Il Baretti - Anno II, n. 12/Scenografia tedesca/Erler

Erler

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Scenografia tedesca - Fuchs

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ERLER

I.

Georg Fuchs e Fritz Erler.

Di questi conviene, soprattutto, notare la realizzazione di qualche idea nuova, al Künstler Theater.

Il punto di partenza dei miei sforzi fu prima d’ogni altro far balzar nitida e distinta la figura del personaggio. Tutto l’interesse dello spettacolo deve concentrarsi nell’attore, non in quel deserto di tela dipinta che lo circonda.

Perciò è necessario intendere il personaggio creato dal poeta e segnarne la maschera con la forma, il colore, l’aspetto, gli atteggiamenti più acconci all’aspressione del carattere. Il compito maggiore dello scenografo è, quasi, l’imitazione, nel senso spirituale del cogliere ed interpretare la personalità dello scrittore. In verità, l’autore dell’opera non presiede soltanto al ritmo delle parole; ma crea, anche senza notarli, i colori e le forme della scena, i volti e i gesti dei comici.

Discende da questo: che ogni dramma cerca la sua espressione particolare e che tanti sistemi ci sono quante opere esistono.

Fritz Erler, escludendo le ricerche del realismo, limita la messinscena a indicazioni essenziali, le più proprie a esercitare la fantasia degli spettatori, i quali sono sempre indotti a collaborare con lo scenografo e, talvolta, ne determinano perfino l’opera.

Infatti, noi immaginiamo più che vediamo e la natura stessa e inferiore ai nostri sogni poi che li limita nel modo che li precisa. A teatro importa principalmente suggerire qualche immagine, che ognuno completi secondo il proprio intelletto.

Lo scenografo, quindi, conterrà le sue realizzazioni nei limiti di un’atmosfera che abbia virtù di esprimere un ambiente il quale si sviluppi compiutamente solo nella fantasia del pubblico.

Il compito della scenografia potrebbe, forse, concludersi in tre mansioni:

Creare le maschere proprie dei personaggi.

Indicare l’atmosfera psicologica in cui è riflessa l’azione.

Stabilire l’unità del dramma con la folla.

A migliore intendimento gioverà un saggio di messinscena del «Faust».

II.

Per tutto il «Faust» sono occorsi soltanto due fondali dipinti, molto semplici. Il resto è stato fornito dall’illuminazione, con un fondale bianco e l’altro nero.

La scena intermedia era composta dalle due quinte del teatro corpose e mobili, che avevano l’aspetto di due pareti di pietra grigia e che potevano servire a tutte le scene dell’opera, figurando volta a volta la prigione, la cantina, la casa, la chiesa: il colore uniforme dava unità d’impressione. Questo legame armonioso e la rapidità dei mutamenti non frammentavano l’azione; anzi: quasi come in un sogno le scene si succedevano in guisa da sembrare che variasse il luogo, restando sempre vicino al precedente. Il palco costituiva una zona neutra. L’architettura era di un’epoca imprecisata e il proscenio identico per la chiesa, la camera e il passeggio.

Furono scelti i costumi del XX secolo, perchè questa foggia dalle lunghe pieghe contribuisce all’effetto distante ed esclude la maglia ardente che procura all’attore un aspetto di strano ballerino.

Per il costume e gli accessori, conviene la ricerca dell’effetto a distanza. Troppo spesso si adoperano stoffe minutamente piegate, meravigliose di dettagli, le quali da lungi paion soltanto saggi inesperti d’opposti colori troppo sfumati e che si risolvono in un grigio scialbo; accessorii che sembrati giocattoli; acconciature che si distinguono a pena con l’occhialino. Così, l’arcolaio di Margherita era grande, non perchè a questa buona borghese convenisse per l’aspetto una macchina orgogliosa, ma per un’altra ragione. Margherita deve comparire sola in questa scena. E’ necessario soltanto mostrarla all’arcolaio e le minuterie d’ammobigliamento della stanza non convengono alla situazione, tenuta nei limiti di un’effusione lirica, di un’apparizione appena reale. Questo tipo di grande arcolaio permette all’attrice pochi gesti e vistosi, offrendole, in quanto all’ottica, un appoggio più considerevole sulla scena vuota e, limitando lo spazio, proietta l’ombra sui piani più distanti. L’arcolaio, che concorre direttamente all’azione, non poteva essere un giocattolo, sibbene uno strumento facile a riconoscersi subito nella luce incerta.

Edoardo Persico.