Il Circolo Pickwick/Capitolo 7
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Le faticose avventure della giornata, o anche l’azione soporifera del racconto del prete, potettero tanto sulle disposizioni poco vigili del signor Pickwick, che, in meno di cinque minuti dopo essere stato menato nella sua comoda camera da letto, egli cadde in un sonno profondo e senza sogni, dal quale lo destarono i raggi del sole mattutino i quali dovettero montare fin sul letto come per rimproverarlo. Il signor Pickwick non era mica un poltrone, sicchè balzò subito come un bellicoso guerriero fuori della sua tenda... di lenzuola.
— Bel paese, bel paese! — esclamò con un sospiro entusiastico aprendo la persiana. — E chi potrebbe più vivere per aver sott’occhio giorno per giorno tetti e lavagne, dopo avere una volta sola sentito l’influenza di una scena come questa? chi potrebbe sopportare l’esistenza in un paese dove non ci fossero altre vacche che quelle dipinte sui boccali; nè altro grano che quello ammontato nei granai; nè altro segno della presenza del dio Pane che i panini e le ciambelle? Chi potrebbe consentire a vivere la sua vita in un tal luogo? chi, domando io?
E avendo così interrogato la solitudine, com’è costume di tutti i grandi uomini in simili congiunture, il signor Pickwick pose il capo fuori della finestra e girò un’occhiata all’intorno.
Si elevava fino all’altezza della finestra la fragranza acre dei covoni di fieno; i cento profumi del giardino sottostante impregnavano l’aria; i prati verdeggianti s’ingemmavano di rugiada e una gemma tremolava alle foglie degli alberi appena crollate dal vento; e gli uccelli cantavano come se su ciascuna di quelle gemme attingessero l’ispirazione al loro canto. Il signor Pickwick si sprofondò in una dolce ed appassionata meditazione.
— Ohè! — si sentì ad un tratto suonare all’orecchio.
Guardò a destra, e non vide nessuno; volse gli occhi a sinistra e poi gli spinse avanti nella prospettiva; gli spalancò verso il cielo, ma lassù non s’aveva bisogno di lui; e allora egli fece quel che una persona volgare avrebbe fatto alla prima, — guardò nel giardino e riconobbe il signor Wardle.
— Come si va? — domandò l’allegro signore, cui già il piacere che si apparecchiava a godere mozzava il fiato. — Bella giornata, eh? Piacere di vedervi così presto in piedi. Via, scendete, alla svelta. Vi aspetto qui.
Il signor Pickwick non se lo fece dire due volte. Dieci minuti gli bastarono per dare un’ultima mano alla sua toilette, e allo spirar di quelli si trovò al fianco del suo ospite.
— Ohè! — esclamò alla sua volta il signor Pickwick, vedendo che il suo compagno era armato di schioppo, e che un altro schioppo stava coricato sull’erba. — Che si fa qui?
— Il vostro amico ed io, — rispose il signor Wardle, — si va un po’ attorno prima della colazione per tirare alle cornacchie. È un buon tiratore, eh?
— Così gli ho inteso dire, — rispose il signor Pickwick, — ma non l’ho mai visto tirare a niente.
— Bene, almeno venisse subito. Joe! — Joe!
Il ragazzo grasso, il quale sotto l’azione eccitante del mattino non pareva addormentato che per tre quarti e una frazione, emerse dalla casa.
— Va su a chiamare quel signore, e digli che ci troverà nel boschetto, me e il signor Pickwick. Accompagnalo fin qui, hai inteso?
Il ragazzo si mosse per eseguire la sua commissione; e il signor Wardle, portando i due fucili come un novello Robinson Crusoe, si avviò fuori del giardino.
— Questo qui è il posto, — disse poi, fermandosi in un viale dopo pochi minuti di cammino.
L’avvertimento era inutile, poichè l’assiduo gracchiare delle inconscie cornacchie indicava sufficientemente il loro domicilio.
Il signor Wardle posò un fucile per terra e caricò l’altro.
— Eccoli qua — disse il signor Pickwick; ed apparvero in effetto nella lontananza le forme dei signori Tupman, Snodgrass e Winkle. Il ragazzo grasso, non essendo ben sicuro quale di quei signori dovesse chiamare, avea pensato con singolare acume e per evitare ogni sorta di equivoci, di chiamarli tutti.
— Venite, venite! — gridò il vecchio signore al signor Winkle; — un bravo tiratore della vostra fatta avrebbe dovuto essere in piedi da un pezzo, anche per una misera caccia come questa qui.
Il signor Winkle rispose con un sorriso forzato, e prese il fucile che stava a terra con una espressione come avrebbe potuto essere quella di una filosofica cornacchia, impressionata dal triste presentimento di una morte violenta. Poteva bene essere astuzia, ma rassomigliava molto alla perplessità.
Il signor Wardle fece un cenno del capo; e due monelli laceri, che aveano seguita fino a quel posto la brigata, incominciarono subito ad arrampicarsi sopra due di quegli alberi.
— Che fanno mo quei ragazzacci? — domandò il signor Pickwick. Una certa paura lo prendeva; imperocchè egli non era ben certo che la disgraziata condizione agricola, intorno alla quale tante cose aveva inteso a dire, non avesse spinto i ragazzi dei contadini a buscarsi una sussistenza precaria e pericolosa offrendo se stessi a bersaglio dei cacciatori inesperti.
— Servono per levare la caccia, — rispose ridendo il signor Wardle.
— Per levare...?
— Via, per spaventare le cornacchie.
— Ah! questo è tutto?
— Siete soddisfatto?
— Perfettamente.
— Benissimo. Volete che incominci?
— Se vi piace, — disse il signor Winkle, lietissimo di qualunque dilazione.
— Tiratevi da parte. A noi!
Uno dei ragazzi gridò e scosse un ramo che aveva un nido attaccato. Una mezza dozzina di cornacchini in animato chiaccherio sbucarono per domandare di che si trattasse. Il vecchio signore per tutta risposta fece fuoco. Un uccello cadde e il resto volò via.
— Raccattalo, Joe, — disse il signor Wardle.
Il ragazzo si avanzò e un’ombra di sorriso gli sfiorò la faccia. Visioni indistinte di pasticci di cornacchie si disegnarono nella sua pigra immaginazione. Preso che ebbe l’uccello, rise a dirittura. Era grasso.
— Ora a voi signor Winkle, — disse l’ospite, tornando a caricare lo schioppo. — Fate fuoco.
Il signor Winkle si avanzò e spianò il fucile. Il signor Pickwick e i suoi amici involontariamente si fecero da parte e si rannicchiarono, per paura di quella pericolosa caduta di cornacchie, che senza dubbio sarebbe stata occasionata dalla canna micidiale del loro amico.
Vi fu una pausa solenne — un grido — uno sbatter d’ali — un colpettino secco.
— Ohè! — fece il vecchio signore.
— Non va? — domandò il signor Pickwick.
— Non ha preso fuoco, — disse il signor Winkle, il quale, a motivo forse del disappunto, era pallidissimo.
— È strano, — disse il vecchio signor Wardle prendendo il fucile. — Non me l’hanno mai fatta. Ma perbacco! non ci vedo segno di capsula.
— Per l’anima mia! — esclamò il signor Winkle, — mi sono scordato della capsula.
Fu riparato alla leggiera omissione. Il signor Pickwick tornò ad accoccolarsi. Il signor Winkle si avanzò con aria risoluta; e il signor Tupman sporse il capo di dietro ad un albero. Il ragazzo gridò: quattro uccelli volarono, il signor Winkle fece fuoco. Si udì uno strido angoscioso che parve di uomo, non di cornacchia. Il signor Tupman avea salvata la vita ad un numero infinito d’innocui uccelletti, ricevendo nel braccio sinistro una porzione della carica.
Sarebbe impossibile descrivere la confusione che ne seguì. Dire come il signor Pickwick nella prima sua furia chiamasse il signor Winkle: — Sciagurato! — come il signor Tupman giacesse disteso al suolo, col signor Winkle, livido di terrore, inginocchiato al suo fianco; — come il signor Tupman invocasse nel suo delirio un nome di donna, e poi aprisse un occhio, e poi l’altro, e poi ricadesse supino e li chiudesse tutti e due; — tutto ciò non si potrebbe riferire parte a parte, come del pari sarebbe impossibile descrivere acconciamente in che modo l’infelice s’andò ripigliando, come gli fu fasciato il braccio coi fazzoletti da naso, e come finalmente fu portato a casa passo passo sulle braccia pietose degli amici suoi.
Le signore stavano aspettando sulla porta del giardino l’arrivo dei cacciatori e l’ora della colazione. La zia ragazza comparve; sbozzò un suo sorriso e fece loro cenno che studiassero il passo. Si capiva subito che non sapeva nulla del disastro. Poverina! Tante volte l’ignoranza è una vera benedizione del cielo.
— Che cosa è? — esclamò, quando furono più vicini, Isabella Wardle. — Che ha il povero vecchietto?
La zia ragazza non fece caso della malignità della nipote, o pensò che si trattasse del signor Pickwick. Agli occhi di lei Tracy Tupman era un giovanotto; ella guardava agli anni di quel caro uomo attraverso ad un cannocchiale rovesciato.
— Non vi spaventate, — gridò il vecchio ospite per rassicurare le figliuole.
La piccola brigata s’era così stretta intorno al signor Tupman che non si poteva ancora ben discernere la natura dell’accidente.
— Non vi spaventate, — ripetette il signor Wardle.
— Che c’è, che c’è? — gridarono le signore.
— Il signor Tupman s’e fatto un po’ male; non c’è altro che questo.
La zia ragazza mise un acutissimo grido, diè in uno scoppio di risa isteriche, e cadde fra le braccia delle due nipoti.
— Gettatele dell’acqua fredda sulla faccia, — disse il signor Wardle.
— No, no, — bisbigliò la zia ragazza; — mi sento meglio adesso. Emilia, Bella, un chirurgo! È ferito? È morto? È... ah, ah, ah! — E qui la zia ragazza diè in uno scoppio numero due di risa isteriche, variate da qualche strillo.
— Calmatevi, — pregò il signor Tupman, commosso fino alle lagrime da tanta simpatia per le sue sofferenze. — Cara, cara signora, calmatevi.
— È la sua voce! — esclamò la zia ragazza; e forti sintomi di uno scoppio numero tre si svilupparono immediatamente.
— Non vi agitate, ve ne prego, cara signora, — disse con tenera voce il signor Tupman. — È una cosa da nulla, ve lo giuro.
— Dunque non siete morto! — esclamò l’isterica signora. — Oh, ditemi che non siete morto!
— Non fate la sciocca, Rachele, — venne su il signor Wardle con una certa durezza che s’accordava poco al carattere poetico della scena. — Che diavolo significa ch’egli dica di non esser morto?
— No, no, non lo sono, — rispose il signor Tupman. — Non ho bisogno di altro aiuto che del vostro. Lasciate che mi appoggi al vostro braccio, — aggiunse poi in un bisbiglio, — oh, signorina Rachele!
L’agitata donna si avanzò ed offrì il suo braccio. Entrarono nella sala da pranzo. Il signor Tracy Tupman impresse dolcemente le labbra sulla mano di lei e cadde a sedere sul canapè.
— Vi sentite debole? — domandò l’ansiosa Rachele.
— No, non è niente. Starò meglio di qui a poco.
E chiuse gli occhi.
— Dorme, — mormorò la zia ragazza. (Gli organi visuali del ferito erano chiusi da circa venti secondi). — Caro, caro signor Tupman!
Il signor Tupman si rizzò di scatto, esclamando:
— Oh, ripetete quelle parole, ripetetele!
La signora trasalì.
— Voi non le avete udite, no! — disse arrossendo.
— Oh sì, le ho udite! — rispose il signor Tupman. — Ripetetele. Se vi preme la mia guarigione, ripetetele.
— Zitto, per carità! Mio fratello.
Il signor Tracy Tupman riprese la sua prima posizione; e il signor Wardle, accompagnato da un chirurgo entrò nella camera.
Il braccio fu esaminato, la ferita fasciata e giudicata di pochissimo conto; e così, sollevati gli animi di tutti, si pensò, con la gioia ch’era tornata su tutti i volti, di sollevare gli stomachi. Il solo signor Pickwick se ne stava serio e silenzioso. Il dubbio e la diffidenza gli si leggevano in viso. La sua fiducia nel signor Winkle avea ricevuto una scossa — una fiera scossa — da quanto era accaduto in quella mattina.
— Siete un buon giocatore di cricket? — domandò il signor Wardle al disgraziato cacciatore.
In qualunque altra occasione, il signor Winkle avrebbe risposto affermativamente. Ma sentì questa volta la delicatezza della sua posizione e modestamente rispose di no.
— E voi, signore? — domandò il signor Snodgrass.
— Una volta lo era, — rispose l’ospite; — ma oramai ci ho rinunziato. Appartengo al Circolo di qua, ma non piglio parte al giuoco.
— Credo che oggi appunto abbia luogo la grande sfida, — disse il signor Pickwick.
— Precisamente. Avreste piacere di assistervi, mi figuro.
— Io, signore, — rispose il signor Pickwick, — assisto con soddisfazione ad ogni sorta di esercizii che non siano pericolosi, e nei quali la poca capacità di certa gente non metta a repentaglio la vita umana.
Il signor Pickwick tacque e dardeggiò una occhiata severa sul signor Winkle, che se ne sentì accapponar la pelle. Il grand’uomo, dopo alquanti minuti, volse gli occhi in altra parte, ed aggiunse:
— È prudenza lasciare il nostro amico ferito alle cure delle signore?
— Non mi potreste lasciare in mani migliori, — rispose il signor Tupman.
— Assolutamente, — disse il signor Snodgrass.
Fu dunque stabilito che il signor Tupman resterebbe a casa, affidato alle signore; e che il resto della brigata, sotto la direzione del signor Wardle, si sarebbe avviato verso il campo dove la grande sfida dovea aver luogo, che avea destata tutta Muggleton dal suo torpore e comunicato a Dingley Dell un eccitamento febbrile.
Non dovettero fare più di due miglia; e poichè ebbero a passare per sentieri solitari o viali ombreggiati e la loro conversazione non si aggirò che sulla splendida scena che da tutte le parti li circondava, il signor Pickwick fu quasi dispiacente di aver fornito il cammino quando si trovò nella via principale di Muggleton.
Ogni persona, il cui ingegno sia dotato di una menoma inclinazione topografica, sa benissimo che Muggleton è una città che ha un corpo municipale, un sindaco, dei borghesi e degli elettori; e chiunque abbia dato un’occhiata agli indirizzi del sindaco agli elettori, o degli elettori al sindaco, o di entrambi al corpo municipale, o di tutti e tre al parlamento, saprà quel che avrebbe dovuto saper prima, cioè che Muggleton è un comune antico e leale, il quale accoppia uno zelo fervente pei principii cristiani ad un devoto attaccamento ai diritti commerciali. In prova di che, il sindaco, il corpo municipale e gli altri abitanti hanno in varie epoche presentato non meno di millequattrocentoventi petizioni contro la tratta dei negri in America, ed un egual numero di petizioni contro le ingerenze governative pel lavoro dei fanciulli nelle officine; sessantotto perchè si permettesse la vendita dei benefici in chiesa, e ottantasei per l’abolizione del commercio pubblico nei giorni di Domenica.
Il signor Pickwick si trovava nella via principale di questa illustre città, e contemplava con occhi curiosi e con vivo interesse gli oggetti che lo circondavano. Un ampio spazio quadrato era destinato a piazza di mercato; e nel suo mezzo sorgeva un grande albero con una insegna davanti, sulla quale era figurato un oggetto molto comune in arte ma che raramente s’incontra in natura, cioè un leone turchino con tre zampe in aria e che reggevasi in equilibrio sulla punta dell’unghia centrale della quarta. Si vedevano anche un ufficio di asta pubblica, un’agenzia di assicurazione contro gl’incendi, un magazzino di grani, un altro di panni, una bottega di sellaio, una distilleria, una drogheria ed una calzoleria, — la quale ultima serviva anche alla diffusione dei cappelli, berretti, costumi da uomo e da donna, ombrelli di cotone e conoscenze utili. C’era una casa di mattoni rossi con davanti una piccola corte lastricata, e che subito si riconosceva per la casa del procuratore; e c’era anche un’altra casa sempre di mattoni rossi con gelosie alla veneziana ed una bella, piastra d’ottone che la diceva in tutte lettere proprietà del chirurgo. Alcuni ragazzi si dirigevano verso il campo della sfida; e due o tre bottegai sulla soglia dei loro magazzini davano a vedere una gran voglia di pigliar la stessa direzione, come del resto avrebbero egregiamente potuto fare senza perdere per questo un gran numero di avventori. Il signor Pickwick, fatte sommariamente queste osservazioni che a miglior tempo avrebbe poi registrato, studiò il passo per raggiungere i suoi amici, che erano usciti dalla via principale e si trovavano già a vista del campo di battaglia.
Le sbarre erano a posto, come pure due tende per offrire un po’ di fresco e di riposo alle parti contendenti. Il giuoco non era ancora incominciato. Due o tre giocatori dell’uno e dell’altro campo si divertivano in aria solenne a passar con disinvoltura la loro palla da una mano all’altra; e parecchi altri signori vestiti come loro in cappelli di paglia, giacchette di flanella e calzoni bianchi — un certo costume che li facea molto rassomigliare a dilettanti manovali — stavano sparsi intorno alle tende, verso una delle quali il signor Wardle guidò la brigata.
Parecchie dozzine di Come state? Come si va? salutarono l’arrivo del vecchio signore; e un levarsi generale di cappelli di paglia e un inchinarsi di giacchette di flanella seguì la presentazione dei suoi ospiti come signori venuti da Londra, che erano estremamente ansiosi di assistere allo spettacolo annunziato, il quale senza dubbio sarebbe stato di loro pieno gradimento.
— Credo che fareste bene a mettervi sotto la tenda, signore, — disse un signore alto e robusto che rassomigliava ad una gigantesca mezza pezza di flanella elevata sopra una coppia di federe gonfiate.
— Vi ci troverete meglio, — aggiunse un altro signore robusto, che rassomigliava a capello all’altra metà della pezza sullodata.
— Grazie, troppo buono, — disse il signor Pickwick.
— Di qua, di qua, — riprese quel primo signore, — qui si notano i punti, è il miglior posto in tutto il campo; — e li precedette ansimando verso la tenda.
— Bellissimo giuoco — nobile esercizio — ginnastica eccellente — stupendo — magnifico! — tali furono le parole che colpirono l’orecchio del signor Pickwick nell’entrar che fece nella tenda; e il primo oggetto che gli venne sott’occhio fu il suo amico dall’abito verde della diligenza di Rochester, il quale teneva cattedra in mezzo a uno scelto gruppo di giocatori di Muggleton. Era un po’ meglio vestito e portava stivali; ma non c’era da pigliarlo per un altro.
Il forestiero immediatamente riconobbe i suoi amici; e, spintosi avanti, afferrò per mano il signor Pickwick e lo trascinò verso una seggiola, con l’usata impetuosità, parlando sempre per venti come se ogni cosa fosse posta sotto il suo speciale patronato e sotto la sua direzione.
— Di qua, di qua, — c’è da spassarsi mezzo mondo — birra a torrenti — manzo mandre intiere — mostarda a carri — splendida giornata — sedete, — fate come in casa vostra — piacere di vedervi — molto piacere.
Il signor Pickwick sedette, e i signori Winkle e Snodgrass ubbidirono del pari alle cortesi ingiunzioni del loro misterioso amico. Il signor Wardle, stupefatto, guardava e taceva.
— Il signor Wardle, mio amico, — disse il signor Pickwick.
— Vostro amico? — Come state, caro signore? — Amico del mio amico — qua la mano, signore.
E il forestiero strinse la mano del signor Wardle con tutto il calore di una intimità di molti anni, e poi si fece uno o due passi indietro per squadrarlo da capo a piedi, e poi tornò a stringergli forte la mano con più calore di prima.
— E com’è che siete qui? — domandò il signor Pickwick con un sorriso tra il benevolo e il sorpreso.
— Come? — Tiro alla Corona — Muggleton — trovo una società — giacchette di flanella — calzoni bianchi — rognoni al marsala — sandwiches con le acciughe — bravi amici — un incanto.
Il signor Pickwick era abbastanza versato nel sistema stenografico del forestiero per argomentare da questa rapida e scucita spiegazione che egli avea fatto conoscenza, in un modo o nell’altro, con quei signori di Muggleton; e che, con quel processo ch’era tutto suo, avea subito portato la prima conoscenza a quel grado di affettuosa dimestichezza dalla quale è assai ragionevole che scaturisca un invito. Soddisfatta dunque la sua curiosità, il signor Pickwick si aggiustò gli occhiali sul naso e si preparò ad osservare il giuoco che appunto era cominciato.
Muggleton apriva la giostra; e l’interesse divenne vivissimo quando si videro i signori Dumkins e Podder, due dei più famosi membri del circolo delle boccie, avanzarsi armati di palette verso gli sportelli loro assegnati. Il signor Luffey, l’ornamento più splendido di Dingley Dell, era destinato a respingere le palle del terribile Dumkins, e il signor Struggles fu eletto per rendere il medesimo servigio all’invitto Podder. Vari giuocatori furono sparsi per tener d’occhio le palle qua e là per il campo, e ciascuno si pose nell’atteggiamento prescritto, cioè con una mano per ginocchio e chinato il più che potesse come per offrire la schiena al salto di qualche principiante al giuoco del cavallo. Tutti i giocatori corretti fanno così; e si crede veramente che sia assolutamente impossibile di veder venire una palla stando in diversa posizione.
I giudici di campo furono situati dietro gli sportelli; si disposero gl’incaricati dei punti, e un silenzio profondo si fece. Il signor Luffey si ritirò di qualche passo dietro lo sportello dell’impassibile Podder, e per qualche secondo tenne la palla contro l’occhio destro. Dumkins, con gli occhi fissi sui movimenti di Luffey, aspettava con gran sicurezza l’arrivo di quella.
— A voi! — gridò ad un tratto il maestro del campo. La palla volò dalla mano, rapidissimamente diretta a colpire il centro dello sportello. L’accorto Dumkins parò a tempo; la ricevette sulla punta della paletta e la fece rimbalzar lontano di sopra alle teste delle vedette, che s’erano appunto chinate di più per lasciarla passare.
— Correte, correte — un’altra! A voi, su! Tirate — prendete — fermatela! Un’altra! no, sì, no, gettatela, gettatela! — Tali furono le grida che seguirono il primo colpo, alla conclusione del quale Muggleton avea guadagnato due punti.
Nè Podder dal canto suo fu tardo a coprir di allori se stesso e Muggleton. Egli cansava le palle dubbie, non curava le cattive, prendeva le buone e le faceva volare in tutte le direzioni. Le vedette erano stanche e riscaldate; i giocatori furono mutati e tirarono fino a slogarsi le braccia; ma Dumkins e Podder rimasero invincibili. Se per caso un signore attempato tentava di fermar la palla, se la vedeva rotolare fra le gambe o scivolare fra le dita. Un giocatore smilzo cercava di afferrarla, e se la sentiva sul naso e la vedeva rimbalzare con maggior violenza, mentre gli occhi gli si empivano di lagrime e il corpo gli si torceva tutto pel dolore. Se la palla era lanciata proprio al centro dello sportello, Dumkins ci era arrivato prima. Insomma, quando fu tirato il conto di Dumkins e di Podder, Muggleton avea segnato cinquantaquattro punti, mentre la tabella di quei di Dingley Dell era bianca come i loro visi. Il vantaggio era già troppo grande, nè si poteva più riafferrare. Invano l’ardente Luffey e l’entusiastico Struggles s’ingegnarono con tutti gli artifizi suggeriti loro dalla pratica e dalla bravura di riconquistare il terreno che Dingley Dell aveva perduto. Nulla valse; e di lì a poco Dingley Dell dovette cedere le armi e riconoscere la superiorità di Muggleton.
Il forestiero intanto non avea fatto che mangiare, bere e discorrere senza interruzione. Ad ogni buon colpo egli esprimeva la sua soddisfazione ed applaudiva al giocatore con una sua degnazione ed un’aria da protettore che non poteva non inorgoglire la parte interessata; mentre, ad ogni tentativo mancato per fermar la palla, ad ogni colpo falso, dava subito via al suo dispiacere in tante esclamazioni, come ad esempio: — Ah, ah! — Stupido! — Dita di burro! — Imbecille! — Baccellone! — e simili, — le quali gli facevano intorno la riputazione di giudice eccellente ed inappellabile nell’arte e nei misteri del nobilissimo giuoco delle boccie.
— Giuoco di prim’ordine — ben giuocato — parecchi colpi mirabili — disse il forestiero mentre le parti avversarie si affollavano nella tenda.
— Lo avete giocato qualche volta? — domandò il signor Wardle, che la loquacità del forestiero avea molto divertito.
— Giocato! Altro che giocato! Migliaia di volte — non qui. — Indie Occidentali — buscherìo — giuoco d’inferno — sicuro.
— Dev’essere un esercizio un po’ caldo in un clima come quello, — osservò il signor Pickwick.
— Caldo! — ma dite scottante, rovente, incendiario. Un giorno, giuoco una partita col mio amico il colonnello — lui ed io — Tommaso Blazo — a chi faceva più punti — Capo o croce — Guadagno il colpo — comincio io — sette a. m. — sei indigeni per raccogliere le palle. — Tira, piglia, tira da capo — Caldo soffocante — tutti gli indigeni spossati, svenuti — Li portano via — Altri sei indigeni — svenuti lo stesso — Blazo giuoca sostenuto da due indigeni — Non riesce a spostarmi — sviene anche lui — Portano via il colonnello — Per me continuo — Sottentra un suo fedele domestico — Quanko Samba — l’ultimo rimasto — Il sole arde, la paletta si fa a scheggie, la palla è arrostita — Cinquecentosettanta punti. — Fatica snervante — Quanko raccoglie le ultime forze — tira — coglie — bravissimo — Vado a fare un bagno e poi a desinare.
— E che ne fu di... come si chiama? — domandò uno degli astanti.
— Blazo?
— No, l’altro.
— Quanko Samba?
— Per l’appunto.
— Povero Quanko — non si riebbe mai più — messo fuori giuoco — fuori della vita — morto, signore!
E qui il forestiero cacciò la faccia in una brocca di birra, non sappiamo bene se per nascondere la sua commozione o per ingurgitare il contenuto di quella. Sappiamo solo ch’ei si fermò di botto, trasse un lungo e profondo sospiro, e sbarrò tanto d’occhi, mentre due dei principali membri del circolo di Dingley Dell, volgendosi al signor Pickwick, dicevano:
— Ci abbiamo ora un desinare alla buona al Leone turchino; vogliamo sperare che voi e gli amici vostri ci onorerete della vostra compagnia.
— Naturalmente, — disse il signor Wardle, — fra i nostri amici noi comprendiamo il signor... — e guardò al forestiero.
— Jingle, — suggerì subito questi pigliando la palla al balzo. — Jingle, Alfredo Jingle di Casapersa...
— Col massimo piacere, — disse il signor Pickwick.
— Ed anch’io, — disse il signor Alfredo Jingle, mettendosi da una parte a braccetto del signor Pickwick, dall’altra del signor Wardle, e susurrando in tutta confidenza all’orecchio del primo:
— Pranzo squisito — freddo ma eccellente — una mezza occhiata stamane in cucina — polli, pasticci, ogni sorta di cose — buoni ragazzi questi qui — persone per bene — sicuro.
Non essendovi altri preliminari da aggiustare, la brigata si sparse per la città in piccoli gruppi di due a tre; e di là ad un quarto d’ora tutti si trovavano seduti nella gran sala dell’albergo del Leone turchino. Il signor Dumkins assunse il seggio presidenziale, e il signor Luffey l’ufficio di vicepresidente.
Vi fu un alto chiacchierio, un grande acciottolio di scodelle e un frastuono corrispondente di coltelli e forchette; un continuo affaccendarsi di tre massicci camerieri ed una rapida sparizione delle vivande più o meno sostanziose; al quale movimento clamoroso e imbrogliato il faceto signor Jingle contribuiva dal canto suo come una mezza dozzina di uomini ordinarii. Quando ciascuno ebbe mangiato quel più che poteva, si levò la tovaglia e si portarono in tavola frutta, bottiglie e bicchieri; e i camerieri sparecchiarono, o in altri termini si ritirarono per appropriarsi definitivamente tutti quegli avanzi di vivande e bevande sui quali potevano giungere a metter le mani.
In mezzo al brio generale e alle conversazioni, vi era un omicciattolo con una sua cera di Non-mi-dite-niente-o-vi-contraddico, il quale se ne stava tranquillissimo, girando di tratto in tratto un’occhiata attorno quando la conversazione languiva, come se deliberasse dentro di sè di dire qualche cosa di molto massiccio, e rompendo ad ogni poco in una tosserella d’inesprimibile gravità. Finalmente, in un momento di relativo silenzio, l’omicciattolo gridò con voce altissima e solenne:
— Signor Luffey!
Tutti si chetarono e si chiusero nel più profondo silenzio, quando la persona così apostrofata rispose:
— Signore!
— Bramo, signore, indirizzarvi poche parole, se volete pregare questi signori di empire i loro bicchieri.
Il signor Jingle con aria di protezione ordinò: udite, udite! grido che fu ripetuto dagli altri commensali. Riempiti i bicchieri, il vicepresidente assunse una cera intelligente e di viva attenzione, e disse:
— La parola è al signor Staple!
— Signore, — prese a dire l’omicciattolo, alzandosi, — desidero rivolgere a voi le cose che ho da dire, non già al nostro degno presidente, perchè il nostro degno presidente forma in qualche modo, e potrei anzi dire in gran parte, il soggetto di quanto ho da dire e potrei anzi dire da... da...
— Provare, — suggerì il signor Jingle.
— Precisamente, da provare, — riprese l’omicciattolo; ringrazio il mio onorevole amico, se egli mi perrnette di dargli questo nome (quattro udite, uno dei quali veniva certo dal signor Jingle), pel cortese suggerimento. Signore, io sono un Dellese, un Dingley-Dellese (applausi). Io non posso menomamente vantare alcun titolo all’onore di appartenere alla cittadinanza di Muggleton; nè, lasciate, signore, ch’io lo dica aperto, nè quest’onore lo ambisco; e vi dirò il perchè, signore (udite). Molto volentieri io riconosco a Muggleton tutti quegli onori e quei titoli che di pieno diritto le toccano; sono in troppo numero e troppo notorii perchè sia mestieri ch’io li faccia valere o li compendii. Ma mentre, o signore, noi ricordiamo che Muggleton ha dato i natali a Dumkins e a Podder, non dimentichiamo che Dingley Dell può andar superba di un Luffey e di uno Struggles (Grandi acclamazioni). Non vorrei si pensasse ch’io voglia in alcun modo scemar la fama ed i meriti di quei primi. Io, signore, invidio loro in questa occasione la ricchezza dei loro sentimenti (Applausi). Tutti i componenti questa nobile assemblea non ignorano certo la risposta data da un grand’uomo, il quale faceva sua casa di una botte, all’imperatore Alessandro: "Se non fossi Diogene" disse quell’uomo "vorrei essere Alessandro". Io posso ben pensare che questi signori dicano anch’essi: "Se non fossi Dumkins vorrei essere Luffey; se non fossi Podder vorrei essere Struggles!" (Entusiasmo). Ma, signori di Muggleton, è forse soltanto pel giuoco delle boccie che i vostri concittadini vanno famosi? Non avete mai udito accoppiare il nome di Dumkins col coraggio? non avete mai imparato ad unire il nome di Podder con la proprietà? (Grandi applausi). Non siete mai stati ridotti, sia pure per un momento, quando avete lottato pei vostri diritti, per le vostre libertà, pei vostri privilegi, non siete stati, dico, ridotti all’abbattimento o alla disperazione? E, quando tanta iattura vi ha stretti, non è stato forse il nome di Dumkins che vi ha riacceso nel seno le fiamme che s’erano spente; e non è forse bastata una sola parola di lui a farle brillare di più splendida luce? (Applausi fragorosi). Signori, io v’invito ad acclamare con un grido di evviva i nomi congiunti in un solo di Dumkins e Podder!"
Qui tacque l’omicciattolo, e la brigata scoppiò in un vocìo e in un frastuono di pugni sulla tavola, che durò con brevi soste per tutto il resto della serata. Altri brindisi furono portati. Il signor Luffey e il signor Struggles, il signor Pickwick e il signor Jingle furono, ciascuno alla sua volta, argomento di sperticati elogi; e ciascuno rese per quell’onore le maggiori azioni di grazie.
Entusiasti come siamo della nobile causa alla quale ci siamo dedicati, avremmo ora provato un sentimento d’ineffabile orgoglio e la coscienza di aver meritata quella immortalità della quale siamo privi, se avessimo potuto porre almeno un abbozzo di questi brindisi e discorsi sotto gli occhi dei nostri avidi lettori. Il signor Snodgrass, come al solito, prese un gran numero di note, dalle quali avremmo potuto attingere le più utili ed autorevoli informazioni, se la calda eloquenza delle parole o l’influenza febbrile del vino non avesse fatta così malferma la mano del nostro amico, da rendere quasi inintelligibile il suo carattere e senza quasi il suo stile. A furia di pazienti investigazioni, siamo nondimeno riusciti a decifrare alcuni caratteri che hanno una pallida rassomiglianza coi nomi degli oratori; ed arriviamo anche a discernere la trascrizione di una canzone (cantata probabilmente dal signor Jingle), nella quale le parole nappi scintillanti, rubino, brillanti e vino sono ripetute a brevi intervalli. Ci pare anche di poter decifrare proprio in coda alle note, qualche indistinta allusione a polli arrosto; e poi le parole rifreddo e senza vengono appresso; ma poichè qualunque ipotesi potessimo fondarvi sopra non potrebbe avere che un valore puramente congetturale, non ci sentiamo disposti ad abbandonarci ad alcuna delle considerazioni cui esse darebbero origine.
Torneremo dunque al signor Tupman; aggiungendo soltanto che, pochi minuti prima della mezzanotte, l’assemblea degli eletti di Dingley Dell e di Muggleton fu udita cantare con grande enfasi e passione la bella e patetica aria nazionale:
Non si va a casa prima di giorno,
Se prima il giorno non fa ritorno;
Se non si vede spuntare il giorno
Non si ritorna a casa un corno.