Novella CCXXIX

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CCXXVIII CCXXX

Maestro Jacopo da Pistoia, facendo una sepoltura a messer Aldighieri degli Asinacci da Parma, fa diverse beffe a un prete, ed elli si gode il suo.

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Messer Aldighieri degli Asinacci da Parma volle procacciare da fare la magione della morte, come il duca di Borgogna quella della vita. Questo messer Aldighieri fu gran cittadino e molto innanzi con messer Galeazzo Visconti; al quale venendo voglia di far fare una ricca sepoltura di marmo, essendo a Melano un grande maestro fiorentino d’intagli di marmi, chiamato maestro Alberto, e lavorando il piú del tempo della sua vita a petizione del detto messer Galeazzo, veggendo lui non potere avere, volle il suo consiglio donde ne potesse aver uno che ’l detto sepolcro li facesse; ed egli consigliatolo d’uno maestro Jacopo da Pistoia, chiamato Pistoia, ed essendo mandato per lui, fu tutt’uno.
Era questo maestro di strana condizione; il quale venuto, e accozzatosi con messer Aldighieri nella magione di Santo Antonio in Parma, dove il detto sepolcro si dovea fare, e rispondendo nuovamente e alla traversa spesse volte a messer Aldighieri, lo fece pensare piú volte non essere costui uomo da fare il suo lavorío. Ma pur immaginando che maestro Alberto gli l’avea accattato e che valentre artista di ciò dovea essere, si fermò di sofferire la sua fantasia e dare alla sua opera effetto. E ordinando il detto maestro d’andare a procacciare per lo marmo a Carrara, ebbe compreso e veduto un giovane prete di quel luogo come morbidamente vivea, e come avea una pulita camera, e come di quelli dí se n’era andata una sua femina. Si partí con uno nuovo avviso, e giunto là, e avendo dato ordine al marmo, si ritornò a Parma. Dove, tirando un dí il prete da parte, li disse che a Carrara avea trovata una giovane, la quale da lui s’era partita, e che uno vecchio se la tenea, ed era molto copiosa d’avere; ma pur ella stava sì mal volentieri con lui che, se elli andasse per lei, la se ne menerebbe. Lo prete, che altro non desiderava, pensò subito di mettersi in cammino e andare a Carrara.
Ito il prete, il Pistoia fece tanto con messer Aldighieri che la camera del prete convertí a suo uso, e venneli ben fatto, salvo che ’l fiato della femina, al quale la camera era molto usata, a lui molto non piacea. Andando lo prete a suo viaggio, passando per Lunigiana, da malandrini fu preso e rubato, e cosí male in arnese, uscito delle loro mani, seguí il suo viaggio.
Giunto a Carrara, guarda e riguarda, a ogni pezzo di marmo si volgea, credendo fosse la femina sua; e in fine non veggendola, cominciò a domandare. Ciascuno si strignea nelle spalle, dicendo che niente ne sapeano; onde cosí rubato e smemorato si ritornò a Parma: là dove giugnendo dove il Pistoia era, disse che mai trovato l’amica sua non avea; ma avea ben trovato malandrini che l’aveano spogliato d’ogni suo bene. Lo Pistoia rispose a lui parere gran fatto; ma, dovendovi a pochi dí tornare, vedrebbe chi di loro fosse che dicesse il vero. E ritornò l’altro dí a Carrara, sanza vedere quello che vedere non potea né volea; si ritornò a Santo Antonio a Parma, e ’l primo che li si fece innanzi fu lo prete, al quale subito disse il Pistoia:
- Se voi sete cieco, ch’è mia colpa? io la vidi, e ancora piú, che di sua mano mi diede bere e dissemi che se voi vi andassi (che gli pare mill’anni), di subito se ne verrebbe con voi e piú tosto, per partirsi da quel vecchio malagurato.
Il prete, ciò udendo, subito fu mosso, dicendo al suo maggiore che andava a suo paese a vedere certi parenti; e cosí partitosi, giunto a un altro passo, fu da robatori ancora spogliato; e con tutto ciò, caldo d’amore e freddo di vestimento, seguí pur il suo cammino. E giunto a Carrara cosí scamiciato, domandando molto piú che la prima volta, e con questo consumandosi e nulla trovando, tristo tristo si tornò a Parma; e al maestro Pistoia raccontò la sua sventura, e come niente mai avea trovato. Il Pistoia si segnò, dicendo:
- O ella canta una, e fa un’altra! o jamo... come si dice; e questo è che quando siete dov’ella, e voi non vedete.
Dice il prete:
- O vuole cieco o vuole alluminato, io non sono per andarvi piú, e di quello che io sono ito, mi pento; - e con questo il prete cominciò a cantare la canzone di maestro Antonio da Ferrara: - Egli è molto da pregiare, Chi ha perduto e lascia andare .
E ’l meglio che poteo si cominciò a rassettare nella camera sua; dalla quale dubitando il maestro Jacopo non li convenisse partire, dormendo insieme col prete nel suo letto, piccolo a due, ma ben fornito, pensò, poiché piú non lo potea mandare a Carrara, d’ingannarlo altramente. Onde li disse che di quelli dí che v’era stato avea trovato nella camera una gran serpe, e alcuna volta nel letto.
Il prete, pauroso di ciò, come si dee credere, dicea ciò mai non avere veduto elli; e se ciò era, elli abbandonerebbe Parma, non che la camera.
Disse il Pistoia:
- Forse non è quello che mi pare; ma se pur fia, qualche cosa per innanzi ne vedremo.
Stando il prete sbigottito, e ’l Pistoia avendo tesa la trappola, andò tanto che trovò una pelle d’anguilla, la quale di suoi artificii empieo; e acconciala, la notte vegnente dormendo insieme, la cacciò tra’ piedi al prete; il quale, subito gridando, schizza fuori del letto. Il Pistoia mostra di destarsi e dice:
- Che è?
Lo prete gli lo dice. Allora il Pistoia racconta al prete che guardi che al buio non li ponesse piede, che subito co’ morsi velenosi l’ucciderebbe. Dice il prete:
- Come n’esco? io ci vorrei uscire.
Il Pistoia allora dice:
- Io sono della casa di San Paulo, se io li ponesse piede, non me ne curo; se voi volete io vi porterò... per quella scaletta, tanto che io vi caverò di qui.
Il prete pauroso dice:
- Io ve ne priego per l’amore di Dio.
Il Pistoia s’accosta allora a una cassa, e ’l prete li si cala addosso; e con questa soma ne va a uno uscetto, dal quale scendea una scaletta in una stalla; e quando fu a mezza scala, facendo vista d’incespicare, getta il prete a terra della scala nella stalla; e rammaricandosi forte, il Pistoia ancora si dolea, facendo vista d’aversi travolta o rotta la gamba. E lo prete, avendo un gran cimbotto, stette parecchi dí nel letto, dicendo che una gran serpe, apparita nella sua camera, n’era stata cagione, il perché, fuggendo di notte dalla tal scala, era caduto; e che ’l maestro Pistoia non se ne curava, dicendo che era ciurmato:
- Steavisi sanza astio, che ivi non son io per dormire mai piú.
E cosí maestro Jacopo ebbe la camera libera; e ’l prete si dormí buon tempo con un altro prete assai strettamente. Davali il Pistoia spesso a credere nuove cose di questa serpe, e come s’era avvezzo con lei, e non gli farebbe male, però che era ciurmato ec.
Io mi credo che se ’l prete avea commesso assai peccato in tenere quella femina, maestro Jacopo non avea commesso minore, ma maggiore peccato...