I cani/Cane da guardia

14. Cane da guardia

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Cane da caccia Cane barbone


I montanari del Tibet fanno un po’ come i nostri alpinisti. Di tratto in tratto se ne vanno, lasciando a casa solo le donne, i vecchi, i bambini. Ciò avviene talora per ragion di caccia, oppure per accudire alle gregge pascolanti pei greppi. Ma avviene pure abbastanza frequentemente per un altro motivo. Quegli uomini imprendono lunghi viaggi per smerciare muschio, borace e altro. In quei viaggi si spingono talora fino a Calcutta. Durante la loro lunga assenza, la custodia e la difesa del villaggio è affidata ai loro cani, i quali costituiscono una bellissima varietà della razza degli alani, che si mantiene colà pura da molti secoli, che era già apprezzata dai greci e dai romani e che va distinta, oltreché per la mole enorme, la bellezza delle forme, il pelame ruvido e in gran parte nero, per questo principale carattere del grande allungarsi che fa dalle due parti il labbro superiore, scendendo in due lembi sul muso.

La maggior parte dei cani fanno di buon animo la guardia alla casa, alle persone, al bestiame. Dico la maggior parte, perché tal cosa non è di tutti.

Il barbone non è guari difensore del suo padrone. Il veltro persiano è accusato di peggio.

Ma in generale la cosa sta, e anche quei cani che hanno una educazione speciale e compiono speciali uffici non tralasciano dall’essere all’uopo guardiani più o meno valenti. Sonovi poi cani da guardia speciali, che si dividono in tre categorie: guardiani della casa, guardiani delle persone, guardiani del bestiame.

La guardia della casa si può limitare a una casa sola, un podere in campagna, una capanna fra i boschi, o può essere un aggregato di case, un villaggio, una città.

Nella difesa di Corinto i cani combattendo eroicamente furono uccisi tutti, meno uno, il quale si chiamava Soter. Il superstite ebbe dallo Stato un collare di argento con scritte sopra le seguenti parole: «Difensore e salvatore di Corinto».

I cani dei Cabili, che fanno la guardia al «douar», incominciano a urlare quando viene la sera e non smettono fino al mattino.

Un personaggio di Shakespeare parla dell’ora in cui vagano gli uccelli funerei e urlano i cani da guardia; un altro parla dei cani del villaggio che abbaiano quando sentono gli altri abbaiare.

I cani che difesero i loro padroni aggrediti, e che rischiarono e sagrificarono la vita, sono numerosi. Oggi in Germania si allevano certi alani, ai quali si dà il nome di cani da camera, per la difesa personale del padrone segnatamente durante la notte, e il padrone li tiene a dormire nella stessa sua stanza, ai piedi del letto. Ciò fanno i vecchi celibi, i danarosi, gli avari. Un vecchio misantropo un giorno comprò uno di questi alani da camera, e lo menò a casa tutto contento, pensando di aver fatto un ottimo acquisto e di avere in quel nuovo animale, destinato oggimai a vivergli accosto, una sicura difesa. Diede al cane da mangiare e da bere, poi, venuta la sera, se lo portò con sé a dormire nella sua stanza da letto. Il vecchio dormì tranquillamente tutta la notte e il cane anche. Venuto il mattino il vecchio, che soleva svegliarsi e levarsi di buon’ora, sollevò le coperte e fece per mettere una gamba fuori. Il cane si avventò al letto e mise tutte e due le sue gambe anteriori sulla sponda di esso, protendendo il muso contro il nuovo padrone con ringhi che non lasciavano dubbio intorno al loro significato. Il vecchio si rimise subito giù, pensando che si trattasse soltanto di un impeto inconsiderato e passeggero di malumore. Il cane si sdraiò di nuovo al piede del letto. Dopo una mezz’ora il vecchio fece un nuovo tentativo, molto circospetto, per scendere, e il cane ripigliò l’atteggiamento primiero. La cosa durò fino al pomeriggio, e avrebbe durato chi sa fin quando se non si fosse trovato modo di far venire l’antico padrone del cane a liberare il nuovo.

Nicomede, re di Bitinia, aveva ammaestrato con molta cura uno smisurato molosso a fargli la guardia del corpo. Costringeva degli schiavi a fingere di aggredirlo, e li faceva azzannar subito dal molosso, che poi premiava largamente. Di tratto in tratto, quegli schiavi che costringeva a fingere di aggredirlo, li travestiva da cortigiani, per ogni buon fine. Quel cane non si discostava mai di un passo dalla persona del re. Un giorno la regina, che si chiamava Consingis, trastullandosi col suo reale signore, faceva scherzosamente le viste di batterlo. Il cagnaccio, che non aveva capito lo scherzo, le fu d’un balzo addosso e le strappò via la spalla destra.

Ottimo guardiano del bestiame è il cane da pastore, che riceve una educazione diversa secondo il bestiame che deve governare.

L’Ariosto ci pone sotto gli occhi il

...veloce can che il porco assalta
Che fuor del gregge errar vegga nei campi,
Lo va aggirando, e quinci e quindi salta...

Il cane guardiano delle bovine ha bisogno di una educazione più completa. Egli deve frenare la violenza e la voglia di mordere che sono nella sua natura, ma deve pure mordere a tempo e luogo, con buon metodo e buoni intendimenti. I vitelli li deve mordere davvero, perché altrimenti non gli darebbero retta: deve mordere la vacca che spinge davanti a sé, ma la deve mordere solamente nelle zampe di dietro, non mai nella coda, non mai nei fianchi, e tanto meno nei capezzoli delle mammelle. Quando la vacca gli tira dei calci deve sapersene schermire, e non smettere per questo dal morderla nel modo che sopra è detto. Quando il bue lo investe colle corna, il cane gli deve conficcare i denti nel muso tanto da rimanervi appeso. Deve poi sempre badare al padrone, obbedire ai suoi ordini, interpretare i suoi voleri, comprendere un cenno della mano, un movimento del capo, uno sguardo, e operare corrispondentemente.

Nello Avesta si trova, come si può trovarla in un moderno trattato di zootecnia, la divisione dei cani da guardia nelle tre categorie, secondo che sono destinati a custodire la casa, la persona del padrone, il bestiame.

Il cane guardiano del bestiame primeggia.

L’uomo che dà al cane un cattivo nutrimento cade in peccato. Non bisogna dargli ossa che non possa frangere, né cibi troppo caldi. Al cane che vigila in pro dell’uomo e non ha tempo di cercare da sé il nutrimento bisogna dare zuppa di farina, grasso, carne.

L’uomo che dà un cattivo nutrimento al cane guardiano del bestiame fa peccato come se desse un cattivo nutrimento a un gran capo di famiglia, a un personaggio molto segnalato.

L’uomo che dà un cattivo nutrimento al cane guardiano della casa fa peccato come se desse un cattivo nutrimento a un uomo di condizione mezzana.

L’uomo che dà un cattivo nutrimento al cane guardiano della persona fa peccato come se desse un cattivo nutrimento a un prete.

Prego il mio lettore di non credere che nell'Avesta si voglia parlare del prete in senso di disprezzo o di niun riguardo. Nei libri sacri non si parla mai con disprezzo o con poco riguardo dei preti. Si fa qui un vero elogio del prete, volendosi significare che è austero, alieno dalla golosità, avvezzo alla semplicità delle vivande, alla frugalità, alle mortificazioni, ai digiuni.

L’uomo che ferisce o uccide un cane da guardia è in peccato, e guai a lui se morisse prima di aver avuto tempo a fare la penitenza. L’anima sua andrebbe nell’altro mondo in mezzo alle angosce e ai terrori.

Per buona fortuna è cosa rara che un uomo muoia di colpo subito dopo di avere ammazzato un cane. Deve dunque affrettarsi l’uomo caduto in un tale peccato ad espiarlo, e l'Avesta gli dice appunto quale deve essere l’espiazione, che varia secondo che si tratta di un cane guardiano del bestiame, o della casa, o della persona.

Per espiare la morte di un cane guardiano del bestiame il peccatore deve uccidere di sua mano mille e seicento animali nocevoli; per un cane guardiano della casa ne deve uccidere settecento; per un cane guardiano della persona, seicento.

Questo minor castigo per la uccisione del cane guardiano della persona probabilmente ha fra le altre spiegazioni questa, che ragionevolmente si deve supporre che la persona deve anche un poco sapersi difendere da se stessa.

L'Avesta tratta estesamente delle cure che l’uomo deve avere per la cagna pregnante e pei nati. Il cagnolino può essere abbandonato a sé quando può correre quattordici volte intorno alla casa. Più esplicitamente, in un altro passo, è detto che il cagnolino abbisogna delle cure assidue dell’uomo per sei mesi, il bambino per sette anni.

Il Buffon, il Flourens, per non citare altri, parlarono lungamente dei prodotti dello accoppiamento delle due specie del cane e del lupo. Di questi prodotti è parlato nell’Avesta. Si domanda se sia più feroce il figlio del cane e della lupa o quello del lupo e della cagna, e si dichiara che è più feroce il figlio del cane e della lupa.

L'Avesta parla pure di cani cattivi, e avverte che questa cattiveria può essere temporanea, per trovarsi il cane in certo modo fuori di sé, o può essere persistente, proprio per effetto di un cattivo carattere.

Non mi fermo a far notare qui al mio lettore come, tra le denominazioni moderne, si tratti appunto di ciò che chiamiamo ora forza irresistibile, delinquenti nati, delinquenti d’occasione. Se il cane non è in sé, bisogna curarlo con medicamenti come si farebbe di un uomo; se è cattivo di natura, bisogna legarlo e mettergli una museruola come prescrive oggi ogni zelante sindaco di un comune bene amministrato.