Il Re Torrismondo/Lettera a D. Vincenzo Gonzaga
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AL SERENISSIMO
SIGNOR DON
VINCENZO GONZAGA
DUCA DI MANTOVA, E DI MONFERRATO, ec.
La tragedia per opinione di alcuni è gravissimo componimento; come ad altri pare, affettuosissimo, e convenevole a’ giovanetti, i quali, oltre tutti gli altri, par che ricerchi per uditori. E benchè queste due opinioni pajano fra se contrarie, e discordi; ora si conosce, come possano amichevolmente concordare, perché V. A. nel fior degli anni suoi giovenili, dimostra tanta gravità di costumi e tanta prudenza, ch’a niuno altro Principe par che si convenga più questo Poema. Oltra a ciò, la Tragedia per giudizio d’Aristotele nell’esser perfetto supera ciascun’altro, e voi sete Principe, ripieno d’ogni perfezione, come quello, a cui non mancano l’antiche ricchezze, nè le virtù, e la gloria degli antecessori, nè i nuovi ornamenti accresciuti dal Padre alla vostra nobilissima stirpe, nè il proprio alore, e la propria eccellenza in essercitar le Armi, e le Lettere, nè l’azione, nè la contemplazione, e particolarmente nella Poesia, nella quale ancora può essere annoverato fra’ Principi, che nobilmente hanno scritto, e poetato. A V. A. dunque, ch’è perfet- tissimo Principe, dedico e consacro questo perfettissimo Poema, estimando che ’l dono, quantunque minore del suo merito, non sia disdicevole alla sua grandezza, nè alla mia affezione, che tanto cresce in me, quanto il saper in Lei si va accrescendo. In una cosa solamente potrebbe alcuno estimar ch’io avessi avuto poco risguardo alla sua prospera fortuna: io dico nel donare a felicissimo Principe, infelicissima composizione; ma le azioni de’ miseri possono ancora a’ beati servire per ammaestramento: e V. A. leggendo, o ascoltando questa favola, troverà alcune cose da imitare, altre da schivare, altre da lodare, altre da riprendere, altre da rallegrarsi, altre da contristarsi. E potrà col suo gravissimo giudizio purgar in guisa l’animo, e in guisa temperar le passioni, che l’altrui dolore , sia cagione del suo diletto; e l’imprudenza degli altri, del suo avvedimento; e gl’infortunj, della sua prosperità. E piaccia a Dio di scacciar lontano dalla sua Casa ogni infelicità, ogni tempesta, ogni nube, ogni nebbia, ogni ombra di nemica fortuna, o di fortunoso avvenimento , spargendolo non dico in Gotia, o in Norvegia, o ’n Svezia; ma fra gli ultimi Biarmi, e fra i mostri, e le fiere, e le notturne larve di quella corrida regione, dove sei mesi dell’anno sono tenebre di perpetua notte. Piaccia ancora a V. A. ch’ io sia a parte della sua felicità, poichè ha voluto farmi parte della sua Casa, acciocchè il Poeta non sia infelice, come il Poema, nella mia fortuna similmente a quella, che si descrive nella Tragedia: ma se le Poesie ancora hanno la rea, e la buona sorte , come alcuno ha creduto; questa essendo di mia divenuta sua, può sperare lieta e felice mutazione, e fama perpetua, ed onore, e riputazione fra gli altri componimenti, perchè la memoria della cortesia di V. A. sia immortale, ed intesa e divolgata per varie lingue nelle più lontane parti dell'ultimo Settentrione.
Di Bergamo, il primo di Settembre 1587.
Di V. Altezza Serenissima
Affezionatissimo e Devotissimo Servitore
- Torquato Tasso.