Favole (La Fontaine)/Libro quinto/I - Il Boscaiolo e Mercurio

Libro quinto

I - Il Boscaiolo e Mercurio

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro quinto

I - Il Boscaiolo e Mercurio
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(Al signor C. D. B.)

All’opra mia, Signor, norma e misura
diedi il vostro gentil senso del bello,
a cui spiace dell’arte ambiziosa
i fronzoli e gl’inutili ornamenti.
La penso anch’io così. Guasta dell’arte,
per troppa voglia d’abbellir, la schietta
semplicità l’indocile poeta.
Anch’io discrete amo le Grazie. Esopo
apre la via per cui cerco a quel fine
alto seguirlo, ove egli tende, anch’io.
Se mai non tragge il mio lettor alcuna
dottrina o compiacenza, oh almen mi giovi
l’indole allegra, che allo scherzo mira,
e che conduce il vizio alla burletta.
Tal mi son io, se a me non diede il Cielo
omeri e braccia d’Ercole robuste.

Invidia e vanità sono i due gangheri,
su cui si aggira questa vita umana
e dove anch’io la favoletta impernio.
Vizio e virtù, l’un contro l’altra armato,
senno e stoltezza in bilico e contrasto,
ecco il gioco, onde spiegasi siccome
possa la rana invidiar del bove
la grandezza, e gonfiar fino alla morte,
e il lupo urlar contro l’agnello e in guerra
mover la mosca e l’umile formica.

Questa è l’opera mia, che si distende
ampia comedia in cento atti diversi,
e che per fondo ha l’universo intero.
Uomini, Dèi, lo stesso alto Tonante,
e gli animali e il portator di belle
ambasciate alle belle, almo Mercurio,
passano in volta, ognun pronto al mio cenno.
Ma non perciò, Signor, venni quest’oggi
innanzi a voi. Mi chiama altro argomento.

Un Boscaiol un dì smarrì la scure,
da cui traeva il suo boccon di pane,
e non avea da vendere neppure
i cenci suoi per vivere dimane,
onde piangendo supplica gli dèi,
- O mia scure, - gridando, - o dove sei?

O Giove, a me la rendi e mi darai,
signor del Cielo, una seconda vita! -
Nell’Olimpo risuonan questi guai
tal che Mercurio, l’alma intenerita,
- La scure - dice - che piangendo chiedi,
la sai tu riconoscer se la vedi? -

- Altro che! - quel risponde. - È questa forse? -
E gli porge una scure tutta d’oro.
- Non è questa -. Egli un’ altra gliene porse
d’argento. - Non valea tanto tesoro -.
Mercurio allor ne trasse una di legno.
- Ah! questa è mia, la riconosco al segno.

Lieto sarei, se tu mi dassi questa -.
- E tu le avrai buon uomo, tutte e tre.
La tua fede è sì grande e tanto onesta,
che pagata vuol essere da me -.
- Quando è così, - risponde il poveretto, -
con tutto il cuore, o mio Signor, l’accetto -.

Quando si seppe il caso, in un momento
ogni altro Boscaiol perdé l’arnese,
quindi risuona il Ciel di un tal lamento
che Giove n’ha le orecchie un poco offese.
Scende Mercurio nuovamente a loro
e mostra a ciaschedun la scure d’oro.

Per non parere gente mammalucca,
dicon tutti: - Sì, sì, quella è la mia -.
Mercurio gliela dà, ma sulla zucca
a castigar la loro ladreria.
O furbi, è sempre buono di saperlo,
che il Padre eterno non è poi sì merlo.