Il Circolo Pickwick/Capitolo 55
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— Samuele, — disse il signor Weller, avvicinandosi al figlio la mattina dopo il funerale, — l’ho trovato, Sam. Ci avevo pensato che doveva star lì.
— Che cosa lì? — domandò Sam.
— Il testamento di vostra matrigna, Sam, in virtù del quale s’hanno da pigliare quelle tali disposizioni che vi ho ieri sera a proposito dei fondaci.
— Come, non vi avea detto dove l’avea messo?
— Nemmeno per sogno, Sam. Stavamo aggiustando le nostre piccole differenze, ed io cercava con le belle parole di tenerla su, sicchè mi scordai proprio di domandarglielo. Non so davvero come avrei fatto a dirglielo, se me ne fossi ricordato; perchè gli è una certa cosa non so come, Sam, quell’informarsi della proprietà di uno quando state lì ad assisterlo. Gli è come chi aiutasse ad alzarsi un passeggiero caduto in un fosso e gli mettesse la mano in tasca domandandogli con un sospiro come si sente.
Con questa immaginosa illustrazione della sua idea, il signor Weller sfibbiò il suo taccuino e ne cavò un foglio piuttosto sudicio, sul quale erano tracciati vari caratteri in una certa confusione molto notevole.
— Questo qui è il documento, Sam, — disse il signor Weller. — L’ho trovato nel ramino nero sull’ultima scansia dello stipetto dietro al banco. Prima di maritarsi, Sam, metteva sempre lì dentro i biglietti. L’ho veduta tante e tante volte alzare il coperchio per saldare qualche conto. Povera creatura, avrebbe potuto empire di testamenti tutti i ramini della casa senza soffrirne nè punto nè poco, perchè in questi ultimi tempi non se ne serviva troppo per fare il tè, meno nelle sere quando si riuniva la Società di Temperanza, quando mettevano il tè sotto per metterci sopra gli spiriti.
— E che dice? — domandò Sam.
— Proprio quello che vi dicevo io, bambino mio. Duecento sterline a mio figliastro, Sam, il resto della mia proprietà di ogni genere e qualità a mio marito, il signor Tony Weller, che nomino mio solo esecutore.
— E questo è tutto?
— Questo è tutto. E siccome non c’è che dire e voi ed io, che siamo le sole parti interessate, ne siamo contenti, mi pare a me che tanto vale buttarlo nel fuoco questo pezzo di foglio.
— Che fate mo, matto che siete? — gridò Sam strappandogli il foglio di mano, mentre il vecchio genitore andava ingenuamente attizzando il fuoco per mettere in atto il suo disegno. — Un bell’esecutore davvero!
— E perchè no? — domandò il signor Weller, voltandosi con un’occhiata severa e con le molle in mano.
— Perchè no! Perchè bisogna provarlo, certificarlo, giurarlo, e tante altre diavolerie di formalità.
— Dite davvero? — domandò posando le molle il signor Weller.
Sam intascò il testamento, si abbottonò, e rispose con un’occhiata ch’ei diceva davverissimo e con la massima serietà del mondo.
— Allora ti dirò io come sta la cosa, — disse il signor Weller dopo una breve meditazione; — questo qui gli è un affare per quel tale amico del Gran Cancelliere. Pell ci ha da dare un occhio, Sam. Egli è l’uomo per una questione legale un po’ imbrogliata, e questa di adesso, Sam, la faremo subito portare innanzi alla Corte degli Insolvibili.
— Non ho mai visto un vecchio zuccone di questa forza! — esclamò Sam stizzito, — con le sue Corti, e i suoi Old Baileys, e i suoi alibì e tante altre diavolerie che gli trottano pel capo. Il meglio è che vi vestiate e veniate in città per sbrigare questa faccenda, invece di star qui a predicare di cose che non ne capite niente.
— Benissimo, Sam, — rispose il signor Weller. — Io son pronto a fare qualunque cosa che ce ne faccia cavar le mani al più presto. Ma sentite a me, bambino mio, non c’è che Pell, non c’è nessun altro come Pell, in queste materie di tribunali.
— E io non ne voglio altri. Sicchè, venite?
— Un momento, Sam, — rispose il padre, il quale legatosi lo scialle alla gola con l’aiuto di uno specchietto appeso alla finestra, si andava sforzando per via di straordinarie contorsioni di ficcarsi nel panciotto. — Un momento, Sam; quando vi sarete fatto vecchio come vostro padre, non farete così presto come fate adesso a infilarvi il panciotto.
— Se avessi a durare tanta fatica, non ne porterei a dirittura.
— Lo dite adesso, — osservò il signor Weller con tutta la gravità degli anni, — vedrete in seguito che quanto più grasso vi farete tanto diverrete più savio. La grassezza e la saggezza, Sam, crescono sempre insieme.
Nel dar fuori questa massima infallibile — effetto di molti anni di esperienza ed osservazione personali — il signor Weller s’ingegnò con un abile contorcimento di tutto il corpo di abbottonarsi l’ultimo bottone del pastrano. Fermatosi poi un poco per ripigliar fiato, si spazzolò il cappello con la manica e dichiarò di esser pronto.
— Siccome valgono più quattro teste che due Sam, — disse poi nell’andar che facevano alla volta di Londra nel biroccino, — e siccome tutta questa proprietà dev’essere una gran tentazione per cotesta gente di legge, ci piglieremo con noi un par d’amici, che gli daranno subito addosso se non avesse a filar diritto; due di quelli che vi accompagnarono alla Fleet quel tal giorno. Non c’è nessuno, — aggiunse il signor Weller abbassando la voce, — non c’è nessuno come loro per conoscere un cavallo.
— E un avvocato anche? — domandò Sam.
— L’uomo che si sa formare un concetto giusto di un animale, si può formare un concetto giusto di ogni cosa, — rispose il padre con tanta solennità dommatica che Sam non tentò menomamente di opporsi.
In conseguenza di questa importante risoluzione furono pregati dei loro servigi l’uomo dal viso butterato e due altri vetturini molto grassi — scelti dal signor Weller, a motivo forse della loro grassezza e quindi della loro saviezza; — e ottenuto il valido aiuto, tutta la brigata prese stanza nell’osteria di via del Portogallo, donde un messo fu spiccato alla Corte degli Insolvibili per pregare il signor Salomone Pell di venire immediatamente.
Per buona sorte il messo trovò il signor Pell nella corte, il quale, essendo un po’ scarsi gli affari, s’andava confortando con una colazione rifredda di biscotti e cervellate. Ricevuta appena l’ambasciata, si ficcò ogni cosa in tasca insieme con vari documenti di professione, e si avviò con tale alacrità che era arrivato all’osteria prima che il messo fosse riuscito ad uscir dalla corte
— Signori, — disse il signor Pell toccandosi il cappello, — i miei doveri a tutti. Non è già per farvi la corte, signori, ma non ci sono altri cinque uomini nel mondo pei quali mi sarei scomodato quest’oggi dalla corte.
— Tanto affaccendato, eh? — domandò Sam.
— Affaccendato! — rispose Pell; — affogato a dirittura, come il mio amico il fu Gran Cancelliere mi diceva spesso signori, quando usciva dall’aver risposto alle tante interpellanze della Camera dei Lord. Pover’uomo! era sensibilissimo alla fatica; gli facevano una grande impressione quelle interpellanze. Davvero che più d’una volta ho avuto paura di vedercelo rimaner sotto.
Qui il signor Pell crollò il capo e tacque; al che il signor Weller seniore, dando di gomito al suo vicino come per fargli notare le relazioni aristocratiche dell’avvocato, domandò se quel gran lavoro aveva avuto qualche effetto pernicioso sulla salute del suo nobile amico.
— Non credo che se ne riavesse più, — rispose Pell, — posso anzi affermare che non se ne riebbe. "Pell" mi diceva egli tante volte "come diamine possiate resistere al gran lavoro che fate, è una cosa che non mi spiego." — "Il fatto è" rispondevo io "che nemmeno io lo so, parola d’onore." — "Pell" aggiungeva egli sospirando e guardandomi con un po’ d’invidia... un’invidia amichevole, capite, signori, nient’altro che amichevole; io non ne tenevo conto, naturalmente, — "Pell, voi siete una maraviglia; siete una maraviglia". Ah! signori, quanto vi sarebbe piaciuto quell’uomo lì, se l’aveste conosciuto. Portatemi un bicchierino di rum, carina.
Volgendo alla fantesca quest’ultima osservazione in tono dolente e rassegnato, il signor Pell sospirò, si guardò alle scarpe, alzò gli occhi al soffitto, e finalmente, essendo arrivato il rum, se lo beve.
— In tutt’i modi, — disse poi tirandosi una seggiola presso la tavola, — Una persona pubblica non ha il diritto di pensare alle sue amicizie private, quando si ha bisogno della sua assistenza legale. A proposito, signori, dall’ultima volta che ho avuto l’onore di vedervi, abbiamo avuto da lamentare una perdita dolorosissima.
Il signor Pell cavò di tasca un fazzoletto, ma non se ne servì altrimenti che per asciugarsi una goccia di rum attaccata al labbro superiore.
— Lo lessi nell’Advertiser, signor Weller, — riprese a dire. — Appena cinquantadue anni! è incredibile... non ci si può pensare.
Queste espressioni tronche di uno spirito meditativo erano dirette all’uomo dal viso butterato, del quale il signor Pell avea per caso incontrato gli occhi; al che quegli, avendo una comprensione piuttosto nebbiosa di tutte le cose in generale, si agitò sulla seggiola, e manifestò l’opinione che, in effetto fino ad un certo punto, non si potea capire come le cose erano arrivate a questo punto; osservazione profonda e sottile, che non poteva essere nè fu da alcuno contrastata.
— Ho sentito dire che era una bella donna, signor Weller, — disse Pell affabilmente.
— Sissignore, non c’è male, — rispose il signor Weller, non molto contento di questo modo di entrare in materia, ma pensando nondimeno che l’avvocato, per la sua lunga intimità del Gran Cancelliere, la dovea saper lunga in materia di convenienza e di riguardi sociali. — Era una bella donna, signore, quando la conobbi la prima volta. Era vedova allora.
— Curiosa! — esclamò Pell guardando intorno con un mesto sorriso; — anche la signora Pell era vedova.
— Una cosa straordinaria, — osservò l’uomo butterato.
— Strana coincidenza, — disse Pell.
— Niente affatto, — notò con tono burbero il signor Weller. — Le vedove si maritano più spesso delle ragazze.
— Benissimo, benissimo, — rispose Pell, — avete perfettamente ragione, signor Weller. La signora Pell era una donna elegantissima e compita; i suoi modi erano l’ammirazione di tutto il vicinato. Io era orgoglioso di veder ballare quella donna lì; aveva nei movimenti un certo che di fermo, di dignitoso e nondimeno di naturale. Il suo portamento, signori, era la stessa semplicità... Ah, bene, bene! Scusate l’indiscretezza, signor Samuele, — proseguì l’avvocato abbassando la voce, — era alta vostra matrigna?
— Non molto, — rispose Sam.
— La signora Pell era alta della persona; una splendida donna, dall’aspetto nobile, ed un naso, signori, pieno di dignità e d’imponenza. Mi amava molto, signori, moltissimo; parentado dei più alti, anche; il fratello di sua madre, signori, fallì per ottocento sterline come cartolaio legale.
— Va benissimo, — venne su il signor Weller cui questa discussione aveva un po’ dato ai nervi, — ma veniamo ora agli affari.
La parola suonò armoniosa all’orecchio di Pell, il quale dubitava ancora se lo avessero invitato per trattar qualche affare o semplicemente per offrirgli dell’acquavite e un bicchiere di ponce. Gli brillarono gli occhi e posando il cappello sulla tavola, disse:
— Di che affare si tratta? Qualcuno di questi signori ha da sbrigarsela con la Corte? C’è bisogno d’un arresto; un arresto amichevole basterà, voi mi capite; siamo tutti amici qui, suppongo?
— Date qua il documento, Sam, — disse il signor Weller, pigliando il testamento dalle mani del figlio che mostrava divertirsi un mondo a quel colloquio. — Si tratta, signore, che abbiamo bisogno di una autenticità.
— Autentica, mio caro signore, autentica, — corresse Pell.
— Sta bene; con l’à o senza l’à, torna lo stesso, mi pare; se non mi capite voi, credo che potrò trovare chi mi capisce.
— Senza offesa, spero, signor Weller. Voi siete l’esecutore, a quanto vedo dal documento.
— Per l’appunto.
— Questi altri signori qui, sono legatari, mi figuro, non è così?
— Sam è legatinaria; questi altri signori sono amici, venuti per veder che le cose vadano in regola; una specie di arbitri, capite.
— Ah, capisco, capisco! Nessuna obbiezione da parte mia. Soltanto mi favorirete un acconto di cinque sterline, tanto per cominciare, ah! ah! ah!
Avendo il comitato deciso che le cinque sterline bisognava anticiparle, il signor Weller sborsò la somma; dopo di che una consultazione lunga ebbe luogo a proposito di niente, durante la quale il signor Pell dimostrò, con piena soddisfazione di quei signori che sorvegliavano la cosa, che se l’affare non fosse stato affidato alle sue mani sarebbe andato tutto di traverso, per ragioni non chiarissime ma certo sufficienti. Fissato questo punto importante, il signor Pell si ristorò con tre costolette annaffiate di liquidi dolci e spiritosi, sempre a spese della proprietà in questione, e quindi mossero tutti insieme per Doctors Commons.
Il giorno appresso un’altra visita si fece a Doctors Commons, dove non poco s’ebbe da fare con un famiglio testimone, il quale essendo ubbriaco rifiutava di giurare altrimenti che attaccando dei moccoli, con grandissimo scandalo del procuratore e del vice cancelliere. Altre visite ebbero luogo la settimana appresso, e sempre a Doctors Commons, e poi anche una visita all’Officio dei Legati; e s’ebbe ad iniziar contratti per poter disporre del capitale e della bottega, e ratifiche ed inventari da fare, e colazioni e desinari da mangiare, e tante altre cose utili da sbrigare, e un tal monte di carte da accumulare, che il signor Salomone Pell e il suo fattorino e la sacca professionale si gonfiarono in guisa che nessuno gli avrebbe presi per lo stesso Pell, lo stesso fattorino e la stessa sacca, che pochi giorni innanzi si vedevano girandolare in via del Portogallo.
Finalmente, aggiustate che furono tutte queste gravi faccende, fu fissato un giorno per la vendita e il trasferimento in rendita e per recarsi a tale scopo dal signor Wilkins Flasher, agente di cambio, dalla parte della Banca, raccomandato dal signor Salomone Pell.
L’occasione era in certo modo festiva, e gli interessati erano vestiti per l’occasione. Il signor Weller portava gli stivaloni lustrati di fresco e un vestito lindo e pulito; l’uomo butterato aveva all’occhiello una gran dalia con varie foglie, e i soprabiti degli altri due amici erano adornati di mazzolini di lauro e altra verdura. Tutti e tre portavano il vestito delle feste; erano cioè avviluppati fin sotto al mento, e s’erano messo addosso quanta roba potevano, che è precisamente ed è stata sempre l’idea che un vetturino s’è fatta di un vestito di gala fino dall’invenzione delle vetture.
Il signor Pell, puntuale all’ora, aspettava al solito convegno; ed anch’egli portava un par di guanti e una camicia pulita, molto sfrangiata al solino e ai polsini per frequenza di bucati.
— Un quarto per le due, — disse Pell guardando all’orologio della sala. — Se arriviamo dal signor Flasher alle due e un quarto, ci troveremo giusto in tempo.
— Che direste di un sorso di birra, signori miei? — suggerì l’uomo butterato.
— Con un pezzettino di carne rifredda? — aggiunse il secondo vetturino.
— E un’ostrica? — incalzò il terzo che era un pezzo d’uomo rauco sostenuto da due gambe che parevano fagotti.
— Ah, ah! — esclamò Pell; — per congratularsi col signor Weller della sua presa di possesso, eh? ah! ah!
— Con tutto il piacere, signori, — rispose il signor Weller — Sam, suonate il campanello.
Sam obbedì. Vennero la birra, la carne rifredda e le ostriche, e fu fatta ampia giustizia alla colazione. Sarebbe odioso fare delle distinzioni e delle preferenze; ma se qualcuno andò alquanto innanzi agli altri, fu appunto il vetturino rauco, il quale ingollò una pinta di aceto con le ostriche, senza tradire la menoma emozione.
— Signor Pell, — disse il signor Weller seniore, mescolando un bicchiere di acquavite ed acqua, come uno n’ebbero tutti dopo sparecchiate le ostriche; — signor Pell, era mia intenzione di proporre in questa occasione un brindisi per l’affare dei fondaci; ma Samuele mi ha detto all’orecchio...
A questo, il signor Sam, che s’avea mangiato le sue ostriche in silenzio e sorridendo tranquillamente gridò:
— Udite! — a voce molto alta.
— ... mi ha detto all’orecchio che sarebbe molto meglio dedicare il liquore alla vostra salute e prosperità, e a ringraziarvi del modo con cui avete trattata e sbrigata questa faccenda. Alla vostra salute, dunque.
— Un momento, — interruppe l’uomo butterrato con subita energia, — guardate tutti a me, signori.
Così dicendo, l’uomo butterato si alzò, e tutti lo imitarono. Girò un’occhiata intorno e lentamente levò la mano, al che ciascuno dei presenti (non escluso l’uomo butterato) facendo gran provvista di fiato alzò il bicchiere alle labbra. Ad un tratto l’uomo butterato abbassò di nuovo la mano, e tutti i bicchieri furono posati sulla tavola vuoti. È impossibile descrivere l’effetto solenne prodotto da questa cerimonia dignitosa, commovente, piena di grandiosità.
— Ebbene, signori, — disse il signor Pell — io non posso dire altro se non che tutti questi attestati di fiducia debbono riuscire graditissimi a un uomo della professione. Io non voglio dire alcuna cosa che possa parere egoistica, o signori, ma son lietissimo, nel vostro medesimo interesse, che vi siate diretti a me: ecco tutto. Se invece vi foste diretti a un qualunque membro da dozzina della professione, io porto fermo convincimento e ve ne do certezza, che vi sareste trovati intrigati assai e condotti ad un mal passo. Io avrei quasi voluto che il mio nobile amico fosse ancora vivo per vedere in che maniera ho condotto io questo affare; non lo dico già per farmi un vanto, ma io credo... del resto, signori, non vi parlerò di questi particolari tutti personali. Mi si trova qui generalmente, signori; ma se non son qui, o di faccia, ecco qua il mio indirizzo. Troverete le mie condizioni molto discrete e ragionevoli, e non c’è chi curi più di me gli interessi del cliente, e spero bene che della mia professione ne so qualche cosa. Se vi si dà per avventura l’opportunità di raccomandarmi a qualcuno dei vostri amici, io vi sarò obbligatissimo, signori, e anch’essi vi saranno obbligatissimi quando verranno a conoscermi. Alla vostra salute, signori.
Così conchiudendo, il signor Pell pose tre biglietti davanti ai tre amici del signor Weller, e guardando di nuovo all’orologio, disse che gli parea tempo di andare. Il signor Weller saldò il conto, e tutti di conserva si avviarono alla City.
Lo studio del signor Wilkins Flasher era posto ad un primo piano sopra un cortile dietro la Banca d’Inghilterra; la casa del signor Wilkins Flasher era a Brixton; il cavallo e il carrozzino del signor Wilkins Flasher erano in una scuderia lì accanto; il fantino del signor Wilkins Flasher era andato al West End a portare certa caccia; lo scrivano del signor Wilkins Flasher era andato a pranzo; sicchè lo stesso signor Wilkins Flasher gridò: "Entrate" quando il signor Pell e i suoi compagni bussarono.
— Buon giorno, signore, — disse Pell inchinandosi con ossequio. — Dobbiamo fare un piccolo trasferimento, se non vi dispiace.
— Ah, ah! entrate, prego, — disse il signor Flasher. — Sedete un momento; son subito da voi.
— Grazie, signore, — disse Pell, — non c’è fretta. Prendete una seggiola, signor Weller.
Il signor Weller prese una seggiola, Sam prese una scatola, gli arbitri presero quel che potettero, e si misero a guardare l’almanacco e uno o due fogli attaccati al muro con la stessa ammirazione con cui avrebbero guardato i più bei sforzi dei vecchi maestri.
— Ebbene, ci scommetto mezza dozzina di bottiglie di Bordeaux; andiamo! — disse il signor Flasher riprendendo la conversazione interrotta dall’entrata del signor Pell.
Erano rivolte queste parole a un giovinotto elegante che portava il cappello di sghembo sulla fedina destra, e appoggiato indolentemente sulla scrivania andava con una riga ammazzando le mosche. Il signor Flasher si dondolava sopra due gambe di uno sgabelletto, frecciando una scatola di ostie con un temperino, che di tanto in tanto facea cader con gran destrezza proprio nel centro di un’ostia rossa appiccicata sul coperchio. Portavano entrambi la sottoveste molto aperta e il solino molto scollato, scarpini strettissimi, anelli massicci, orologi minuscoli, catene grossissime, calzoni che non facevano una grinza e fazzoletti profumati.
— Non ho mai scommesso una mezza dozzina, — rispose il giovinotto. — Accetto per una dozzina invece.
— Vada per una dozzina, Simmery!
— Prima qualità, s’intende.
— Naturalmente.
E il signor Flasher registrò la scommessa in un taccuino con un toccalapis d’oro, e il giovinotto registrò anch’egli in un altro taccuino con un altro toccalapis d’oro.
— Ho visto qualche cosa a proposito di Boffer, — osservò il signor Simmery. — Povero diavolaccio, ha avuto lo sfratto.
— Scommetto dieci sterline contro cinque che si taglierà la gola, — disse il signor Flasher.
— Accettato, — rispose il signor Simmer.
— Adagio però! Può anche darsi che s’appicchi.
— Benissimo, — rispose il signor Simmery, cavando di nuovo il toccalapis d’oro. — Vada per l’emendamento. Diciamo, per togliere ogni questione, se ne va all’altro mondo.
— Si uccide, in una parola.
— Perfettamente, si uccide. Ecco scritto. "Flasher, dieci sterline contro cinque che Boffer si uccide". Fra quanto tempo?
— Vogliamo dire quindici giorni?
— No, perbacco, — esclamò il signor Simmery fermandosi un momento per schiacciare una mosca con la riga. — Diciamo una settimana.
— Dividiamo la differenza e facciamo dieci giorni.
— Vada per dieci giorni.
Fu dunque registrato nei taccuini che Boffer si sarebbe ucciso fra dieci giorni, o che il signor Wilkins Flasher avrebbe sborsato al signor Frank Simmery la somma di sterline dieci; e che se Boffer invece si uccideva prima di quel periodo, il signor Frank Simmery avrebbe sborsato al signor Wilkins Flasher la somma di sterline cinque.
— Mi dispiace assai che abbia dovuto fallire, — disse il signor Flasher. — Che pranzi erano i suoi!
— E che vini! Abbiamo dato ordine al nostro maestro di casa che si presenti domani alla vendita, per accaparrarsi un po’ di quello di sessantaquattro anni.
— Siete un diavolo, siete! Anche il mio maestro di casa ci va. Cinque sterline che il mio uomo la vince sul vostro.
— Accettato.
Un’altra registrazione fu fatta nei due taccuini coi toccalapis d’oro; e il signor Simrnery avendo intanto ammazzato tutte le mosche e accettato tutte le scommesse, se n’andò alla Borsa per vedere se c’era qualcosa di nuovo.
Il signor Flasher condiscese finalmente a ricevere le istruzioni del signor Salomone Pell. Empì certi suoi moduli a stampa e pregò quei signori di seguirlo fino alla Banca, i quali lo seguirono spalancando tanto d’occhi dallo stupore per tutto ciò che vedevano, meno Sam la cui calma era, come sempre, imperturbata.
Attraversando un cortile pieno di trambusto, e passando davanti a due portinai rossi che parevano messi lì a raffaccio della pompa che stava in un angolo, entrarono nell’ufficio cercato, dove Pell e il signor Flasher lasciarono gli altri per pochi momenti e montarono all’ufficio dei testamenti.
— Che posto è questo qui? — bisbigliò l’uomo butterato all’orecchio del signor Weller.
— L’ufficio dei consolidati, — rispose nello stesso tono l’esecutore.
— E che cosa sono quei signori lì seduti dietro i banchi? — domandò il vetturino rauco.
— Saranno i consolidati, mi figuro, — rispose il signor Weller. — Non sono i consolidati, Sam?
— O che vi figurate mo che i consolidati siano vivi? — esclamò Sam.
— Che ho da sapere io? — ribattè il signor Weller; — mi pareva che si somigliassero. E che cosa sono allora?
— Scrivani, — disse Sam.
— E perchè mangiano pane e prosciutto? — domandò il padre.
— Perchè, mi figuro, sarà il loro dovere, — rispose Sam; — è una parte del sistema; non fanno che questo dalla mattina alla sera.
Il signor Weller e i suoi tre amici avevano appena avuto il tempo di riflettere su questo singolare ordinamento relativo al sistema monetario del paese, quando furono raggiunti da Pell e dal signor Flasher, che li menarono ad un certo punto del banco sul quale era attaccata una tabella nera con un gran W scrittovi sopra.
— A che serve questo? — domandò il signor Weller, indicando a Pell la tabella nera.
— La prima lettera del cognome della defunta, — rispose Pell.
— Dico eh! — disse il signor Weller voltandosi verso gli arbitri. — C’è del buio qui. La nostra lettera è V; questa faccenda qui s’ha da aggiustare.
Decisero gli arbitri che la trattazione ulteriore dell’affare non sarebbe stata legale con la lettera W, e molto probabil mente si sarebbe stati una giornata intera a discutere, se non fosse stato per l’atto pronto e poco rispettoso di Sam, il quale afferrando il padre per una falda del soprabito, lo trascinò al banco e ve lo tenne sodo, finchè non l’ebbe visto apporre la sua firma a due istrumenti; operazione così lunga e faticosa pel signor Weller che soleva scrivere lo stampato, che lo scrivano incaricato ebbe il tempo di mondare e tagliare a pezzettini tre nespole del Giappone.
Siccome il signor Weller si ostinò a voler subito vendere la parte sua, passarono tutti dalla Banca alla Borsa, dove il signor Flasher, dopo breve assenza, tornò con un biglietto all’ordine su Smith, Payne e C., per cinquecentotrenta sterline, che costituivano al corso della giornata la quantità di rendita della seconda signora Weller, spettante al marito. Le duecento sterline di Sam furono a lui intestate, e il signor Flasher, intascata che ebbe con aria astratta la sua commissione, se ne tornò dondolandosi al suo studio.
Il signor Weller s’incaponì sulle prime a non cambiare il suo biglietto che in tante monete d’oro; ma avendogli gli arbitri fatto notare che a questo modo egli avrebbe dovuto sottostare alla spesa di un sacchetto per portarsele a casa, si piegò a riscuotere la somrna in biglietti da cinque sterline.
— Mio figlio ed io, — disse il signor Weller nell’uscire dalla Banca, — abbiamo per quest’oggi un certo impegno che non se ne può fare a meno; sicchè vorrei aggiustare una volta per tutte questa faccenda e andare in qualche posto a fare i conti.
Si trovò subito una camera tranquilla, e i conti furono prodotti ed esaminati. Il conto del signor Pell fu tassato da Sam, con qualche tara voluta dagli arbitri; ma, a malgrado della dichiarazione del signor Pell accompagnata da molti e solenni giuramenti che davvero lo si trattava troppo male, fu questo senza dubbio il più grasso guadagno che avesse mai fatto, dal quale riuscì a cavare l’alloggio, il desinare e la lavatura della biancheria per sei mesi di fila.
Gli arbitri si dettero la mano e si partirono, avendo la sera stessa da andare fuori di città. Il signor Salomone Pell, vedendo che pel momento la cosa non pigliava alcuna piega manducatoria o bevitoria, tolse affabilmente commiato; e Sam e il padre rimasero soli.
— Ecco fatto, — disse il signor Weller, ficcandosi il portafogli nella tasca dei calzoni. — Coi biglietti pel negozio e con la rendita e tutto il resto, ci ho qui dentro mille e centottanta sterline. Andiamo, Sam, bambino mio, voltiamo i cavalli verso il Giorgio ed Avvoltoio.