I grandi navigatori del secolo XVIII/Capitolo II

Capitolo II.
LA GUERRA DI CORSA NEL SECOLO XVIII

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Jules Verne - I grandi navigatori del secolo XVIII (1879)
Traduzione dal francese di Anonimo (1895)
Capitolo II.
LA GUERRA DI CORSA NEL SECOLO XVIII
Capitolo III

Viaggio di Wood-Rodgers - Avventure di Alexander Selkirk - Le isole Galapagos - Puerto Seguro - Ritorno in Inghilterra - Spedizione di George Anson - La Terra degli Stati - L’isola Juan Fernandez - Tinion - Macao - La presa del galeone - La costa di Canton - Risultati della crociera

Si era in piena guerra di successione in Spagna. Alcuni armatori di Bristol decisero allora d’equipaggiare delle navi per inseguire le navi spagnole nell’oceano Pacifico e saccheggiare le coste dell’America del Sud. Le due navi che furono scelte, il Duke e la Duchess, sotto il comando dei capitani Rodgers e Courtney, furono armate con cura e fornite di tutte le provviste necessarie per un viaggio così lungo. Il celebre Dampier, che si era acquistata tanta reputazione con le sue corse avventurose e le sue piraterie, non sdegnò d’accettare il titolo di primo pilota. Benché questa spedizione sia stata più ricca di risultati materiali che di scoperte geografiche, la sua relazione contiene tuttavia alcuni particolari curiosi che meritano d’essere conservati.

Il 2 agosto 1708 il Duke e la Duchess lasciarono la rada reale di Bristol. Osservazione interessante da fare anzitutto: durante il viaggio fu tenuto a disposizione dell’equipaggio un registro sul quale dovevano essere annotati tutti gli avvenimenti della campagna, affinché i minimi errori e le più piccole dimenticanze trovassero una correzione prima che il ricordo dei fatti avesse potuto alterarsi.

Non vi è nulla da dire su questo viaggio fino al 22 dicembre. In questo giorno furono scoperte le isole Falkland, che pochi navigatori avevano individuato fino allora. Rodgers non vi approdò; egli si accontenta di dire che la costa presenta il medesimo aspetto di quella di Portland, sebbene sia meno alta.

“Tutti i colli - aggiunge - hanno l’apparenza di un buon terreno; il pendio ne è facile, fornito di boschi, e la spiaggia non manca di buoni porti”.

Queste isole non posseggono nemmeno un albero, e i buoni porti vi sono tutt’altro che frequenti, come vedremo più tardi. Si vede quanto siano esatte le notizie che dobbiamo a Rodgers, tuttavia i navigatori hanno fatto bene a non fidarsene.

Dopo aver passato questo arcipelago, le due navi andarono difilate verso sud e si spinsero in questa direzione fino a 60° e 58° di latitudine. Non c’era notte, il freddo era pungente e il mare così agitato, che la Duchess non patì qualche avaria. I principali ufficiali delle due navi, radunati a consiglio, giudicarono allora che non fosse opportuno spingersi più a sud, e fu fatta rotta a ovest. Il 15 gennaio 1709 si notò d’aver doppiato Capo Horn e che si era entrati nel Mare del Sud.

A quel tempo quasi tutte le carte differivano circa la posizione dell’isola Juan Fernandez, tanto che Wood-Rodgers, che voleva fermarcisi per far provvista d’acqua e procurarsi un po’ di carne fresca, la incontrò quasi senza cercarla.

Il 1° febbraio egli mise in mare una barca per andare alla scoperta d’un ancoraggio. Mentre si aspettava il suo ritorno, si vide un gran fuoco sulla riva. Alcune navi francesi e spagnole erano forse approdate in quel luogo? Si sarebbe dovuto dar battaglia per procurarsi l’acqua e i viveri di cui si aveva bisogno? Tutte le disposizioni furono prese durante la notte; ma la mattina nessuna nave era in vista. Ci si stava già chiedendo se il nemico si fosse ritirato, quando l’arrivo della scialuppa venne a por fine a tutte le incertezze, conducendo un uomo vestito di pelli di capra, con la faccia più selvaggia ancora delle vesti.

Era un marinaio scozzese, chiamato Alexander Selkirk, che, in seguito a un litigio col suo capitano, era stato abbandonato da quattro anni e mezzo su quell’isola deserta. Il fuoco che si era visto era stato acceso da lui.

Durante il suo soggiorno a Juan Fernandez, Selkirk aveva visto passare molte navi: due solamente, spagnole, vi avevano ancorato. Scoperto dai marinai, Selkirk, dopo essere stato preso a schioppettate, era sfuggito alla morte in grazia della sua agilità, che gli aveva permesso di arrampicarsi sopra un albero senza essere visto.

“Egli era stato messo a terra - dice la relazione - coi suoi abiti, il suo letto, un fucile, una libbra di polvere, delle palle, del tabacco, un’accetta, un coltello, una caldaia, una Bibbia e alcuni libri di devozione, i suoi libri di marina. Il povero Selkirk provvide ai suoi bisogni il meglio che gli fu possibile: ma durante i primi mesi stentò molto a vincere la tristezza e a sormontare l’orrore che gli cagionava una solitudine così spaventosa. Egli costruì due capanne, a qualche distanza l’una dall’altra, con legno di mirto-pimento. Le coprì con una specie di giunchi e le foderò di pelli di capra, che uccideva quando ne aveva bisogno, finché durò la sua polvere. Quando fu pressoché esaurita, egli trovò il mezzo di far del fuoco con due pezzi di legno di pimento, che sfregava l’uno contro l’altro. Quando la sua polvere fu esaurita, pigliava le capre alla corsa, ed era diventato così agile con un esercizio continuo, che correva attraverso i boschi, sulle rupi e le colline con una rapidità incredibile. Ne avemmo la prova quando venne a caccia con noi; egli passava innanzi ai nostri migliori corridori e a un cane eccellente che avevamo a bordo; raggiungeva in breve le capre e ce le portava sulle spalle. Egli ci disse che un giorno inseguiva uno di questi animali con tanto ardore, che lo afferrò sull’orlo di un precipizio nascosto da cespugli, e rotolò dall’alto al basso con la sua preda. Fu così stordito dalla caduta, che perdette i sensi; quando tornò in sé, trovò la capra morta sotto il proprio corpo. Egli rimase quasi ventiquattro ore sul luogo, e stentò molto a trascinarsi fino alla sua capanna, che distava un miglio, e da cui non poté uscire se non in capo a dieci giorni”.

Dei navoni seminati dall’equipaggio di qualche nave, dei cavoli palmisti, del pimento e del pepe della Giamaica servivano all’abbandonato per condire i propri alimenti. Quando le sue scarpe e le sue vesti furono a pezzi, il che non tardò molto, se ne fece di pelle di capra, con un chiodo ch’egli adoperava a foggia d’ago. Quando il suo coltello fu consumato interamente, se ne fabbricò un altro con dei cerchi di botte che aveva trovati sulla spiaggia. Egli aveva perduto così tanto l’abitudine di parlare, che stentava a farsi comprendere. Rodgers lo imbarcò e gli diede sulla propria nave l’ufficio di contromastro.

Selkirk non era stato il primo marinaio abbandonato sull’isola Juan Fernandez. Si rammenterà forse che Dampier vi aveva già raccolto uno sventurato Mosquito, abbandonato dal 1681 al 1684, e si vede, nel racconto delle avventure di Sharp e di altri filibustieri, che il solo superstite di una nave naufragata su quelle coste vi visse cinque anni, finché un’altra nave venne a riprenderlo. Le disgrazie di Selkirk sono state narrate da uno scrittore moderno, dal Saintine, nel romanzo intitolato: Solo!

Le due navi lasciarono Juan Fernandez il 14 febbraio e cominciarono le loro corse contro gli Spagnoli. Rodgers s’impadronì di Guayaquil, da cui ebbe un grosso riscatto, e catturò molte navi, che gli fornirono più prigionieri che denaro.

Di tutta questa parte del suo viaggio, di cui non ci dobbiamo occupare, non rammenteremo se non alcuni particolari sull’isola della Gorgona, dove egli notò una scimmia alla quale l’eccessiva sua lentezza ha fatto dare il nome di “pigro”, su Tecamez, i cui abitanti, armati di frecce avvelenate e di fucili, lo respinsero con perdite, e sulle isole Galapagos, poste a due gradi di latitudine nord. Questo arcipelago è numerosissimo, stando a Rodgers; ma della cinquantina d’isole che lo compongono, non ne trovò una sola che fornisse acqua dolce. Egli vide una quantità di tortorelle, tartarughe di terra e di mare di una grandezza straordinaria - il cui nome è stato dato dagli Spagnoli a questo arcipelago - e di cani marini estremamente temibili, uno dei quali ebbe anzi l’audacia di assalirlo.

“Ero sulla spiaggia - egli dice - quando esso uscì dall’acqua, con la gola spalancata, con tanta velocità e ferocia quanto il cane più furibondo che abbia rotta la catena. Mi assalì tre volte. Gli cacciai la mia picca nel petto, e ogni volta gli feci una larga ferita che lo costrinse a ritirarsi con orribili grida. Poi, volgendosi verso di me, si arrestò per brontolare a mostrarmi i denti. Non erano ventiquattr’ore che un uomo del mio equipaggio aveva rischiato di essere divorato da uno stesso animale”.

Nel mese di dicembre, Rodgers si ritira con un galeone, di cui si era impadronito a Manila, sulla costa della California, a Puerto Seguro. Molti dei suoi uomini si spinsero nell’interno. Essi videro una gran quantità di alberi d’alto fusto, non trovarono la minima traccia di coltura, ma scorsero molte nuvole di fumo, le quali indicavano che il paese era abitato.

“Gli abitanti - dice l’abate Prévost nella sua Storia dei viaggi - erano di una corporatura dritta e robusta, ma molto più neri di tutti gli altri Indiani che aveva visto nel Mare del Sud. Essi avevano i capelli lunghi, neri e lisci, che pendevano loro fino alle cosce. Tutti gli uomini erano nudi, ma le donne portavano delle foglie o dei pezzi di una specie di stoffa, che pareva fatta di foglie anch’essa, o pure delle pelli di animali o d’uccelli... Alcuni portavano dei collari e dei braccialetti fatti di schegge di legno o di conchiglie; altri avevano al collo delle piccole bacche rosse e delle perle, che non hanno senza dubbio l’arte di bucare, giacché sono legate l’una all’altra con un filo. Essi trovavano così bello questo ornamento, che rifiutavano le collane di vetro degli Inglesi. La loro passione non era ardente se non per i coltelli e gli strumenti che servono a lavorare”.

Il Duke e la Duchess lasciarono Puerto Seguro il 12 gennaio 1710 e giunsero all’isola Guam, una delle Marianne, due mesi più tardi. Essi vi presero dei viveri, e passando per gli stretti di Boutan e di Saleyer, si recarono a Batavia. Dopo la sosta di rigore in questa città e al Capo di Buona Speranza, Rodgers si ancorò alle Dune il 1° ottobre.

Sebbene egli non dia i particolari delle immense ricchezze che riportava, si può per altro farsene un’idea quando s’intende Rodgers parlare delle verghe, del vasellame d’oro e d’argento e delle perle di cui egli rimise il conto ai suoi fortunati armatori.

Il viaggio dell’ammiraglio Anson, di cui faremo ora il racconto, appartiene ugualmente alla categoria delle guerre di corsa, ma chiude la serie di queste spedizioni di furfanti che disonoravano i vincitori senza rovinare i vinti. Sebbene anch’egli non porti nuovi acquisti alla geografia, la sua relazione nondimeno è cosparsa di riflessioni giudiziose, d’osservazioni interessanti sopra regioni poco note. Esse sono dovute, non già al cappellano della spedizione, Richard Walter, come indica il titolo, bensì a Benjamin Robins, stando a ciò che si legge nei Nichol’s literary anecdotes.

George Anson era nato nel 1697 nello Staffordshire. Marinaio fin dall’infanzia, non aveva tardato a farsi notare. Egli aveva reputazione d’abile e fortunato capitano, quando nel 1739 ricevette il comando d’una squadra composta del Centurion, di 60 cannoni, del Glocester, di 50, del Severn, della medesima forza, della Pearl, di 40 cannoni, del Wager, di 28, della scialuppa Tryal e di due navi portatrici di viveri e di munizioni. Oltre ai suoi 1460 uomini di equipaggio, questa flotta aveva ricevuto un rinforzo di 470 invalidi o soldati di marina.

Partita dall’Inghilterra il 18 settembre 1740, la spedizione passò per Madera, per l’isola Santa Catarina, sulla costa del Brasile, toccò il porto di San Giuliano e traversò lo stretto di Lemaire.

“Per quanto orribile sia l’aspetto della Terra del Fuoco - dice la relazione - quello della Terra degli Stati ha qualche cosa di più orribile ancora. Esso non offre che una serie di rupi inaccessibili, irte di punte aguzze, di un’altezza prodigiosa, coperte di una neve eterna e circondate di precipizi. Insomma, l’immaginazione non può raffigurarsi nulla di più triste e di più selvaggio di questa costa”.

Le ultime navi della squadra erano appena sbucate dallo stretto, che una lunga serie di burrascosissime raffiche fece confessare ai marinai più esperti che tutto quanto essi avevano chiamato fino allora uragano era nulla al paragone. Questo tempo spaventoso durò sette settimane senza cessare. È inutile chiedere se le navi subissero delle avarie e se perdessero molti marinai portati via dalle ondate o decimati dalle malattie che un’umidità costante e un nutrimento malsano non tardarono a sviluppare.

Due navi, il Severn e la Pearl, furono inghiottite, e altre quattro perdute di vista. Anson non poté arrestarsi a Valdivia che aveva fissato come luogo di ritrovo in caso di separazione. Spinto molto più lontano, non gli fu possibile arrestarsi se non a Juan Fernandez, dove giunse il 9 luglio. Il Centurion aveva gran bisogno di questa sosta. Ottanta uomini del suo equipaggio erano morti; i vivi non avevano più acqua, e lo scorbuto aveva talmente indebolito i marinai, che non ce n’erano dieci in grado di fare il loro quarto di servizio. Tre altre navi, in uno stato altrettanto pessimo, non tardarono a raggiungerlo.

Bisognò anzitutto ristorare gli equipaggi sfiniti e rimediare alle avarie più gravi delle navi. Anson sbarcò i malati, li stabilì all’aria libera, in un ospedale ben riparato, poi, alla testa dei marinai più valorosi, percorse l’isola in tutti i versi per rilevarne le rade e le coste. Il miglior ancoraggio sarebbe, stando ad Anson, la Baia Cumberland. La parte sud-est di Juan Fernandez - isoletta che non avrebbe più di cinque leghe su due - è arida, sassosa, senza alberi; il terreno è basso e molto liscio al paragone della parte settentrionale. Il crescione, la portuluca, l’acetosa, i navoni, le rape di Sicilia vi crescevano in abbondanza, come pure l’avena e il trifoglio. Anson fece seminare delle carote e delle lattughe, piantare dei noccioli di prugne, di albicocche e di pesche. Egli non tardò a rendersi conto del perché il numero dei becchi e delle capre, lasciati dai pirati in quell’isola e che vi si erano moltiplicati così meravigliosamente, fosse tanto scemato. Gli Spagnoli, per togliere questa ricchezza preziosa ai loro nemici, avevano sbarcato una quantità di cani affamati, che diedero la caccia alle capre e ne divorarono un numero così grande, che ne rimanevano appena duecento a quel tempo.

Il Caposquadra - così viene sempre chiamato Anson nella relazione del viaggio - fece riconoscere l’isola di Mas-a-fuero, che è lontana venticinque leghe da Juan Fernandez. Più piccola, essa è anche più boschiva, meglio innaffiata e possiede un numero maggiore di capre.

Al principio di dicembre gli equipaggi avevano potuto ripigliare forze bastanti perché Anson pensasse a eseguire il suo progetto di far la corsa contro gli Spagnoli. Egli s’impadronì anzitutto di molte navi cariche di mercanzie preziose e di verghe d’oro, poi bruciò la città di Paita. Gli Spagnoli valutarono la loro perdita in questa circostanza a un milione e mezzo di piastre.

Anson si recò poi alla baia di Quibo, presso Panama, per spiare il galeone che ogni anno porta le ricchezze delle Filippine ad Acapulco. Là, se gli Inglesi non videro alcun abitante, trovarono, accanto ad alcune miserabili capanne, dei grandi ammassi di conchiglie e di bella madreperla, che i pescatori di Panama vi lasciano durante l’estate. Fra le provviste abbondanti in quel luogo conviene citare le tartarughe franche, che pesano ordinariamente duecento libbre, e la cui pesca si faceva in un modo singolare. Quando se ne vedeva una galleggiare addormentata sulla superficie del mare, un buon nuotatore si tuffava alcune tese, risaliva, e afferrando la tartaruga verso la coda, si sforzava di farla affondare. Risvegliandosi, questa si dibatteva, e il movimento bastava a sorreggerla insieme con l’uomo finché una barca venisse a raccoglierli entrambi.

Dopo una crociera inutile, Anson dovette indursi a bruciare tre navi spagnole che aveva prese e armate. Ripartito il loro equipaggio e il loro carico sul Centurion e sul Glocester, le due sole navi che gli rimanessero, Anson, il 6 maggio 1742, decise di recarsi in Cina, dove sperava di trovare dei rinforzi e dei viveri freschi. Ma questa traversata, che si proponeva di fare in sessanta giorni, durò quattro mesi. In seguito a un violento uragano, il Glocester, che affondava e non poteva più essere manovrato da un equipaggio ridotto, dovette essere bruciato. Soltanto il denaro e i viveri furono trasbordati sul Centurion, ultimo avanzo di quella flotta magnifica partita da due anni appena dalle coste d’Inghilterra.

Gettato fuori dalla sua rotta, lontano nel nord, Anson scoprì, il 26 agosto, le isole d’Anatacan e di Serigan, e l’indomani quelle di Saypan, Tinian e Agnigan, che fanno parte dell’arcipelago delle Marianne. Un sergente spagnolo, che egli catturò in quei paraggi sopra una piccola barca, gli rese noto che l’isola di Tinian era disabitata e che vi si trovavano in abbondanza dei buoi, dei volatili e dei frutti eccellenti, come a dire aranci, limoni, cocomeri, cocchi, alberi da pane, ecc. Nessuna sosta poteva capitare meglio al Centurion il cui equipaggio non contava più che 271 uomini sfiniti dalle privazioni e dalle malattie, soli superstiti dei 2000 marinai che componevano la flotta alla partenza.