Favole (La Fontaine)/Libro nono/XIX - Il Pastore e l'Armento
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- Oh Dio, non passa dì che la mascella
del lupo fra le mille
non mi rapisca qualche pecorella.
Erano mille, ahimè! non son più mille,
e ancora m’ha rapito quel rabbioso
il Ricciolin, un pecorin grazioso.
Ricciolin, che per il prato mi seguìa come un cagnòlo, Ricciolin, che colle buone fin al polo ben mi avrebbe accompagnato, Ricciolin, che la canzone conoscea del suo padrone e seguiva lieto il suono della piva, ah terribile destino! dove sei, buon Ricciolino? -
Così Taddeo con funebre lamento piangeva celebrando la memoria di Ricciolin, la gioia dell’armento, di poema degnissimo e di storia.
Quindi il gregge adunò, capri e montoni e tutti fino agli ultimi agnelletti, e disse lor di camminar più stretti, se volevan salvarsi dagli unghioni.
Le pecore promisero in parola di popolo di star dentro il confine, strette serrate per non far la fine che fece quella onesta bestiola.
E diceano: - Il tuo destino, Ricciolino, noi sapremo vendicar, e l’ingorda faccia lorda castigar -.
Lieto Taddeo delle promesse, crede che sian cose di fede; ma quando un’altra notte ancor sbucò di mezzo all’aer cupo la mala bestia, l’armento scappò. E l’ombra era d’un lupo.