Novella CC

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CXCIX CCI

Certi gioveni di notte legano i piedi di una orsa alle fune delle campane di una chiesa, la qual tirando, le campane suonano, e la gente trae credendo sia fuoco.

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La precedente novella fu con danno e con le beffe; questa che seguita, fu d’una nuova beffa, quanto mai fosse alcuna, e con poco danno altrui; la quale sta in questa forma. Certi Fiorentini erano a cena in una casa di Firenze, la quale era non molto a lungi dal palagio del Podestà; ed essendo tra loro in quel luogo entrata una orsa, la quale era del Podestà ed era molto domestica, andando questa piú volte sotto la mensa a loro, disse uno di loro:
- Vogliàn noi fare un bel fatto? quando noi abbiamo cenato, conduciamo quest’orsa a Santa Maria in Campo, dove il vescovo di Fiesole tien ragione (ché sapete che non vi s’incatenaccia mai la porta) e leghiànli le zampe dinanzi, l’una a una campana, e l’altra a un’altra, e poi ce ne vegniamo; e vedrete barili andare.
Dicono gli altri:
- Deh, facciànlo.
Era del mese di novembre, che si cena di notte; essendo in concordia, danno di mano all’orsa, e per forza la conducono nel detto luogo; ed entrati nella chiesa, si avviano verso le funi delle campane, e preso l’uno di loro l’una zampa e l’altro l’altra, le legorono alle dette campane, e subito danno volta, andandosene ratti quanto poterono. L’orsa sentendosi cosí legata, tirando e tempestando per sciogliersi, le campane cominciano a sonare sanza niuna misura. Il prete e ’l cherico si destano, cominciano a smemorare:
- Che vuol dir quello? chi suona quelle campane?
Di fuori si comincia a gridare:
- Al fuoco, al fuoco .
La Badía comincia a sonare, perché l’Arte della lana è presso a quel luogo. I lanaiuoli e ogni altra gente si levano e cominciano a trarre:
- Dov’è dov’è?
In questo il prete ha mandato il cherico con una candela benedetta accesa, per paura che non fosse la mala cosa, a sapere chi suona. Il cherico ne va là con un passo innanzi e due a drieto e co’ capelli tutti arricciati per la paura; e accostandosi al fatto, si fa il segno della santa croce; e credendo che sia il demonio, il volgersi, e ’l fuggire e ’l gridare: in manus tuas, domine , è tutt’uno. Giugnendo con questo romore al prete, che non sapea dove si fosse, dice:
- Oimè! padre mio, che ’l diavolo è nella chiesa, e suona quelle campane.
Dice il prete:
- Come il diavolo? truova dell’acqua benedetta.
Truova e ritruova, non ebbe ardire d’entrare nella chiesa, ma d’un buon galoppo per la porta del chiostro se n’uscí fuori, e ’l cherico drietogli. E giugnendo, molta gente trovò che cominciava a chiamare il prete, dicendo:
- Dov’è il fuoco?
E giugnendo fuori, essendo domandato: «Dov’è questo fuoco, prete?» appena potea rispondere, perché avea il battito della morte. Pur con una boce affinita e affiocata, dice:
- Io non so di fuoco alcuna cosa, né chi suona queste campane; costui v’è ito (e dice del cherico) a sapere chi le suona; par che dica che gli pare la mala cosa.
- Come la mala cosa? - rispondono molti; - reca qua i lumi; abbiàn noi paura di mali visi? chi ha paura si fugga.
E avviandosi in là cosí al barlume, e veggendo la bestia, non scorgendo bene quello che si fosse, la maggior parte si tornano indietro, gridando:
- Alle guagnele, che dice il vero!
Altri piú sicuri s’accostano e veggendo quello ch’è, gridano:
- Venite qua, brigata, ch’ell’è un’orsa.
Corrono là molti, e ’l prete e ’l cherico ancora; e veggendo questa orsa cosí legata, e tirare e nabissarsi con la boce, ciascuno comincia a ridere:
- Che vuol dir questo?
E non era però niuno che ardisse di scioglierla, e tuttavia le campane sonavono, e tutto il mondo era tratto.
In fine certi che conosceano l’orsa del Podestà essere mansueta, s’accostorono a lei e sciolsonla; avvisandosi i piú che qualche nuovi pesci avessono fatto questo per far trarre tutti e’ Fiorentini. E tornatisi a casa, piú dí ragionorono di questo caso, e ciascuno dicea chi serebbe stato. I piú rispondeano:
- Dillo a me e io il dirò a te.
Alcuni diceano:
- Chiunque fu, fece molto bene; ché sempre sta quella porta aperta, che non ispenderebbe né ’l vescovo né il prete un picciolo per mettervi uno chiavistello.
E cosí terminò questa novella; e quelli che l’aveano fatto, erano in un letto e scoppiavono delle risa, essendosi fatti piú volte alle finestre con gridare con le piú alte voci che aveano: «Al fuoco, al fuoco »; e quanta piú gente traea, piú ne godevano; domandando piú che gli altri in quelli di che volle dir quello, per avere diletto di chi rispondea loro.
E per ciò si dice: «Li nuovi uomeni, le nuove cose». Costoro vollono o immaginoronsi di vedere la gente armata che trae al fuoco; ché per certo chi vi pon ben mente come compariscono, e, la è cosa d’avere diletto, a vedere le nuove cappelline, le nuove cuffie e le nuove cianfarde che recano, sanza le nuove chiocciole e’ nuovi gabbani, i nuovi tabarroni, e le antiche arme; sí che appena si conoscono insieme, sguarguatando l’uno insino in sul viso all’altro, prima che si conoscano. Ma piú nuova cosa è a vedere l’usanza e l’avarizia de’ cherici, che tutte le chiese e le loro case lasciano andare a ruina prima che vogliano fare una piccola spesa. Cosí, per misertà d’un chiavistello di cinque soldi, stava la porta di questa chiesa aperta: ché molto meritava piú il vescovo e ’l prete che quelli che legarono quest’orsa alle funi delle campane, l’avessono loro legata a’ coglioni.