Il Brunsvico
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ALLA PIETÀ
DEL PRINCIPE
DI BRUNSVICO
SOMMERSO NELL’ODERA PRESSO FRANCFORTE IL DÌ
XXVII APRILE MDCCLXXXV NELL’ANDAR AL SOCCORSO
DI ALCUNI PAESANI TRAVOLTI DAI FLUTTI
POEMETTO LIRICO
DI CARLO BOSSI
PIEMONTESE
Bello è il morir sulle assaltate mura
Mentre con man sicura
La combattuta insegna
Alzi primiero in su nemici estinti:
Morte è d’eroe pur degna
Fra lo scontro dell’armi, e de’ cavalli,
Fra ’l fragor delle trombe, e de’ metalli
Fulmin avventatori
Dure palme strappando in campo aperto
La grand’alma spirar su proprj allori:
Perde morte gl’orrori,
E di letizia tinti
So che veste colori
Quando ’l clamor de’ vinti
Miste a feroci applausi
Delle incalzanti schiere
Tra l’urto, e’l suon delle percosse spade
Molce l’orecchio al vincitor, che cade.
Ma se giustizia ognora
L’arme non mette a forti duci in mano,
Se leggier aura, e spesso iniqua ancora,
Desta l’incendio vastator di Marte,
Se di sangue innocente
Irrigate mai sempre, intrise, e sparte
Son le palme migliori, e se pur troppo
A spavento de’ giusti
Ride fortuna all’oppressor sovente,
Non altro vanto adunque
Se non quello vi fia, che splender fero
Del tuo simile i danni?
E fia, che solo entro i comuni affanni
Di bella lode altero
Sopra tutti si veda andar colui,
Che più bebbe di pianto, e sangue altrui?
Repubblica guerriera,
Tu che ’l pregio dell’arme alto portasti
Quanto altri più non l’innalzò dappoi,
O ne’ consigli tuoi
Forse più ch’in valore unica al mondo,
A te, Roma, n’appello, a que’ tuoi fasti
Ove oggi ancor di tua virtù primiera
L’orme cerchiamo ah! troppo lunge noi
Da quell’orme obbliate in sen degli anni:
Essi ne dican come
Non di vallo espugnato,
O sbaragliata schiera
Sanguinosa corona al fortunato
Crin s’avvolgea soltanto:
Ma come ancor sulle patrizie chiome
Al trionfale alloro
Mista la cittadina
Quercia godea far alle madri fede
Di qual prezzo era a Roma il sangue loro,
Gloria maggior, che non foss’anche il vanto
Di sconfitta falange, o muro infranto.
Forte così ciascuno
Della forza di tutti,
Qual da minutti flutti
Un su l’altro poggiando alto s’estolle
Mostruosa procella,
Che più d’un lido; e più d’un ciel flagella
Dalle Romulee zolle
Vide Italia stupita, e ’l mondo poi
Sorgere in breve etate
L’imperiosa mole
Ch’Istro, e Tago potè, Reno, ed Eufrate
Adombrar ad un tempo, e spettatore
Far di sue glorie il sole
Dove nasce, dove arde, e dove more:
Nè certo fu stupore
Se di tal sangue uscito
Di cotal forte umanità nutrito
Nel fervor anche delle bellich’ire
Ebbe un dì poscia quel tuo figlio a dire,
Che più nobil trionfo era al suo ciglio
Dieci figli di Roma
Torre a mortal periglio,
Che non su cento aspri di lei nemici
Dell’aquile vittrici
Insanguinar l’artiglio;
Ma l’aureo detto, e ’l mal seguito esempio
Offuscato dagli anni omai giacea
Vano ornamento al tempio
Dell’obbliata Dea:
Genio dell’uomo amico
Ben da più lustri è vero
Sotto altre spoglie in su la via smarrita
Ricondurre anelava il zelo antico
E più bello di gloria aprir sentiero:
Nè senza invidia il dico,
Quando potea Filosofia vestita
Dalla persuaditrice
Forza de’ carmi in gentil volto adorno.
Già molto ghiaccio intorno
Rotto pur egl’avea, se non che dato
Era ad Eroe maggiore
All’immortal Brunsvico
Già per altre opre all’alma Diva accetto 1
Dato a lui solo era ’l funesto onore
Di sacrar col suo sangue il gran precetto.
Questi d’un ceppo nato
Generoso valente
Onde la spaziosa alta propago
Non che l’Ocri, e Tamigi, ove di gente
Libera il freno equa-tenendo impera,
Tutta di fine in fine
Seminò di Trofei Germania intera,
Onde non selva, o monte
Non da Batavi campi all’onde Eusine
V’ha stretta valle o fonte,
Che le palme non mostri, o ’l Real sangue
Sulle vie di virtute in nobil uso
Ampiamente diffuso,
Fresco germe d’Eroi, cui fra gli ardenti
Turbi d’ire, e di sangue ampi torrenti,
In che di tanto in tanto
Scoppia da ben due secoli agitata
Alemagna non anco in se ben ferma,
A quasi stabil vanto
Ebber su l’orme dell’audacia innata
Non disgiunti seguir Marte, e Vittoria,
Fra quanti mai di gloria
Furo entro ’l tempio accolti
Grandi essi tutti, e molti,
O per sommo tra l’armi ardor tremendo»,
O per chiare non meno opre di pace,
Tutti costui nel fatal punto audace,
Tutti, oso dir, li superò morendo.
Urti d’onde, e furor non più veduti,
Di valli, e campi, e mura
Fluttuanti ruine, uomini, e bruti
Semivivi, ed esangui, e d’ogni sorta
Traccie di morte, e di squallor, qual nero
Imaginar entro il mio cor ridesta!
Ira fosse di numi, o di natura,
Necessitade, effetto
Ben grave ohimè! quanto la causa oscura;
Non certo è mio pensiero
Dir siccome oltre ogni memoria antica
Gonfia di sciolte nevi
Roco-muggendo dai materni gioghi
Precipitasse l’Odera improvvisa:
Nè dirò pur come nel ratto corso
Di sfortunato Borgo
Parte seco traendo, altra divisa
Dal vicin suolo entro il fremente gorgo
Chiusa tenesse ad ogni uman soccorso:
Fresca è la piaga, e ’l sangue ancor ne cola,
Sì che fremendo il cor, la man s’arretra:
E basta ben, che a funestar mia cetra
Venga una morte sola:
Sola sì, ma d’orrore, e di spavento
A cento morti, e cento
Pari sol essa; inconsolabil morte,
Se del maggior suo tutto
Lustro quant’è gloria coprendo il lutto
D’invidiabil sorte
Resa piuttosto oggetto
Non avesse la tomba, ov’egli giace:
Dicalo chi nel petto
Sentesi un cuor d’alta virtù capace.
Ben qualunque di voi, figlie canore
Di quell’alta armonia, di cui non vana
Ombra già fu, non favoloso errore
Quell’aura un dì, ch’oltre ogni meta umana
Sulle Beozie rive
Alzava il genio dell’Eleo Cantore
Sì di voi, o qualunque Eteree Dive
Stil più robusto impugna,
Qual più forte ragiona, e forte scrive,
Quella me seco oltra ’l vapor mortale
Alto sollevi, ed al caduco ingegno
Tal di se faccia, e di sue rapid’ale
Fortissimo sostegno,
Che di manchevol arte
Timid’orma non mostri, o basso segno;
Ma sulle industri carte
Sacre ad eternitate
Rechi il gran fatto, e tra be’ lampi ardenti
Faccial d’umanitate
Non vano specchio alle più tarde genti.
Dessa ella sia, che per mia bocca cante
Quale a veder fosse operoso ansante
Tutto zelo, ed ardor lungo le sponde
Già minacciate anch’esse
Al gran periglio avante
Farsi il Real Campione
Là ve’ più di terror menavan l’onde.
Qual a conforto delle genti oppresse,
Qual non versò de’ soccorrenti a sprone
Largo tesoro, e quante
Non v’aggiunse d’onor lodi, e promesse!
Che non fatto da lui, che non tentato
Fu nel giro fatal di que’ momenti?
Mortal uomo luttar osò col fato,
Solo contro fortuna, e gli elementi
Stare osò col consiglio, e colla mano,
Grande non men, perchè l’osasse in vano.
Che siccome ira, e gelosia sentisse
Ch’umana forza, e cura
A sua rabbia qualunque opporsi ardisse,
Quanto a lei più di freno
Arte e valor mettea,
Più raddoppiar godea
Gli scatenati impeti suoi natura:
Mentre fatal non meno
L’universal paura
Aggiacciano ogni cor, sordo il rendea
Ai generosi inviti,
E l’amor di se stesso innato affetto;
Ch’ogni altro opprime ove a confronto ci vegna:
Tutto in ciascun gelosamente stretto
In codardo languor tenea la folta
Turba sul lido inutilmente accolta,
Alle sventure altrui,
Per pietà di se stessa indifferente,
Solo in Brunsvico avvezzo
Morte a guardar con quel sicuro sprezzo
Che per morte ha colui,
Che cosa in sen più che mortal si sente,
Solo in Brunsvico, in lui
Solo fra tanti degli altrui perigli
Più l’aspetto potea, che non de’ sui:
E già ben di più stare impaziente,
L’estrema idea funesta
Volgea per entro la commossa mente,
Quando la turba ecco, ahimè! fender vede,
E disperata a piede
La donna cadergli, oh Dio! che fai!
Donna fatal v’arresta!
Quanti sospir non sai
Costeranno a noi tutti i tuoi sospiri,
Ben altri, oh Dio, che questi tuoi non sono!
Per poco avvien che ’l pianto tuo m’adiri.
Ma che dico? ah sei madre, io ti perdono.
E ben s’udieno ancorchè fiochi i gridi,
E vedeasi le lunghe ignude braccia
Stendere inverso i lidi
L’abbandonato stuolo,
Cui già dell’onde l’estrema minaccia
Appiede incalza, i fianchi
Crollano aperti, e ’l suolo
Parte parte scrosciando avvien, che manchi:
Un guardo solo, un guardo
Alla prostrata donna
Volge Brunsvico, e ’n suo pensier non tardo
Urta la turba, che più cauta vuole
Arrestar i suoi passi, ed oh parole
Degne ben, che scolpite entro ogni tempio
Alla posteritade ammiratrice
Faccian del secol nostro
Chiara fede, ed agli altri utile esempio:
E che son io, lor dice,
Fuor, ch’un uomo com’essi, e come voi?
Umanità qui parla, il primo è questo
D’ogni nostro dovere, i moti suoi
Debbo, e voglio seguir, Dio curi il resto:
Disse, e nel dire il fatal legno afferra,
Fuvvi d’un falto, e si spiccò di terra.
Oh spiegane ora antichità superba
Quanti più rilodati egregi vanti
Dagli assalti del tempo intatti serba
Nuda gloria, o valor sommo di canti
Ed al chiaror dei veri
Giugni ancor, se ti piace, i menzogneri,
Qual fia, che regga a cotal fatto avanti.
So, ch’a fragil barchetta in procellose
Onde se pur espose
Della convulsa libertà Romana
Il meno indegno usurpator, ma rea
Ambizion movea
Al dubbio passo il Capitano ardente,
Ma la grand’oste, che ’l premea da tergo
E la già di fortuna esperta fede,
E l’impero del mondo innanzi al ciglio
Ampia mercede al necessario ardire
Acciecarlo potean sul gran periglio,
Nè sì crude poi certo ardevan l’ire
Del libistico mar: qui virtù sola
Non da rabbia, o timor, non da desire
Cieco sospinta di grandezza umana,
E non a danno altrui, ma per salute,
Tutto qui fè virtute,
Tutta sola per fe: virtù sovrana,
Onde fra l’ombre favolose appena
Una sfumata imago
Offremi in Codro Atena,
Curzio per mezzo alla faral vorago.
E malgrado ’l girar de’ vorticosi
Flutti, e l’urtar d’alberi, e tetti interi,
Che da campi stranieri
Giù traevano a slancio impetuosi
Preda, e trofeo dei loro sdegni alteri:
Pur dell’orrenda piena
Sovra i gorghi frementi, e l’altre spume,
Tra ’l silenzio, e la tema universale,
Oltre già mezzo il fiume
Vincitor trapassava il legno frale:
Già pur di speme alcuna
Debol sorgeva infra ’l terrore un raggio
Consolatore: allor che lenta, e bruna
Una grand’ombra dal ponte avanzarsi, 2
E gravemente vista
Fu su l’Eroe piegarsi:
Ben conobb’egli entro que’ veli oscuri
L’ombra diletta del maggior Germano,
Cui da fati immaturi
Su l’erte vie d’onore
Tronco in lido stranier, non ha pur molto,
Fu coll’alte speranze il vital fiore:
Ma premendo nel petto i tristi auguri
Nulla turbato in volto
La dubbia via di morte
Coraggioso battea, nè più lontano
Era omai dalla meta, e già balzava
Ogni cuor dalla gioja, allor, ch’un solo
Acutissimo strido
L’aura ferì dall’uno all’altro lido.
Oh! terribil momento! o di rea sorte
Gioco crudel! mentre la mano il pio
Liberator già stende
Agl’infelici, oh Dio!!
L’onda voraginosa in due s’aperse,
Travirò la barchetta, e si sommerse.
Qual chi da folgor vede
Tocco improvviso a piede
Traboccargli l’amico, e ross’ardente
Fra tuoni, e lampi intorno intorno sente
L’eterea fiamma voltolargli, e ’l crine,
L’estremo crin già pure
Crepitando lambirgli, tal repente
A quell’orribil vista
Nelle viscere a tutti il cor si firinse,
Ristette il sangue, cebianco
Color di morte ogni volto dipinse,
Oh vedi là, cui manco
Venne l’ultimo alfin raggio di speme,
Qual fitta mostran su la faccia loro
Costernazion profonda!
Già ben diresti, son morti costoro.
Ma su l’opposta sponda,
Ove più spessa ognora
L’inutil turba s’affollava, oh vedi
Qual d’uno in altro spaziando cresce
Confusion di pianti, e di clamori,
Ed al ciel, che non ode i suoi furori
Voti inutili, e vani oltraggi mesce!
Ve’ come gli occhi sbigottito, e i piedi
Dal vero aspetto torse
Quasi per se ciascuno
Di pari sorte in forse,
Se non se quanto immoto
Stupidamente orror vi tenne alcuno,
E questi fu, che vide
Ben due volte l’Eroe sorgere ancora
Sovra l’onde omicide,
Ed altrettante in giù
Ripiombar lasso! e non risorger più;
Nè tacerò, che mentre al Duce oppresso
Arte, forza, e valor nulla giovaro,
Tale un genio nimico avea contr’esso,
Due soli pur di bassa plebe oscura;
Che nel fatal tragitto
Da mercè vinti osaro
Farsi compagni al suo coraggio invitto,
Sorte migliore, o cieca Dea! trovaro
O di se meno incauti li rendesse
Zelo minor altrui,
O che gloria sdegnasse illustre Dea
Altri accoppiare al luttuoso evento
Onde un nome sovrano ornar volea,
Se non è pur che d’una
Vittima sol contento
Lo stesso. Dio dell’onde
In sul fatal momento
L’inumano cangiasse in più talento;
E ben tal era il sacrifizio, e tanta
Già sorgente per se d’immenso duolo
Da soddisfar ei solo
L’ira del Dio qual ella fosse, e quanta.
Deh che poi fu quando su più veloce
Fama gonfiando il rumoroso corno
Di cittade in città, di voce in voce
Il miserabil csfo
Ebbe tutto diffuso al mondo intorno!
Non quegli allor soltanto,
Che quasi in patria terra
Vistula, e Reno, e ’l doppio mar rinserra,
Non le facili al pianto
Itale madri, Angliche, Franche, Ispane,
Russe, od Americane,
Nostro sangue esse ancor, lui pianser solo:
Ma qual più rozza, e fera
All’errabondo Scita
Nutre pari compagna il crudo polo,
Qual su l’adusto suolo
Ove diretto il sole imbianca, e coce,
Il cacciator di Tigri
Segue degna di lui sposa feroce,
Sul tristo udir della virtù straniera
Meraviglia, e pietà non pria sentita
Sentiro allor primiera;
E cogli urli facondi, e gli ululati
Dell’Europeo Campione
La memoria onoraro in lor maniera:
Mentre poi quanto alle più dure imprese
Gloria di Marte infiamma
Fervidissimi alunni, ogni altro merto
Disperando uguagliare a sì bel fine
Si battero la fronte, e ’l vano serto
Indispettiti si strappar dal crine.
Or sia, ch’io pur sulla tua tomba inchino
Grand’Eroe, che fè morte ancor più grande,
Rochi gemiti vani, e vane spande
Lagrime ingiuriose al tuo destino?
Le funeree ghirlande
Muse recate a chi d’allor non l’ebbe,
A chi la morte increbbe
Muse cantate in umil suono, e tristo;
Mal conosce gli eroi chi li compiange;
Nè per qualunque strada
Alla gloria si vada
Troppo caro giammai ne sia l’acquisto:
Alte voci canore, e luminoso
Carme trionfator del basso obblio
A te degno di te consecrar oso
O già novo su gli astri assunto Dio.
Non ch’a me pur faccia lusinga il suono
Invirator 3, che dalla Senna al nero
Fiume d’un tanto lacrimar cagione
Sul glorioso tema,
Tutti a far di se prova i più robusti
Cigni adescò colle Tebee Corone,
Non di sterile allor, che secca, e sviene,
Ma di sod’oro fulgido sebbene
Non minor di qual sia Franco, o Germano
Sulla Pindarea lira
Regge a noi pur Filosofia la mano,
E noi pur anco un maggior nume ispira
Quando eccelsa virtude il canto impegna:
Ma qual sia premio aborre
Nostra musa nè palma altra raccorre
Se non quella del Pubblico si degna.
E se di se non l’empie
Mesto sublime, a menzognera altezza
Muta prefere i bassi campi, e ’l piano
Se valor poi sovrano
Tra bell’opre di pace, o ’l suon dell’arme
Seco la porta oltre le nubi a volo,
Al volontario carme
Sprone allora, e mercè fassi egli solo.
Or basteralle intanto
Che mentr’opra real di sculti marmi
Sorga sul lido il monumento eterno,
E gli s’alzi d’intorno il patrio canto,
Dal più lucido cerchio, u’ beasi il prode,
Che distinse fra noi valor superno,
Se pur cosa lassù di terra s’ode,
Volga cortese il novo nume un guardo
A qualunque egli sia questo di lode
Libero omaggio, onde primiera Italia
Nella gloria di lui se stessa onora,
Italia sua, che ben rammenta ancora
Dalle Romulee spiagge
Essere un giorno il nobil seme uscito 4,
Che con maggiori auspici
Ne’ Germanici campi alte radici
Pose, e bello di se fè più d’un lito:
Italia, oh Dio! che mentre
D’incliti germi, e larghe frondi onusto
Vede il ramo fraterno estranie rive
Di bell’ombra coprir, e sul vetusto
Ceppo ivi ancor di copioso, e forte
Succo vital ripieno
Più che mai rigoglioso alzarsi il mira,
Inaridirle in seno
Vede il tronco nativo, e ne sospira.
Note
- ↑ Albergo, e scuola da lui stabiliti a pro di Orfani militari, ed altri atti d’umanità riferiti ne’ fogli publici di Germania.
- ↑ Il convoglio del Duca Guglielmo morto in Moldavia all’armata Russa; ove si era portato come volontario, passò l’Odera sul ponte di Francfort.
- ↑ Varj premi furono proposti in Germania, ed in Francia a chi avesse fatto la miglior ode su di questo soggetto.
- ↑ La casa di Brunsvich trae origine da un Principe d’Este passato in Germania coll’Imperadore Corrado verso la metà del secolo XI. Ved. Moreri, Muratori ec.