Non sempre i cavalli portaron la briglia,
ma quando pascevasi l’umana famiglia
di ghiande, i cavalli si videro e gli asini
andar per le selve,
com’oggi le belve.
A quei tempi erano ignoti
tanti basti e tante selle,
e predelle e ferri e maglie
da battaglie.
E non c’era l’abbondanza
delle splendide carrozze
su cui vanno oggi le belle
alla danza,
alle feste, ed alle nozze.
Il Cavallo col Cervo ebbe contesa,
e non potendo vincerlo nel corso,
all’Uomo fa ricorso,
perché l’aiuti a vendicar l’offesa.
L’Uomo gli salta in groppa, e dato un freno
da rodere al protervo,
sì lo spronò, che finalmente il Cervo
nel corso venne meno.
Rivolto all’alleato:
- Grazie, - dice il Caval non troppo saggio, -
permetti ch’io ritorni ancora al prato,
albergo mio selvaggio -.
- Scusami, amico! - a lui l’ altro rispose, -
ho fatta una scoperta,
che servir mi potresti in varie cose:
talché non ti conviene l’aria aperta.
Resta con me: la passerai non male
sprofondato in un morbido giaciglio -.
Comprese allora il povero animale
quanto pazzo era stato il suo consiglio.
Che giova il ventre pieno
senza la santa libertà? Già pronta
era la stalla e preparato il fieno,
e ancora adesso il suo peccato sconta.
Saggio chi sa dimenticar l’offesa.
È la vendetta un tristo godimento,
se tu la compri d’un piacere a spesa,
che degli altri piaceri è il condimento.