeano costui, diceano:
- Buono, buono! a bell’otta! costui dee essere pazzo.
Diceano altri:
- Onde diavolo esc’egli? a me par che venga da Nepi.
E altri diceano:
- Egli esce di qualche stalla; ché si dovea essere fuggito per paura.
E cosí si fermò là, dove si pone il Saracino; e volgendosi attorno dicea:
- E dove ci sono quissi che fanno romore? per certo, che mo ce li scanno.
Alcuni gli s’accostano, e dicono:
- Messer l’esecutore, andatevene a casa, ch’egli è spento.
E altri diceano:
- Andate a farvi scuotere, e poi tornate, ché voi sete pieno di ragnateli.
E in questo si volgea verso le finestre de’ Signori, facendo segno, se voleano che facesse alcuna cosa. I Priori gli mandarono a dire che s’andasse a disarmare, e ch’egli avea aúto l’onore, perché ’l campo era rimaso a lui. Questo esecutore se n’andò; e nel vero gli parve rimanere vituperato; e disarmato che fu, si pensò di rimediare alla vergogna, e l’altro dí ebbe formato una inquisizione addosso a Rinuccio di Nello, per turbare il pacifico stato. Detto Rinuccio ricorse a’ Signori, chiamando mercè per Dio, che per un suo cavallo gagliardo e di gran cuore non fosse disfatto. I Priori avendo diletto di piú cose con lui, mandorono per lo esecutore, il quale non poterono rimuovere in quattro dí, che lo volea pur condennare, o gittare la bacchetta. Alla fine pur stette contento al quia , e allo esecutore parve avere grandissimo onore, dolendosi piú d’un mese, che non avea potuto fare justizia; e cosí si rimase la cosa. Or pensino quelli che tengono gli stati, quanto è leggiera cosa quella che fa muovere a romore i popoli! Per certo chi vi pensasse, quanto piú gli paresse essere di grande stato, con maggior paura viverebbe. E se ciò è intervenuto in molti popoli già, pensa tu, lettore, e sotto qual fidanza si può stare sicuro.