Il Circolo Pickwick/Capitolo 38
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Quel gentiluomo nato a cattiva stella che era stato cagione disgraziatissima dell’insolito trambusto che avea messo sossopra gli abitanti del Royal Crescent, come di sopra s’è narrato, dopo aver passato una notte agitatissima, lasciò il tetto, sotto il quale dormivano ancora i suoi amici, senza sapere egli stesso dove dirigere i passi. I nobili e prudenti sentimenti che persuadevano il signor Winkle a prendere questo partito non saranno mai nè abbastanza apprezzati nè troppo caldamente elogiati. "Se — ragionava da sè a sè il signor Winkle — se questo Dowler tenta, come non dubito punto che tenterà, di tradurre in atto la sua minaccia di violenza personale contro di me, io non potrò fare a meno di sfidarlo. Egli ha una moglie; questa moglie è legata a lui, ha bisogno di lui. Giusto cielo! se mai l’avessi ad uccidere nell’accecamento della mia rabbia, quali rimorsi non mi strazierebbero per tutto il resto della mia vita!" Questa dolorosa considerazione potette tanto sull’animo del generoso giovane da fargli battere insieme i ginocchi e da mettergli sul viso tutti i segni della più profonda commozione interna. Spinto da siffatte riflessioni, ei diè di piglio alla sua sacca da notte, e cautamente scendendo le scale, chiuse col minor rumore possibile la sciagurata porta di strada, e si trovò all’aperto. Avviandosi allora verso il Royal Hôtel, trovò una diligenza che appunto partiva per Bristol; e pensando che Bristol faceva al fatto suo come qualunque altro posto, montò a cassetta e arrivò a destinazione con quella ragionevole speditezza che si doveva attendere da due cavalli, i quali facevano tutta la corsa, andata e ritorno, due volte al giorno e forse più.
Pigliò alloggio alla Siepe; e proponendosi di rimandare ogni sorta di comunicazione per lettera al signor Pickwick fino a che l’ira del signor Dowler fosse probabilmente svaporata, andò fuori a girar per la città, che lo colpì per essere un’ombra più sudicia di ogni altra città veduta prima. Visitati i magazzini di deposito ed il porto ed ammirata che ebbe la cattedrale, s’informò della via che menava a Clifton, e s’incamminò per quella. Ma, come le lastre di Bristol non sono le più larghe e le più pulite di questo mondo, così le vie non sono niente affatto le più diritte o le meno intricate; e il signor Winkle, non poco imbrogliato in quello strano labirinto, si guardò intorno per cercare una bottega di aspetto decente dove dirigersi per domandare altri consigli e novelle istruzioni.
Gli cadde l’occhio sopra un pianterreno dipinto a nuovo che di recente era stato convertito in qualche cosa tra una bottega e una casa privata. Un lampione rosso, sporgendo di sopra all’arco della porta, dinotava chiaramente esser quella la dimora di un esercente medicina, quand’anche la parola Chirurgia non fosse stata scritta in lettere dorate al di sopra di una finestra che in altri tempi aveva dovuto essere la finestra del salottino. Parendogli questo un buon posto dove dirigersi per informazioni, il signor Winkle entrò nella bottega ornata tutt’intorno di cassetti e bottiglie dai cartellini dorati; e non trovandovi alcuno, diè sul banco due o tre colpi con una sua moneta per attirare l’attenzione di chi per avventura si trovava nella retrobottega, che a lui sembrò il delubro dello stabilimento dal veder ripetuta sulla porta la parola Chirurgia dipinta questa volta in lettere bianche, tanto per toglier la monotonia.
Al primo colpo, un suono come di persone che si battessero con le molle del camminetto, subitamente cessò; e al secondo, un giovane dall’aspetto grave e professionale, con gli occhiali verdi e un libraccio in mano, entrò pianamente nella bottega e passando di dietro al banco domandò all’avventore in che cosa potesse servirlo.
— Mi dispiace disturbarvi, signore,— disse il signor Winkle, — ma dovreste aver la bontà di dirigermi a...
— Ah! ah! ah!— esclamò il giovane dagli occhiali verdi, gettando in aria il libraccio e con somma destrezza acchiappandolo nel punto stesso che minacciava di frantumare tutte le bottiglie sul banco. — Questo sì che è un colpo!
Ed era un colpo senza dubbio; perchè il signor Winkle fu così sorpreso dalla strana condotta del professore, che involontariamente si ritirò verso la porta e parve molto disturbato di quella rumorosa accoglienza.
— Come, non mi conoscete? — disse il professore.
Il signor Winkle balbettò di non avere questa fortuna.
— Bravissimo,— esclamò l’altro, — vuol dire che c’è ancora per me una speranza; posso curare, se la sorte mi aiuta metà delle vecchie di Bristol. Va via, vecchiaccio muffito!
Con questa apostrofe che era diretta al libraccio, il professore con singolare agilità scagliò con un calcio il volume all’altro capo della bottega, e togliendosi gli occhiali verdi, mostrò allo stupefatto signor Winkle la fisonomia faceta di Roberto Sawyer, già studente all’ospedale di Guy nel Borough, con privata dimora in Lant-street.
— Non volete mica darmi ad intendere che non siete venuto per me?— disse il signor Bob Sawyer stringendo con gran calore la mano del signor Winkle.
— In parola d’onore, no,— rispose questi ricambiando la stretta.
— Mi fa specie che non abbiate visto il nome, — disse Bob, chiamando l’attenzione dell’amico sulla porta di fuori, dove, anche in lettere bianche, si leggeva "Sawyer, successore di Nockemorf."
— Non ci ho badato punto.
— Per bacco, se avessi saputo che si trattava proprio di voi, mi sarei precipitato per abbracciarvi; ma parola d’onore, mi figuravo che foste l’esattore.
— Eh via!
— Davvero, ve lo giuro, e stava appunto per dire che non ero in casa, ma che se aveste lasciato un biglietto, me lo sarei consegnato senza meno; perchè il briccone non mi conosce, come non mi conoscono nemmeno quelli del gas e della portolania. Credo che il collettore della Chiesa abbia qualche sospetto sulla mia identità, e so di positivo che quello delle acque mi conosce, perchè gli cavai un dente la prima volta che venni qui. Ma entrate, entrate.
Così chiacchierando, il signor Bob spinse l’amico Winkle nella camera del fondo, dove divertendosi a scavare delle buche circolari nella cornice del camminetto con le molle infocate, sedeva nè più nè meno che il signor Beniamino Allen.
— Ecco, — disse il signor Winkle, — ecco davvero un piacere che non m’aspettavo. Che bel posto che ci avete qui!
— Non c’è male, non c’è male, — rispose Bob. — Fui approvato subito dopo quella famosa scampagnata, e i miei amici si dettero attorno per mettermi su questo esercizio pubblico. E così mi vestii di nero da capo a piedi, mi misi un par d’occhiali, e mi stabilii qua per assumere l’aria più solenne che per me si potesse.
— E ci avete una discreta clientela, non è così?— domandò il signor Winkle con aria sagace.
— Discretissima,— rispose Bob.— Tanto discreta che in capo a pochi anni potreste mettere tutti i profitti in un bicchiere di vino e coprirli con una foglia di uvaspina.
— Non parlate mica da senno? Lo stesso valore dei generi...
— Ma che generi! ei le son lustre, bambino mio. Metà dei cassetti è vuota, e l’altra metà non aprono.
— Eh via!
— Parola d’onore! — rispose Bob, passando nella bottega, e dimostrando la veracità dell’asserzione con varie strappate ai bottoncini dorati dei cassetti finti.
— Niente di reale in bottega, eccetto le sanguisughe, e anche quelle son di seconda mano.
— Non l’avrei mai pensato! — esclamò tutto sorpreso il signor Winkle.
— Lo spero bene,— rispose Bob;— a che servirebbero altrimenti le apparenze, eh? Ma che volete prendere? Bravo, fate come noi. Ben, anima mia, metti la mano nello stipetto e tira fuori il digestivo patentato.
Il signor Beniamino Allen obbedì sorridendo e da uno stipetto vicino trasse una bottiglia nera piena a metà di acquavite.
— Niente acqua, naturalmente, — disse Bob al signor Winkle.
— Grazie,— rispose questi. — È piuttosto presto; preferirei temperarla, se non ci avete obbiezione.
— Ma figuratevi, nemmeno per ombra! purchè vi accordiate con la coscienza vostra, — rispose Bob, agitando con la più squisita voluttà il bicchiere colmo.— Ben, il ramino.
Ben trasse dal medesimo nascondiglio un piccolo ramino al quale Bob Sawyer disse di tenere specialmente perché aveva un’aria molto professionale. Fatta bollire l’acqua a furia di varie palettate di carbone, che il signor Bob pigliò da una scatola con sopra la scritta Soda Water, il signor Winkle adulterò la sua acquavite; e la conversazione stava per divenir generale, quando fu interrotta dall’entrata nella bottega di un ragazzo in livrea grigia e seria e cappello gallonato con una cestina coperta sotto il braccio. Il signor Bob gli gridò subito:
— Ehi, Tom, vagabondo, venite qua.
Il ragazzo si fece avanti.
— Vi siete fermato a tutte le cantonate, piccolo fannullone, eh?
— Signor no, non mi ci son fermato.
— Badate bene!— disse Bob con aspetto minaccioso. — Chi si servirebbe di un professore, quando vedesse il suo fattorino che gioca a piastrelle nel rigagnolo o alla palla sulla piazza? Non avete nessun amore per la vostra professione? Avete lasciato tutte le medicine?
— Signor sì.
— Le polveri pel bambino alla casa grande con la famiglia arrivata di fresco, e le pillole da prendere quattro volte al giorno dal signore burbero e gottoso?
— Signor sì.
— Chiudete dunque la porta e badate alla bottega.
— Via,— disse il signor Winkle, mentre il ragazzo si ritirava, — le cose non vanno poi così male come mi vorreste dare ad intendere. Qualche ricetta la si spedisce.
Il signor Bob Sawyer diè un’occhiata nella bottega per assicurarsi che nessuno l’udisse, e quindi chinandosi verso il signor Winkle, disse a bassa voce:
— Le consegna sempre ad una casa per un’altra.
Il signor Winkle parve perplesso, e i due amici risero cordialmente.
— Non capite! — disse Bob.— Ei si dirige ad una casa, tira il campanello, consegna un pacchetto di medicine senza direzione nelle mani del domestico e va via. Il servo lo porta di sopra; il padrone l’apre, e legge il cartellino: "Pozione da prendere prima d’andare a letto — pillole idem — lozione come al solito— polvere Sawyer, succ. Nockemorf, ecc. ecc." Lo fa vedere alla moglie; la moglie legge il cartellino; torna in mano dei servi; i servi leggono anch’essi il cartellino. Il giorno appresso torna il ragazzo. "Tante scuse — equivoco — quantità immensa di affari — molti pacchetti da consegnare — i saluti del dott. Sawyer, succ. Nockemorf." Il nome va per le bocche di tutti, si fa conoscere, e questo è il segreto, bambino mio, in materia di professione; altro che annunzi di quarte pagine! Abbiamo qua una certa bottiglia di quattro once che ha già girato mezza città e non ha ancora finito.
— Vedo, vedo! — esclamò ammirato il signor Winkle. — Che piano eccellente!
— Oh, Ben ed io ne abbiamo escogitato una dozzina dello stesso genere, — rispose Bob Sawyer con grande vivacità. — Al lumaio diamo diciotto pence alla settimana per tirare il campanello di notte per dieci minuti di seguito tutte le volte che si trova a passare; e il mio fattorino si precipita sempre in chiesa un momento prima dei salmi, quando la gente non hanno altro da fare che guardarsi attorno, e mi chiama ad alta voce con un viso pieno di orrore e di sbigottimento. — "Misericordia! — dicono tutti— qualcuno che gli è venuto male! Sawyer succ. Nockemorf chiamato in gran fretta. Quanti affari ha quel giovane!"
Compiuta questa parziale rivelazione dei misteri della medicina, Bob e l’amico Ben si abbandonarono nelle loro seggiole rispettive e risero fragorosamente. Quando si sentirono abbastanza sfogati e soddisfatti, il discorso cadde su altri argomenti, nei quali il signor Winkle era più da vicino interessato.
Crediamo di aver accennato altrove, che il signor Beniamino Allen aveva una sua abitudine di cadere nel sentimento dopo l’acquavite. Il caso non è già singolare, come noi stessi possiamo attestare, avendo avuto da fare in alcune occasioni con pazienti afflitti allo stesso modo. Nell’attuale periodo della sua esistenza il signor Beniamino Allen aveva forse una maggiore disposizione alla malinconia che prima non avesse avuto; la cagione della quale infermità era in breve questa:
Stava da circa tre settimane con l’amico Bob Sawyer; il signor Bob non si faceva troppo notare per la sua temperanza, nè l’amico Ben per la proprietà di una testa molto forte; e la conseguenza di ciò era appunto che, durante tutto il tempo suddetto, il signor Beniamino Allen aveva ondeggiato fra l’ubbriacatura parziale e l’ubbriacatura completa.
— Mio caro amico, — disse Ben Allen, profittando della temporanea assenza di Bob, che era andato a dispensare di dietro al banco qualcuna delle sanguisughe di seconda mano,— mio caro amico, io sono molto infelice.
Il signor Winkle espresse il suo profondo rincrescimento per questa notizia, e domandò se per avventura potesse far qualche cosa per alleviare i dolori dello sventurato studente.
— Niente, mio caro, niente, — rispose Ben. — Voi vi rammentate di Arabella, di mia sorella Arabella; una bambina dagli occhi neri, sapete, quando s’era laggiù a casa di Wardle? Non so se ci avete fatto attenzione; una graziosa ragazza, Winkle. Forse i miei lineamenti potrebbero in certo modo ricordarvela.
Il signor Winkle non avea bisogno di nulla per rinfrescar la memoria dell’amabile Arabella; il che era per lui una fortuna, visto che i lineamenti del fratello Beniamino non erano tali veramente da richiamargli alla mente quella cara figurina. Rispose con quella maggior calma che seppe ricordarsi molto bene della signorina e sperare che la salute di lei fosse buona.
— Il nostro amico Bob è un bravissimo ragazzo, Winkle, — rispose a questo il signor Ben Allen.
— Certamente,— disse il signor Winkle, non molto soddisfatto dell’intima connessione tra i due nomi.
— Io li destinavo l’uno all’altro; erano fatti l’uno per l’altro, venuti al mondo, nati l’uno per l’altro, Winkle,— esclamò il signor Ben posando il bicchiere con grande enfasi. — C’è un destino, c’è, caro signore; c’è in questo fatto un destino: soli cinque anni di differenza tra lui e lei, e tutti e due sono nati in Agosto.
Il signor Winkle era troppo ansioso di udire quel che veniva appresso, per poter esprimere molta maraviglia a questa straordinaria circostanza, per incredibile che fosse; e così il signor Ben Allen, dopo una o due lagrime, proseguì dicendo che, a dispetto di tutti i suoi sentimenti di stima e di rispetto e di venerazione per l’amico suo, Arabella aveva senza una ragione al mondo e con ribellione manifesta dichiarata la più decisa antipatia per la persona di lui.
— Ed io credo, — disse Ben conchiudendo, — io credo che ci debba essere qualche attaccamento anteriore.
— E avete un qualunque sospetto sull’oggetto di esso?— domandò il signor Winkle pieno di trepidazione.
Il signor Ben Allen afferrò la paletta, fece con essa un terribile mulinello, diè un colpo selvaggio sopra una testa immaginaria, e conchiuse dicendo con grande espressione, che voleva solo indovinare, non altro, e gli bastava.
— Gli farei vedere io come la penso sul conto suo!
E la paletta girò di nuovo più terribilmente di prima.
Tutto questo, com’è naturale, era tanto balsamo pei sentimenti del signor Winkle, il quale, per alquanti minuti stette silenzioso; ma alla fine si fece coraggio e volle domandare se la signorina Allen si trovava in Kent.
— No, no,— rispose il signor Ben Allen posando la paletta e assumendo un’aria accorta e sottile; — io ho pensato che la casa di Wardle non era precisamente il posto adatto per una fanciulla testarda; sicchè, visto che io sono il suo custode e il suo protettore naturale, non avendo noi genitori, l’ho condotta qui in questa parte del paese per farle passare qualche mese in casa d’una zia in un bel posticino appartato. Credo che questo la guarirà, bambino mio; e se no, le farò fare un giretto con me, e vedrò quel che se ne potrà cavare.
— Sicchè, — balbettò il signor Winkle, — la residenza della zia è a Bristol?
— No, no, non a Bristol, — rispose Ben, facendo cenno col pollice di sopra la spalla destra; — da quella parte, laggiù. Ma zitto, ecco Bob. Nemmeno una parola, mio caro amico, nemmeno una sillaba.
Per breve che fosse stata questa conversazione, valse ad eccitare grandemente il signor Winkle ed a gettarlo in uno stato di massima ansietà. Quella faccenda dell’attaccamento anteriore gli faceva battere il cuore. N’era forse egli l’oggetto? Era forse per lui che la graziosa Arabella avea guardato con dispregio al vivace Bob, o non piuttosto aveva egli, Winkle, un fortunato rivale? Ei deliberò di vederla a qualunque costo; ma qui una difficoltà insormontabile gli si presentò, perchè se le spiegazioni di Ben da quella parte e laggiù volessero dire tre miglia lontano o trenta o trecento, non c’era modo che ei potesse indovinare.
Ma non ebbe l’agio di meditare sul suo amore, proprio in quel punto, perchè il ritorno di Bob precorse di poco l’arrivo di un pasticcio di carne dal forno vicino e i due amici vollero in tutti i modi che anche il signor Winkle ne assaggiasse. La tovaglia fu stesa sulla tavola da una donna del vicinato, che faceva a Bob da cameriera, e presa a prestito dalla madre del fattorino in livrea grigia una terza posata (perchè le comodità domestiche del signor Sawyer non avevano ancora preso un largo sviluppo), sedettero a banchetto, dove la birra veniva servita, come lo stesso signor Sawyer osservò, "nella sua brocca nativa."
Dopo desinare, Bob si fece portare il più grosso mortaio della bottega e il pestello corrispondente, e si diè a mescolarvi una specie di ponce con molto rum, agitando ed amalgamando i materiali con tutta la perizia e la disinvoltura di un consumato farmacista. Essendo scapolo il signor Sawyer, non aveva in casa che un sol bicchiere, il quale, come segno di onore, fu destinato al signor Winkle; il signor Ben si dovette acconciare con un imbuto tappato col sughero, e lo stesso Bob con uno di quei vasi di cristallo dalle labbra rovesciate ornati di una gran varietà di caratteri cabalistici e dove sogliono i chimici misurare le liquide droghe nello spedire le ricette composte. Aggiustati questi preliminari, fu gustato il ponce e dichiarato squisito; ed essendosi convenuto che Bob e Ben potessero due volte empire i loro recipienti per ogni volta che il signor Winkle empiva il suo, si sedettero a bere anima e corpo con grande soddisfazione e cordialità.
Canzoni non ce ne furono, avendo detto Bob non esser la cosa conveniente alla gravità dottorale; ma in compenso si fece tanto ridere e discorrere che si sarebbe udito — e fu udito certamente — fino in capo alla strada: vivace conversazione che sollevò ed eccitò gli spiriti del fattorino grigio; il quale invece di dedicar la serata alla sua solita occupazione di scrivere il suo nome sul banco per poi cancellarlo e riscriverlo, se ne stette a spiare di dietro l’uscio a vetri, procurandosi così il doppio piacere degli occhi e degli orecchi.
L’allegria di Bob andava man mano diventando furiosa. Ben sdrucciolava rapidamente nel sentimentale, e il ponce era quasi affatto sparito, quando il fattorino, correndo dentro in gran fretta, annunziò che una ragazza era venuta a dire che si avea subito bisogno del dottor Sawyer succ. Nockemorf in una casa del vicinato. Questa notizia sciolse la brigata. Bob, arrivando a capir l’ambasciata dopo aversela fatta ripetere una ventina di volte, si legò un tovagliolo bagnato, intorno al capo tanto per calmarsi, ed essendovi in parte riuscito, si mise gli occhiali verdi ed uscì. Resistendo a tutte le preghiere di aspettar lì fino a che non fosse tornato, e trovando assolutamente impossibile di legare col signor Ben una qualunque conversazione intelligibile sul soggetto che più di tutti gli stava a cuore, il signor Winkle prese commiato e se ne tornò alla Siepe.
La naturale ansietà e i vari pensieri destatigli dentro dall’immagine di Arabella impedirono che la sua parte di ponce gli facesse quell’effetto che in altra occasione gli avrebbe fatto certamente. Sicchè dopo aver preso al banco un bicchiere di soda e acquavite, entrò nella sala del caffè piuttosto abbattuto che eccitato dagli eventi della sera.
Stava seduto davanti al fuoco, con le spalle volte a lui, un signore alto in soprabitone; unica persona che si trovasse nella sala. La serata, per la stagione che correva, era piuttosto fredda, e il signore si tirò un poco in là con la seggiola per fare che il nuovo venuto godesse anch’egli del fuoco. Quale fu mai la sorpresa, quali furono i sentimenti del signor Winkle, quando il forestiero svelò in quell’atto il viso e la persona del vendicativo e sanguinario Dowler!
Il primo impulso del signor Winkle fu di dare una violenta strappata al cordone del campanello, ma la nappa di questo per sua mala sorte pendeva precisamente dietro il capo del signor Dowler. Avea già fatto un passo verso quella parte quando di botto si arrestò. Nel punto stesso, il signor Dowler vivamente si trasse indietro.
— Signor Winkle, signore. Calmatevi. Giù le mani. Io non lo soffrirei, no. Una percossa! No, mai! — esclamò il signor Dowler con più dolcezza nella fisonomia di quanto il signor Winkle si potesse aspettare in un uomo della sua ferocia.
— Una percossa! — balbettò il signor Winkle.
— Una percossa, sì,— rispose Dowler. — Frenatevi. Sedete. Uditemi soltanto.
— Signore,— disse il signor Winkle tremando come una canna,— prima che io consenta a sedervi vicino o di fronte, senza la presenza di un cameriere, ho bisogno di altre assicurazioni, di altre garentie. Voi, signore, mi faceste ieri sera una minaccia... una terribile minaccia, signore...
E il signor Winkle si fece pallido come un cencio lavato e si fermò in tronco.
— È vero,— rispose Dowler con un viso non meno bianco di quello del suo interlocutore. — Gli indizi erano sospetti. Tutto è spiegato oramai. Ammiro il vostro coraggio, la nobiltà dei vostri sentimenti. Il coraggio della coscienza tranquilla. Eccovi la mia mano. Stringetela.
— In verità, — disse il signor Winkle esitando e quasi temendo un tranello in quella mano proffertagli,— in verità, signore, io...
— So quel che volete dire, — interruppe Dowler. — Vi sentite offeso. È giusto. Farei lo stesso anch’io. Ho avuto torto. Vi chiedo scusa. Via, da amici, perdonatemi.
E così dicendo il signor Dowler pigliò bravamente la mano del signor Winkle, e scotendola con forza dichiarò che egli, Winkle, era un uomo di grandissimo coraggio e che s’avea guadagnata tutta quanta la sua stima.
— Sedete ora, — proseguì Dowler. — Contatemi tutto. Come avete fatto a trovarmi? quando è che mi avete seguito? Siate franco, via, ditemi tutto.
— Nient’altro che il caso,— rispose il signor Winkle, molto perplesso pel carattere strano ed inatteso che prendeva il colloquio, — il puro caso.
— Tanto meglio. Mi son destato stamane. Avevo dimenticato la minaccia. Ho riso dell’accidente. Mi son sentito nelle più amichevoli disposizioni, e l’ho detto.
— A chi?
— Alla signora Dowler. "Voi avete fatto un giuramento" ha detto lei. "È vero" ho risposto. "Un insano, un terribile giuramento" ha detto lei. "Avete ragione" ho detto io. "Farò delle scuse. Dov’è?"
— Chi? — domandò il signor Winkle.
— Voi,— rispose Dowler. — Son disceso a terreno. Non vi si trovava. Pickwick era tutto cupo e conturbato. Ha scosso il capo, ha espresso la speranza che nessuna violenza sarebbe stata commessa. Allora ho inteso tutto. Voi vi sentivate insultato. Eravate uscito, forse in cerca di un amico. Probabilmente per tornare con un par di pistole. "Giovane coraggioso" ho detto io "lo ammiro."
Il signor Winkle tossì, e cominciando a capire dove giaceva la lepre, prese un aspetto pieno di importanza.
— Ho lasciato un biglietto per voi,— riprese a dire Dowler. — Dicevo di essere dispiacentissimo. Era la verità. Un affare urgente mi chiamava qui. Voi non vi siete creduto soddisfatto. Mi avete seguito. Avete voluto una spiegazione verbale. Avevate ragione. Ora tutto è finito. Il mio affare è bell’e sbrigato. Riparto domani. Facciamo il viaggio insieme.
Via via che Dowler procedeva in questa sua spiegazione, la fisonomia del signor Winkle si andava facendo più grave e dignitosa. Il carattere misterioso del principio del colloquio era spiegato oramai; il signor Dowler non era meno di lui restio a scendere sul terreno; e in somma questo terribile personaggio era uno dei più squisiti vigliacchi del mondo, e interpretando l’assenza del signor Winkle con l’aiuto della propria paura, avea preso la medesima risoluzione dell’avversario e prudentemente s’era ritirato fino a che non fosse sedata ogni sorta di eccitamento.
Non appena lo stato reale delle cose balenò alla mente del signor Winkle, ei prese un aspetto terribile, e disse di essere pienamente soddisfatto; ma lo disse nel tempo stesso con un certo tono da lasciar supporre al signor Dowler che se la soddisfazione non ci fosse stata, qualche sanguinosa strage ne sarebbe senza meno seguita. Il signor Dowler si mostrò compreso della magnanimità e della condiscendenza del signor Winkle; e i due belligeranti si accomiatarono per quella sera con grandi proteste di incrollabile amicizia.
Verso la mezza, quando già il signor Winkle aveva assaporati in tutta la loro dolcezza una ventina di minuti del suo primo sonno, fu svegliato di botto da un gran bussare all’uscio della camera sua. Balzò a sedere nel letto, e domandò chi era là e di che si trattava.
— Scusate, signore,— rispose la voce della cameriera,— c’è qui un giovinotto che dice di dovervi veder subito.
— Un giovinotto! — esclamò il signor Winkle.
— Non c’è mica da sbagliare, — rispose un’altra voce pel buco, della toppa;— e se questo giovinotto interessante non entra subito, potrebbe anche darsi che entrasse coi piedi e colle gambe prima che con la testa.
E come per aggiunger forza a queste parole, il giovinotto diè nel mezzo dell’uscio un calcio sonoro.
— Siete voi, Sam? — domandò il signor Winkle, balzando fuori del letto.
— Impossibile accertare l’identità di un galantuomo senza prima guardarlo in faccia,— rispose la voce in forma dommatica.
Non dubitando altrimenti, il signor Winkle aprì la porta; e subito il signor Samuele Weller si precipitò dentro e richiuso che ebbe a doppio giro, si mise bravamente la chiave in tasca e disse, squadrando il signor Winkle da capo a piedi:
— Bravo il signorino! siete un gran bell’umore, siete!
— Che vuol dir ciò, Sam?— esclamò con isdegno il signor Winkle.— Uscite all’istante. Che vuol dir ciò?
— Che vuol dire! Via, via, questo è un po’ troppo, come disse la signora quando se la pigliava col pasticciere che le aveva venduto un pasticcio di carne tutto pieno di grasso. Che vuol dire! Bellina eh, bellina davvero!
— Aprite quella porta, e lasciate immediatamente questa camera! — ordinò il signor Winkle.
— Lascerò questa camera, signorino mio, proprio al minuto preciso che la lascerete voi— rispose Sam con tono imponente e mettendosi gravemente a sedere. — Se crederò necessario di portarvi addosso, allora sì me n’andrò un pochettino avanti; ma datemi licenza di sperare che non mi farete commettere degli eccessi, come disse quel signore alla lumaca testarda che non voleva venir fuori dal guscio a furia di colpi di spillo, e che per conseguenza si esponeva al rischio di essere schiacciata contro lo stipite della porta.
Alla fine di questo discorso, insolitamente lungo per lui, il signor Weller si puntò i pugni sulle ginocchia e guardò bene in viso il signor Winkle con una certa espressione che diceva chiaro non esserci mica da scherzare con lui.
— Vi par ben fatto, vi pare,— riprese a dir Sam in tono di paterno rimprovero,— che un bravo giovinotto come voi siete mi metta negli imbrogli quella perla di padrone, che in ogni cosa si lascia guidare dai principii? Siete assai peggio di Dodson voi; e in quanto a Fogg, io lo tengo a petto vostro per un angelo nato e sputato!
E il signor Weller accompagnando quest’ultima sentenza con una botta sull’uno e l’altro ginocchio, piegò le braccia con uno sguardo di profondo disgusto, si sdraiò sulla seggiola e stette ad aspettare la difesa del reo.
— Mio buon Sam, — disse il signor Winkle stendendo la mano e tremando e battendo i denti dal gran freddo, perchè era stato in costume da notte durante la paternale del signor Weller, — mio buon Sam, io rispetto la vostra devozione pel mio eccellente amico: e sono veramente dolentissimo di avergli procurato degli altri fastidi. Via, Sam, via!
— Bè,— disse Sam un po’ brusco, ma prendendo rispettosamente la mano che gli era offerta,— mi fa piacere che vediate il vostro torto e che la cosa vi addolori; perchè, in mano a me, non ci ha da esser nessuno che gli faccia venire neppure un mal di capo, ecco.
— Certo, Sam, certo. Ed ora, andate a letto, Sam, e ne riparleremo domani di tutto questo.
— Mi dispiace, signore, ma a letto non ci posso andare.
— Non potete andare a letto!
— No,— rispose Sam crollando il capo,— non può essere.
— Non volete mica ripartir subito, spero?— esclamò tutto sorpreso il signor Winkle.
— A meno che non ne abbiate voglia voi stesso. Ma da questa camera non debbo uscire. Questa è la consegna.
— Via, via, Sam, io ho da fermarmi qui due o tre giorni; anzi Sam, vi ci dovete fermare anche voi per aiutarmi ad avere un abboccamento con una signorina... la signorina Allen, Sam... vi ricordate... Ebbene io debbo e voglio vederla in tutti i modi, prima di lasciare Bristol.
Ma in risposta a ciascuna di queste proposizioni Sam scosse la testa con gran fermezza, ed energicamente rispose: impossibile.
Però, dopo molto insistere ed argomentare da parte del signor Winkle e dopo una narrazione minuta di quanto era accaduto nel colloquio con Dowler, Sam incominciò a tentennare, e finalmente si venne a conchiudere un compromesso, le cui principali condizioni furono queste:
Che Sam si ritirasse e lasciasse il signor Winkle nel possesso indisturbato della sua camera, a patto che avesse facoltà di chiudere la porta di fuori e portar via la chiave; con questo però che in caso d’incendio o altro pericoloso accidente, la porta si dovesse subito aprire. Che al più presto una lettera si scrivesse al signor Pickwick e si facesse portar da Dowler, per domandare ch’egli autorizzasse la dimora di Sam e del signor Winkle a Bristol, intesa all’oggetto sovraindicato e pregando per una risposta a volta di corriere; dovendo, nell’ipotesi di una risposta favorevole, le suddette parti contraenti rimanere in conseguenza, e nel caso opposto, tornare immediatamente a Bath all’atto stesso della lettura. E finalmente che il Signor Winkle s’impegnasse esplicitamente a non ricorrere nel frattempo alla finestra, al camminetto, o altri furtivi mezzi di evasione.
Stipulate che furono queste condizioni, Sam chiuse a chiave la porta e si allontanò.
Non aveva ancora disceso tutte le scale, che si fermò e cavò di tasca la chiave.
— Mi sono scordato di dargli addosso,— disse, voltandosi indietro. — L’incarico del padrone era chiaro e preciso. Sciocco e smemorato che sono! Basta, c’è sempre tempo fino a domani.
Molto consolato da questa riflessione, il signor Weller si ripose di nuovo la chiave in tasca, e compiendo senz’altri rimorsi di coscienza il resto delle scale, si trovò subito, come tutti gli altri abitanti della casa, immerso in profondo riposo.