Il Re Torrismondo/Argomento
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ARGOMENTO
DI
GIULIO GUASTAVINI
Rosmonda figliuola del Re de’ Goti è data ad allevare in un antro a certe Ninfe. Queste predicono al Re, che la figlia aveva da esser cagione della morte del fratello Torrismondo, e della servitù del Regno de’ Goti. Il padre per ischivar la disavventura, la manda in su una nave a cura di Frontone in Dacia; ma nel viaggio presa da’corsali, è data ad Araldo Re di Norvegia, che per figlia l’alleva; e la nomina Alvida. Il Re di Gotia per non contristar la moglie sua, e madre della bambina col torle la figliuola, nè volendo insieme palesare a lei la sua tema, ed il suo consiglio, mette in iscambio della figlia mandata via, in casa una putta della nutrice della stessa età col nome di Rosmonda, ed ella per figliuola del Re cresce in corte. Muore il padre, e la cosa sta celata. In questo mezzo d’Alvida s’innamora Germondo Re di Svezia, e domandala al padre per moglie; ma egli nemico suo, e da lui gravemente offeso, gliela nega. Tenta altra strada l’innamorato Germondo, e fa che Torrismondo Re di Gotia suo carissimo compagno, come per sè la chieda, con intendimento, menatala a casa, vergine di cederla a lui. L’ottiene Torrismondo, e fingendo di voler consumar il matrimonio in Arana sua Città regale, in sulle navi la conduce seco: nel viaggio gettati dalla tempesta in solitario porto, e presa terra, rimasi soli nelle più interne parti del padiglione, Torrismondo incitato dalla strettezza del luogo, dal bujo della notte, e quasi forzato dalle lusinghe, dagli sguardi, e da’ molti inviti di lei, che essa credea suo sposo, seco carnalmente giace. Arrivato in Arana, rivolgendo seco l’ingiuria fatta al caro amico, disperato, delibera di morire: ma ajutato dal suo Consigliero, prendono per partito di dar Rosmonda stimata sua sorella a Germondo, ed egli ritenersi Alvida. Rosmonda, essendo stata da sua madre la verginità di lei offerta, e votata a Dio, il giorno, ch’essa nacque, e ciò dalla madre inteso allora, che al punto della morte fu, volendo osservar la promessa, è costretta a palesarsi, ed a manifestare che non è figliuola del Re, nè sorella di Torrismondo. Cerca della sorella Torrismondo, e dalla stessa intende, che fu mandata in parti lontane. Udendo ricordar il nome di Frontone, chiamasi Frontone dal Re, ed egli racconta che conducendola in Dacia furon presi ambedue da’ corsali Norvegi: ma egli, da altri corsali Goti liberato, non potè però esser liberata Rosmonda; perchè il naviglio dove ella era, scampossi via, e che intese che in Norvegia era condotta. Arriva intanto un messo di Norvegia a portar l’avviso della morte del Re padre d’Alvida; e riconosciuto da Frontone, che esso fu quegli, il quale prese il legno dove era Rosmonda, è costretto a scoprir la verità; onde confessa, che la fanciulla presa egli l’avea donata ad Araldo, il Re, al quale in quel tempo appunto era morta una sua figliuola, e che esso la nominò Alvida. Di qui riconosce la sorella Torrismondo, e da questo riconoscimento nasce incontinente la mutazion dello stato. Misero dunque, ed infelice ad Alvida afferma, che egli è suo fratello, e che ella si risolva ad ogni modo d’aver Germonda per isposo: essa nol credendo, e tenendosi beffata, e tradita, s’ammazza; il che veduto da Torrismondo, scritta prima una lettera al suo caro Germondo, con raccomandargli la madre vecchia, ed il Regno, appresso lei, passatosi col pugnale il petto, s’uccide.
La favola di questa Tragedia è bellissima, e tale appunto, quale, perchè bellissima sia, la ricerca ne’suoi precetti Aristotile. Ella non è semplice, ma inviluppata, contenendo riconoscimento, e peripezia. Le persone tragiche sono poste in mezzo della bontà, e malvagità, e piuttosto traggono alla bontà, e Torrismondo particolarmente, che è la principal persona , e che denomina la Tragedia, e da cui primieramente si cagiona lo spavento, e la compassione, cade in miseria, non per vizio, malizia, ma per imprudenza, od errore umano. Il riconoscimento è dei riconoscimenti di quella guisa, che a tutte le altre maniere antepone Aristotile, Conciossiacosachè non per opra di seggi, ma necessariamente dalle cose poste innanzi si fa avvenire; da questo incontinente, e senza indugio alcuno di tempo nasce la mutazion dello stato, e questo di felice in misero, che è il più proprio della Tragedia. Tale appunto è la formazion della favola dell’Edippo tiranno di Sofocle, la qual Tragedia fin a qui per giudicio di ciascheduno, ha tenuto lo scettro di quante Tragedie si sono mai vedute scritte in qualsivoglia lingua. Ma questa del nostro Tasso dopo tanti anni se non glielo toglie, sì almeno al pari seco nell’istesso trono per ugual bellezza, e maestà riguardevole s’asside.