21. La rabbia

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Malattie dei cani Il cane nella leggenda


Ovidio dice che vi sono due malattie dalle quali i medici non sanno guarire l’uomo. Queste due malattie sono la gotta e la rabbia. In verità i medici coscienziosi e sinceri trovano molto discreto il poeta latino in questa sua opinione che le malattie che essi non riescono a guarire siano solamente due. Pur troppo, queste malattie sono ben più numerose.

Da molto tempo poi è stato notato che le malattie appunto che i medici non riescono a guarire sono quelle per le quali hanno una lista più lunga di medicamenti che si trovano nei loro libri, proclamati a gara gli uni più efficaci degli altri.

Avvertono poi con ragione i medici, per ciò che si riferisce alla rabbia, considerata solamente pei segni con cui si presenta e dai quali si può riconoscere, che gli antichi non l’hanno descritta se non che nell’ultimo suo stadio, quello che è più vistoso, e non si diedero pensiero di esaminarla quando incomincia, mentre allora appunto è più pericolosa, perché passa inavvertita e può tuttavia già produrre i suoi effetti.

Un primo errore, diffuso fra i dotti e nel volgo in passato, diffuso ancora nel volgo oggi, è che la rabbia sia costantemente accompagnata dalla avversione per l’acqua e dalla impossibilità di bere.

Questo avviene veramente nell’uomo arrabbiato, ma non avviene nel cane, o almeno non avviene che nell’ultimo periodo della malattia, e anche allora si vede l’animale, pur non potendo più bere, tuffare tuttavia il muso nell’acqua. Un cane arrabbiato si gettò in un fiume e lo attraversò a nuoto per andare dall’altra parte a mordere delle pecore che aveva veduto pascolare sulla riva. Nei primi giorni della malattia il cane arrabbiato beve come quando è sano.

Il cane che sta per diventare arrabbiato dà i primi segni di ciò in un modo che, se non ci si bada bene, passa inavvertito. L’animale si rincantuccia, va sotto il letto, sotto un seggiolone, sotto un sofà, si avvoltola come fa quando vuol coricarsi, e si corica veramente; ma, dovunque siasi adagiato, ci sta poco. Mosso da una inquietudine che non gli concede riposo, si leva, va alla porta, fiuta, si aggira, non sa che fare. La voce del padrone allora lo commove e lo conforta, accorre obbediente e carezzevole.

Sovente in questo principiare della malattia il cane è più affettuoso del solito; va, anche non chiamato, dal padrone, lo accarezza, gli lecca le mani, gli lecca il viso, e può fin da quel punto essere causa della sua morte; la saliva del cane è già in condizione di dare la malattia, e se il padrone ha un’ulcera, una ferita, una escoriazione della pelle là dove il cane ha leccato, per quella via la saliva può essere assorbita e portata nel sangue.

È raro che un padrone si lasci leccare dal suo cane, sovrattutto si lasci leccare il viso; ma non è raro che ciò facciano i ragazzi, le padrone e la padroncine.

Uno dei primi segni coi quali si manifesta il cambiamento avvenuto nell’umore del cane che sta per diventare arrabbiato, un segno che appare talora quando ancora mancano tutti gli altri, è questo, che alla vista di un altro cane gli si precipita addosso e lo insegue per morderlo. Tanto più è notevole ciò quando si veda avvenire in un cane consuetamente mansueto, e più che non al mordere inchinevole alle carezze e ai trastulli.

Il cane in queste condizioni morde poi anche e lacera coi denti le stoffe, le lenzuola, le vestimenta che trovi sulle seggiole, le coperte dei sofà, l’imbottitura, lana, crini o altro.

Allora si manifesta un segno che non falla, e che, quando tutti gli altri segni sono ancora incerti, può far riconoscere con certezza la malattia a chi ne abbia pratica, ed è una maniera particolare di latrato, diverso dal consueto, e tanto caratteristico che chi l’abbia sentito una volta non c’è più caso che sbagli.

In questo stato l’animale può durare parecchi giorni, e può non accorgersene o non badarci il padrone, i servi, la famiglia, tutti, e può l’animale col mordere, e anche solamente col leccare, trasmettere la malattia.

Un celebre veterinario inglese, il signor Youatt, fu primo a segnalare e descrisse molto bene un fatto che appare nel cane rabbioso in sul principio della malattia, e di cui parla acconciamente pure, per averlo poi esso stesso parecchie volte verificato, il signor Bouley, già direttore della scuola veterinaria di Alfort presso Parigi, morto recentemente.

Sembra allora che il cane vada soggetto a una aberrazione dei sensi, la quale gli faccia vedere oggetti che non ci sono, udire suoni o rumori immaginari, o altro somigliante. In una parola, il cane in questo stato va soggetto a delle allucinazioni. Senza nessun eccitamento dal di fuori, immobilmente si atteggia in agguato, poi a un tratto si slancia e morde nell’aria dove non c’è nulla da mordere, come fa quando vuole abboccare a volo una mosca. Altre volte si precipita contro un muro urlando furiosamente, come se avesse udito grida minacciose dall’altra parte.

Ripeto ancora e insisto su ciò, che il cane può rimanere parecchi giorni in questo stato, e può avvenire che non ci si badi, anzi il più delle volte avviene, soprattutto in campagna, e una o più vite umane possono andare miseramente perdute per questa trascuranza.

Bisogna dunque badar bene a questi primi segni; e provvedere. Si tratta, appena il cane dia un qualche menomo indizio che possa destare sospetti, di chiuderlo in una stanza. Un paio di settimane di osservazione bastano al di là del bisogno, perché se il cane è veramente preso dalla malattia, prima che questo tratto di tempo sia trascorso i sintomi progrediscono e troppo si fanno palesi.

Se il cane è libero, soventissimo in capo a pochi giorni dalla invasione della malattia fugge dalla casa, e va allora vagando per la campagna con sguardi biechi, andatura barcollante, pelo irto, coda bassa, avventandosi a mordere alle bestie e alle persone e anche a oggetti inanimati.

Non è raro che il cane fuggito, dopo di avere vagato qualche giorno, tutto coperto di polvere o di fango, ansante, vacillante, ritorni a casa, e allora il pericolo è gravissimo, sovrattutto pei bambini della famiglia, che gli vanno incontro per fargli festa.

A questo punto l’animale non dura più che poco; non beve, non mangia, non abbaia, ha l’occhio sanguigno, la bava alla bocca, e talora penzolante per paralisi a la mascella inferiore; muore, per lo più ucciso.

È credenza generale che i cani vengano presi dalla rabbia esclusivamente o almeno principalmente in estate. Altri dicono che ciò avvenga nelle due stagioni estreme, a mezzo della state o a mezzo dello inverno. Le statistiche smentiscono queste asserzioni. I cani diventano arrabbiati in tutte le stagioni; e, almeno nell’Italia settentrionale, se c’è una preferenza, è piuttosto nella primavera.

I cani vaganti dell’Oriente, di cui è parlato a lungo in sul principio di questo volumetto, sono a un dipresso immuni dalla rabbia. Dico a un dipresso, perché qualche viaggiatore riferisce di aver veduto colà di quei cani arrabbiati. Siccome ho già detto, io posso parlare di ciò con qualche esperienza personale, perché dimorai a lungo in varie parti dell’Oriente e segnatamente in Egitto. Non vidi mai un cane arrabbiato. Del resto è facile intendere che se ci fosse la rabbia colà come c’è qui, e si propagasse pel morso da un cane all’altro e dai cani all’uomo come segue qui, in breve uomini e cani sarebbero tutti morti.

Pare che la frequenza della rabbia nel cane sia in ragione diretta della sua dipendenza dall’uomo. Si è nei paesi meglio inciviliti, e dove il cane sta nella casa come parte della famiglia, che più facilmente diventa rabbioso.

Le statistiche dimostrano che gli uomini sono morsi più frequentemente dai cani che non le donne, e ciò si comprende, stando gli uomini più assai che non le donne fuori di casa, la qual cosa li espone di più alle aggressioni dei cani arrabbiati, che corrono all’impazzata per la campagna e pei villaggi ed entrano anche non tanto di rado nelle città popolose.

Più frequentemente ancora degli uomini adulti sono morsi i fanciulli, e si comprende pure come ciò segua perché nelle campagne i fanciulli passan fuori la giornata ad accudire gli armenti al pascolo, e nei villaggi, una buona parte dell’anno stanno fuori di casa per le vie e sulle piazze.

Si dice e si ripete a sazietà che le statistiche non meritano fiducia, e un personaggio politico affermò arditamente che le cifre sono una opinione.

Non so se le statistiche solite siano tanto incerte quanto si dice, ma credo che le statistiche sulla rabbia siano le più incerte fra tutte.

Ciò premesso, aggiungo che le statistiche dicono ancora che i casi nei quali la malattia non tien dietro alla morsicatura, i casi di immunità in una parola, sono più numerosi nei fanciulli che non negli adulti.

Forse la spensieratezza della età, la piena quiete morale, concorrono a ciò, forse ci concorre la vita nutritiva più rigogliosa, il più efficace lavoro di eliminazione degli elementi perniciosi.

Chi ne sa!

Ho detto sopra che la lista dei rimedi proposti contro la rabbia è lunghissima, e potrei dimostrare ciò facilmente esponendo qui una enumerazione solo dei principali di questi rimedi. Ma non giova.

Il solo rimedio efficace è la cauterizzazione col ferro rovente, fatta il più presto possibile. La allacciatura, dove è possibile, al disopra della parte morsicata, il succiamento, dove è possibile, dalla ferita, lo spremerla per modo da farne uscire quanto meglio sia possibile il sangue, sono cose che si possono fare subito, senza perciò trascurare la cauterizzazione. Taluni consigliano, ove non si possa fare altrimenti, di riempire la ferita di polvere da caccia e poi accendere la polvere. Il ferro rovente è più sicuro.

Ciò è quanto c’era di meglio da fare fino a ieri. Oggi c’è ben altro. Fatta la cauterizzazione, che bisogna sempre fare in tempo, o non fatta, c’è da partire per Parigi e andare alla «École normale», rue de Ulm, dal signor Pasteur. Tutto il mondo parla del suo trovato per prevenire la rabbia in chi sia pure stato morsicato da un cane veramente arrabbiato.

Il signor Pasteur si occupa della rabbia da parecchi anni, ha fatto un numero, si può dire, incalcolabile di sperimenti sopra vari animali, e da quattro anni a questa parte non ha più tralasciato un giorno solo dall’operare sopra conigli che si susseguono gli uni agli altri per una catena non mai interrotta, affine di verificare ciò che v’è di certo e ciò che vi è di dubbio nei suoi concetti.

Se veramente il signor Pasteur ha fatto una grande scoperta, se l’avvenire sarà per confermare le speranze del presente, certo non potrà venir in mente a nessuno che questa grande scoperta sia dovuta al caso, come asseriscono di tante scoperte quei dotti che non scopersero, non scoprono, e non scopriranno mai nulla.

Il signor Pasteur è andato avanti colla potenza invitta del ragionamento e colla maestria incomparabile dello sperimentatore. Egli partì dal concetto che la sede della malattia sia nel cervello e nel midollo spinale; per verificare ciò prese dei cani arrabbiati, tolse da questi un pezzettino di midollo spinale, portò via a un cane, o a un coniglio, sano, colla trapanazione, un pezzetto circolare della volta del cranio, incise la sottostante membrana che ricopre il cervello, e depose sul cervello scoperto dell’animale sano il pezzettino di midollo spinale dell’animale arrabbiato, e in capo a quindici giorni gli animali a cui aveva fatto questa operazione diventarono arrabbiati alla loro volta. Allora egli preferse i conigli, siccome quelli che è più facile avere numerosi e governare a piacimento. Proseguendo sempre da un coniglio all’altro la inoculazione, ottenne costantemente di riprodurre la malattia, con questa differenza che oggi, in capo a tre anni di una catena non mai interrotta di inoculazioni, la malattia si sviluppa nell’animale inoculato non più in capo a quindici, ma in capo a sette giorni.

Il Pasteur credette che inoculando con certe date cautele dei pezzettini di midollo spinale di cane o di coniglio arrabbiato, si sarebbe potuto mettere il cane in condizione di non diventare più in nessun caso arrabbiato, o, come si dice, di renderlo refrattario alla rabbia, e inoculando in pari modo un cane morso da un cane arrabbiato si sarebbe potuto impedire in esso lo sviluppo della malattia.

Le cautele e il metodo che adoperava il signor Pasteur operando sugli animali, e che adopera anche oggi per operare sugli uomini, si possono riassumere così.

Egli prende un dato giorno, poniamo oggi, da un coniglio rabbioso un pezzetto di midollo spinale, e lo mette sospeso in una boccetta di cui ha cura di mantenere l’interno bene asciutto e al riparo da sostanze estranee di qualsiasi sorta. Domani prende un nuovo pezzetto di midollo spinale da un altro coniglio rabbioso e lo mette in un’altra boccetta colle medesime cautele, e il terzo giorno un terzo, e così prosegue per quindici giorni di seguito. La esperienza gli ha insegnato che il midollo vecchio perde la potenza di produrre la rabbia in un animale cui venga inoculato, e che questa potenza è tanto più grande quanto più il midollo estratto è recente. Così il midollo del coniglio arrabbiato di ieri è potentissimo, quello di ieri l’altro alquanto meno, quello di quindici giorni indietro ha perduto tutta la sua potenza.

Il signor Pasteur per rendere il cane immune dalla rabbia, tanto se è già morsicato quanto se lo farà morsicare dopo, gli inocula sotto la pelle, con uno schizzetto apposito, quello che si adopera tanto ora in medicina per le iniezioni della morfina o altre, dapprima del midollo vecchio di quindici giorni, poi il giorno seguente del midollo di quattordici giorni, poi di tredici, e viene fino al più recente. Se avesse incominciato con questo, l’animale sarebbe morto; terminando invece con esso dopo di avere incominciato da lontano, non solo l’animale non muore, ma si salva dalla rabbia, e ciò, ripeto, tanto se è già stato morsicato quanto se sarà morsicato dopo.

Ottenuto tutto ciò sui cani in modo così certo da non potersi aver più un’ombra di dubbio, il giorno 6 luglio dell’anno 1885, il signor Pasteur, dopo di essersi consultato con savi colleghi, operò sopra un fanciullo che era stato morso in parecchie parti del corpo e che secondo ogni probabilità sarebbe morto arrabbiato, e quel fanciullo, che si chiama Giuseppe Meister, e aveva allora nove anni, oggi ne ha dieci, ed è in ottima salute.

Centinaia di persone, dopo quel giorno, da tutte le parti del mondo, mossero al laboratorio del signor Pasteur e furono inoculate. Non si salvarono tutte. Non in tutte, anche senza la inoculazione, si sarebbe sviluppata la malattia. Ma il numero dei guariti è tale da lasciar credere che il metodo sia davvero efficace, e se ciò è, nessuno potrà dubitare che il signor Pasteur non debba venire considerato siccome uno dei più grandi benefattori del genere umano.