Il Parlamento del Regno d'Italia/Rodolfo d'Afflitto di Montefalcone
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In Ariano, provincia del Principato Ultra, da Pantaleone e da Luisa d’Eboli dei duchi di Castropignano, il 19 marzo 1811 ha tratto i suoi giorni il marchese Rodolfo D’Afflitto.
Compito il corso dei suoi studii, fatto con estrema diligenza, sebbene in privato, incominciò la sua vita pubblica all’età di 25 anni coll’entrare nel 1834 a far parte della Consulta di Slato, avendo a tale uopo sostenuto un concorso in cui subì esame nelle belle lettere latine, nella storia pratica e nel diritto civile ed amministrativo.
Perduto il padre due anni dopo, egli si vide costretto, onde sorvegliare gli interessi della propria famiglia, a rifiutare quegli avanzamenti che gli competevano, affine di non essere obbligato ad abbandonare la capitale.
Nel 1844 fu però costretto ad accettare il posto di sotto-intendente in Sicilia, da dove ritornò poscia sul continente, sempre coll’impiego di sotto-intendente fino al 1848, epoca in cui, dopo data la costituzione, fu promosso ad intendente, esercitando le funzioni di segretario generale della provincia di Basilicata.
Offertogli il posto di intendente effettivo in quella medesima provincia, non credette di doverlo accettare, mentre vedeva quale andamento prendesse la politica del governo, e come egli in un posto di quella fatta, la cui importanza e le cui attribuzioni corrispondono a quelle di governatore nell’attuale amministrazione, fosse per assumere una risponsabililà che non divisava addossarsi. Preferì invece togliersi l’impiego di segretario generale della provincia di Napoli, impiego che non includeva nessuna azione politica (la polizia essendo esercitata in Napoli separatamente da un prefetto), ma cui incombevano soltanto funzioni amministrative.
Nel febbrajo del 1852 fu proposto da alcuni dei più ardenti sostenitori del governo borbonico di firmare una petizione che a forza di intimidazioni o di promesse di ricompensa si faceva correr per Napoli, petizione che avea per iscopo di chiedere a Ferdinando II l’abolizione di quello Statuto costituzionale che il fedifrago re non appena giurato, aveva difatto soppresso e nascosto sotto i cadaveri del 15 maggio.
Il D’Afflitto: i cui sentimenti patriotici e liberali erano troppo in opposizione con quelli che animavano i devoti al Borbone, si rifiutò ostinatamente ad apporre la sua firma a quell’atto menzognero e ridicolo, ma da quel momento ei comprese che la sua disgrazia era immancabile.
Difatti, destinato a direttore dei dritti riuniti nella provincia di Capitanata, destinazione che costituiva un oltraggio per esso dacchè era d’assai inferiore alla carica che prima copriva, non essendo di sua dignità, nè di sua convenienza il continuare a percorrere la carriera degli impieghi, diede definitiva dimissione, attirandosi di tal guisa viemmaggiormente addosso l’animadversione del governo napoletano.
Questa animadversione si tradusse in persecuzione nel primo momento in cui si offri ai governanti un pretesto di punire il marchese di Montefalcone della sua onestà e del suo patriotismo.
Avendo egli insieme a parecchi suoi amici assistito ad un funerale che solennemente venne fatto nel 1854 ad un deputato del Parlamento del 1848, atto che il governo riguardò come dimostrazione a lui avversissima, il nostro protagonista fu relegato in Foggia, ove visse quasi prigione parecchi mesi.
Allorchè finalmente le speranze d’Italia cominciarono a convertirsi in isplendide realtà, dopo la campagna quando i Napoletani, contenuti dalla mano di ferro di un governo antinazionale, vedevano con indicibile fremito di giubilo le provincie centrali riunirsi al Piemonte ed alla Lombardia per formare un più vasto regno, sul finire del settembre del 1859, il marchese D’Afflitto, insieme ad altri molti suoi amici politici compreso in quell’arbitraria ed ultratirannica misura che ebbe a far istupire l’intera Europa, e che ricordò in questo tempo di civiltà la famosa legge dei sospetti della Convenzione francese, il marchese D’Afflitto, diciam noi, venne arrestato e sostenuto nella prefettura della polizia di Napoli, con imminente minaccia di esser tradotto prigione nell’isola d’Ustica. Liberato per opera della pressione efficace esercitata sui tristi governanti dal corpo diplomatico residente in Napoli, si vide ricercare da Francesco II di Borbone la sera del 25 giugno del 1860, allorquando questi, sentendosi minacciato da vicino dai rapidi progressi dell’unificazione italiana, cercava afferrarsi, quasi a tavola di salvezza, a quegli ordinamenti costituzionali, che il padre suo ed il suo avo, dopo concessi e giurati, avevano entrambi manomessi.
Il marchese di Montefalcone, come uno degli uomini i più onesti e i meglio intenzionati, si volle a parte del nuovo ministero, di cui fu presidente e compositore il commendatore Antonio Spinelli, disegnando affidategli il dicastero dell’interno e della polizia. Ma avendo il nostro protagonista rifiutato di far parte di quell’amministrazione, ch’egli riteneva, a ragione, non potere nè dovere sussistere a lungo, si occupò invece di favorire e propagare nella capitale e nelle provincie l’idea dell’unificazione italiana, astenendosi persino dal prender possesso della carica conferitagli di consigliere di Stato, onde non esser costretto a prestare un giuramento, che egli non poteva tenere.
Giunto a Napoli Garibaldi, il d’Afflitto entrò al ministero come ministro dei lavori pubblici, ma non rimase a lungo in tal carica, non consentendo alla sua dignità il dover sottostare alle continue usurpazioni ed atti arbitrarî emananti dalla segreteria Bertani.
All’arrivo in Napoli del Re, istituito il consiglio di luogotenenza presieduto dal luogotenente cavaliere Farini, egli fu di nuovo incaricato del dicastero dei pubblici lavori, poi di quello dell’interno, nel quale impiego si rimase fino al momento in cui il cavaliere Farini ebbe data la sua dimissione, e con esso tutto il consiglio di luogotenenza.
L’illustre uomo di Stato del quale porgiamo i cenni biografici venne nominato alla dignità di senatore con regio decreto del 20 gennajo 1861.