Favole (La Fontaine)/Libro ottavo/VII - Il Cane che porta il pranzo al suo Padrone

Libro ottavo

VII - Il Cane che porta il pranzo al suo Padrone

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro ottavo

VII - Il Cane che porta il pranzo al suo Padrone
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Mal resiste il cuore al dardo
d’un bel guardo, ed alla vista
d’un sacchetto di denaro
troppo raro
è trovare chi resista.

Soleva un Can portare in una cesta
al collo il pranzo del suo buon Padrone.
Per quanto temperante a suo dispetto
ei sapesse resistere al boccone,
non era un santo padre, poveretto,
e nel suo pelo, dite, o gente onesta,
se non vi tenterebbe un buon pranzetto...
Strano davvero che s’insegni ai cani,
ciò che non sanno fare i cristiani.

Andando questo Cane un dì col pranzo,
s’incontra in un mastino prepotente
che pretende la sua razion di manzo.
Ma fece i conti senza l’oste. Il cesto
colloca in terra il nostro Cane onesto
e si prepara ad una lotta ardente.

Ne nasce un gran fracasso, e chiama il chiasso
molti altri cani che andavano a spasso.
Erano cani vagabondi, avvezzi
ad ogni calcio, ad ogni ladreria.
Il nostro Can, vedendo ch’eran pronti
a sbranarlo quei mostri in cento pezzi,
e che il manzo era fritto in fin dei conti,
da saggio disse a quella comitiva:

- Amici, andiamo adagio; un po’ per uno,
dice il proverbio, fa male a nessuno -.

E presa la sua parte, lasciò il cesto
agli altri cani che addentâr il resto.
In quattro colpi fu tabula rasa.
Chi stette peggio fu il Padron di casa.

O città grandi, o piccole città,
che mettete il denaro della gente
in mani, Dio lo sa,
quanto leste a giocar d’agilità:
censori, appaltatori e fornitori,
comincia il più valente,
e ruban tutti di dentro e di fuori.
Se alcun men disonesto e men briccone
vuol salvarsi e minaccia di parlare,
gli mostran ch’è un minchione.
Al consiglio anche lui quindi si arrende,
acqua in bocca, rubare fa rubare,
e più degli altri prende.