Il Dio dei viventi/III
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Zebedeo s’alzò un poco infastidito. Nel venire da Lia egli s’era aspettato urli improperi e maledizioni; nel vederla così piegata e rassegnata al suo destino provava un certo malessere; l’avrebbe preferita violenta e accusatrice; ma la sapeva già, sebbene la conoscesse poco, donna lusinghiera e finta, di modi insinuanti; giusto per questo aveva abbindolato il povero Basilio.
Dritto davanti a lei con una mano appoggiata aperta sulla tavola la guardava dall’alto aspettando che ella finisse i suoi lamenti.
— Coraggio, — disse infine, come le facesse le sue condoglianze. — Siamo nati per soffrire. E anch’io non dovrei continuare a piangere? Era mio fratello, dopo tutto. Il tempo guarirà il nostro dolore. Addio.
S’avviò senza porgerle la mano. Ella si alzò di scatto e vide che egli aveva lasciato sulla tavola un biglietto da cento lire: e sulle prime ebbe voglia di afferrare il foglio e buttarglielo dietro; poi tremò e si irrigidì in pari tempo come un cavallo frenato e raggiunse a lunghi passi l’uomo fin sulla porta salutandolo umilmente.
Ma quando fu sola prese il biglietto e lo spiegò fra tutte e due le mani guardandolo come per esaminare se era buono; e subito dopo sollevò e scosse le braccia in direzione della porta maledicendo l’uomo e tutta la sua generazione.