I bambini delle diverse nazioni/I bambini svizzeri

I bambini svizzeri

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I BAMBINI SVIZZERI



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ite la verità, bambini, c’è nessuno fra voi, che non salterebbe di gioia se sentisse dire che i suoi genitori lo conducono per un paio di mesetti nel paese caro a tutti i viaggiatori, e dove le nevi dei ghiacciaj e i rivi che sgorgano da quelli, cacciano l’estate e fanno godere l’aria fresca di primavera per quel periodo in cui da noi si soffre per il caldo soffocante? Io credo di no. Il nome solo di Svizzera fa pensare alla smagliante verdura dei prati, alle piccole casette nascoste fra gli alberi, ornate di piante rampicanti, con le terrazze su cui sfoggia colori vivaci il geranio, ed alle quali si accede mediante scale esterne di legno, alle foreste di pini e di abeti, ai ruscelli che precipitano dall’alto, e alla pace, la grande pace montana, tanto desiderata dagli abitanti delle città rumorose.

Come è bello di seguire il bestiame pascolante da una verde vallata ad un’altra, di ascoltare il tintinnìo dei sonagli, di divertirsi con le capre domestiche, di cogliere fiori selvatici e inseguire le farfalle, e imparare a jodein [p. 72 modifica]come fanno i pastori, di sonare la cornamusa e cantare la Ranz des Vaches, e di ascoltare in sulla sera il racconto delle avventure dei cacciatori di camosci sempre esposti a perder la vita nei paesi alpini, nei ghiacciaj, sulle piagge nevose.

La sera è un piacere lo stare a sentire il nonno, che racconta ai suoi nipotini intenti ad ascoltarlo, la novella dei maghi e delle streghe, dei giganti e dei nani, delle fate buone e perverse, dei draghi, dei mostri. Nessuno ha mai veduto tutta quella strana gente, creata dalla fantasia popolare, ma si vuole che abiti il fondo dei laghi montani e che ruggisca, gridi e urli quando imperversa la bufera o quando una sventura sta per succedere. L’ehni (nonno) è ascoltato religiosamente dai nipotini, e quando questi saranno ehni a loro volta, racconteranno ai figli dei loro figli le stesse novelle con qualche piccola aggiunta. Così, bambini, si perpetua e si amplia la tradizione popolare.

A proposito di burrasche, in Isvizzera se ne vedono alcune spaventose quando soffia il föhn ardente, il quale appicca il fuoco ai graziosi châlets; oppure quando le valanghe, rotolanti sui fianchi delle montagne, li travolgono nei burroni, nelle valli, e li sotterrano sotto la neve; o finalmente quando la neve, sciolta dalle piogge, ingrossa i torrenti, i quali devastano e abbattono quel che trovano.

Un uso strano c’è in Isvizzera. I bambini piccoli invece di esser messi nella culla, sono collocati in una piccola cassetta; ed ecco la ragione di quell’uso, a cui i piccoli svizzeri si sottomettono senza mormorare. Nella primavera gli abitanti dei villaggi e dei casolari chiudono le loro dimore per tutta l’estate, e vanno ad abitare gli châlets sulle montagne. Essi non abitano lo stesso châlet tutto il tempo dell’estate. Quando i pascoli d’intorno incominciano a [p. 73 modifica]doventare scarsi, essi vanno in un altro, e così di seguito. In tutta la stagione ne cambiano otto o nove. Le suppellettili scarse sono lasciate nello châlet da un anno all’altro; così i pastori non portano seco altro che i recipienti per fare il burro e il cacio. Questi sono portati dal padre e dai figli maggiori, ed i più piccoli corrono ai loro fianchi e la madre porta la culla in testa con il bambino, la padella e l’ombrello legati sulle spalle, e fa la calza. Svizzera

Come potrebbe fare la povera donna, se dovesse portare in testa una culla pesante come quelle che usano in altri paesi?

Il primo giorno che il bestiame è condotto nelle pasture alpine, è giorno di gioia per i suoi proprietari e per i bambini, che accorrono a vederlo dalle città e dai villaggi.

La prima cosa che fanno le vacche appena si trovano [p. 74 modifica]libere per i prati, dopo aver passato l’inverno rinchiuse nelle stalle, è quella di disputarsi il diritto di sovranità.

Lottano l’una con l’altra per conquistare quel diritto, e i bambini stanno ansiosi a guardare chi di loro resterà vincitrice: se Griotta, la vacca rossa, o Violetta la bruna, o Bruna la nera, o Masera la disprezzata. Quando la lotta è terminata, la vacca vincitrice, chiamata reina o maitra in alcune parti della Svizzera, riceve le insegne della sua carica dalle mani del pastorello, il quale le lega la grande campana intorno al collo. Essa l’agita con coscienza della propria dignità, e da quel giorno in poi è davvero regina della mandra, e quando ha occupato quel posto per un paio di anni, ed ha la peggio nell’annua battaglia, un’altra è investita della sua carica. La vinta allora doventa malinconica, e ricusa di mangiare.

Quando la mandra ha la sua regina, allora i ragazzi tornano alle città e ai villaggi, ed il pastorello seduto sopra una pietra muscosa, lascia che la brezza gli agiti i capelli e canta la Ranz des Vaches:

Les armaillis de Colombetta
De bon matin se son lévà.
Ah! ah! lioba, lioba por aria
Vermide toté, petité, grozzé
Et bliantz’é nèré é ’zouven é autré
Dezo stou tzano, yo yié trinzo
Lioba! lioba por aria!

Sapete quel che vuol dire quel canto?

I pastorelli di Colombella si sono alzati presto.
Oh! oh! vacche, venite per esser munte,
Venite tutte, grandi e piccole, bianche, nere, giovani e vecchie,
Venite sotto la querce perchè io possa mungervi;
Venite sotto il frassino perchè io faccia rapprendere il latte;
Vacche, vacche care, venite a farvi mungere!

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Fintanto che il bestiame resta nei pascoli bassi, i ragazzi che abitano le valli, pregano ogni tanto i genitori di condurli a fare escursioni nelle montagne.

Essi prendono seco le provvigioni: un paio di bottiglie di buon vino per timore che il fresco e la dieta del latte non giovi loro, e fanno delle merende allegrissime nei monti; quando il bestiame sale ai pascoli più alti, queste visite cessano, e i guardiani del bestiame non hanno più nulla che li disturbi dal preparare burro e cacio.

La fabbricazione del cacio è importantissima in Isvizzera; e nel Valais, per esempio, si calcola la ricchezza di un uomo dal numero di caci che possiede.

— Mio padre è un uomo ricco di caci — dice un ragazzo ad un altro. Ricco di caci significa ricco come Creso.

— Quanti caci ha? — domanda l’altro.

— Tanti e tanti, perchè ne abbiamo fatto appunto una grande quantità.

— Sciocchezze! — risponde il ragazzo con un sorriso di sodisfazione. — Mio padre ne ha una grande quantità in ogni giorno dell’anno, e alcuni dei suoi caci hanno cento anni. —

Un uso curioso nel Valais è quello di fabbricare alcuni caci quando nasce un bambino, di non toccarli finchè vive e di tagliarli soltanto al banchetto funebre. Un ricco serba il vino come il cacio per il giorno dei suoi funerali. Un bicchiere di questo «vino della morte» è posto sulla bara, quando si avvicinano gl’invitati. Uno di essi prende il bicchiere in mano, lo accosta alla bara, e lo beve all’incontro col suo amico nel mondo di là.

Au revoir! — dicono gli altri.

Se muore un bambino, è portato alla sepoltura in una bara scoperta, sulle spalle di altri bambini, ed i suoi vestiti sono regalati al bambino più povero del villaggio. [p. 76 modifica]

Molte bambine svizzere aiutano la madre nella fabbricazione del cacio, lo rotolano sul ghiaccio se hanno un ghiacciaio vicino, e lo ripongono in una cantina fredda col ghiaccio; altre fanno trine per vendere ai viaggiatori od offrono ai passanti il latte accagliato. I bambini fanno i pastori e conducono il gregge nelle parti quasi inaccessibili delle montagne. Si vede spesso un bambino piccolo con le penne al cappello, il bastone in mano e il camiciotto svolazzante al vento, ritto e sicuro sulla punta di una roccia, sospesa sull’abisso profondo. Quel bambino è circondato dalle sue capre, e la notte dorme a cielo aperto sopra un letto di foglie secche. Dorme tranquillo, e quando si desta la mattina, vede il gregge pascolare e l’aquila che vola in alto.

I componenti le famiglie svizzere si procurano anche un’altra occupazione. Essi si formano in compagnie e si mettono di stazione al piede delle salite, muniti di un bastone e di un ramo verde, aspettando i viaggiatori in carrozza, e scacciano le mosche di sul corpo dei cavalli, e mettono ogni tanto il bastone dietro le ruote per far riposare le bestie.

Altri offrono mazzi di fiori alpestri, come rose canine, vainiglia, che non fiorisce altro che ad una certa altezza, genziane turchino-scure e l’edelweiss dal fiore vellutato, così caro ai viaggiatori; oppure offrono canestre piene di fragole salvatiche.

Altri fanno giocattoli in forma di animali, o altri delle cose graziosissime e pongono sotto gli occhi di ogni persona forestiera che vada in quel paese.

In Isvizzera ci sono pochi mendicanti, e quei pochi soltanto si trovano sulle strade frequentate dagli stranieri. I bambini nel cantone di Uri hanno un modo speciale di [p. 77 modifica]chieder l’elemosina, che fa loro quasi sempre ottenere l’intento. Quei bambini biondi, con gli occhi azzurri, vi corrono incontro, vi guardano sorridendo, e baciandovi la mano destra ti dicono in tuono convincente: «Gesner öppis!» (Datemi qualcosa!).

Le scuole sono aperte soltanto nei mesi freddi. L’edifizio scolastico è il più bello del villaggio, e gli svizzeri, invece di dire che una casa è grande come un palazzo, dicono che «è grande come il fabbricato di una scuola.»

Durante l’estate i ragazzi imparano il linguaggio dei marchi, ed ecco perchè. Ogni famiglia, nei distretti alpini, ha il proprio marchio, che si trasmette di generazione in generazione, e che è ereditato, generalmente dal figlio minore. Questo marchio è inciso nella pelle delle capre o fatto a fuoco, e si trova pure nel tronco degli alberi di una foresta, e in tutto ciò che appartiene a una famiglia. Quando le pecore e le capre di una grande quantità di famiglia sono affidate ad un pastorello, questo deve renderle alla fine dell’estate ai rispettivi padroni, e per ciò è necessario che conosca tutti i marchi.

Ci vuole un grande sforzo di volontà, e quando i ministri della religione vanno nell’estate in montagna a insegnare il catechismo ai bambini, spesso scrollando la testa dicono afflitti che essi imparano meglio i marchi che il catechismo.

Finchè le famiglie restano nella prima o nella seconda regione delle montagne, esse discendono regolarmente ogni domenica fino alla chiesa; la madre porta il bambino minore e il babbo il penultimo. La predica è lunga, ma i bambini, stanchi per la lunga discesa all’aria fresca, dormono tranquillamente, e si destano soltanto quando è tempo di tornare a casa. Nel Valais la gente va in chiesa cavalcando asini o muli. La madre sta davanti col bambino [p. 78 modifica]in collo o reggendo la culla; il padre sta dietro, e reggendosi alla moglie per paura di scivolare dalla coda; i bambini corrono tirando l’animale per la coda con tutte e due le mani.

Soltanto quando le famiglie vanno ad abitare gli châlets più alti, il ministro evangelico va a raggiungerle e predica all’aria aperta. In quelle occasioni egli passa la notte in uno degli châlets, e spesso fa combinare la sua visita con una delle grandi scommesse di pugilato che si fanno nell’estate, con grandissimo piacere dei grandi, dei piccini e dello stesso ministro.

A quella lotta prendono parte gli uomini di due cantoni. Generalmente principia la festa con un servizio religioso sopra un pulpito eretto all’aria aperta. Dopo, i membri delle famiglie, uomini, donne e bambini, accorsi dal villaggio e dalle vicine città formano dei gruppi e mangiano le provvisioni portate lassù, le quali consistono in cacio, burro, paste e ciambelle. Quindi i ragazzi danno prova per conto proprio della loro perizia; ma presto sono mandati da parte per far posto ai maggiori.

I due campioni prima di misurarsi si vanno incontro e si stringono la mano per mostrare che il combattimento è onorevole e non fatto con cattivi intendimenti. Quando uno dei campioni è battuto, un’altra coppia si avanza, e poi un’altra, così tutti i giovani dei due cantoni hanno campo di mostrare la forza dei loro muscoli.

La coppia più forte si misura per l’ultima, e il campione che in tre attacchi riesce ad atterrare l’avversario, resta vincitore e ottiene in premio un agnello ornato di nastri e ghirlande.

Uno dei più grandi passatempi dei ragazzi, allorchè sono soli sulle montagne a guardia del gregge, è quello [p. 79 modifica]d’intagliare il legno con un coltello. Da principio i loro tentativi riescono male, ma col tempo essi doventano esperti nell’arte loro.

Un altro divertimento in alcuni cantoni, è quello del pasterle, che equivale alla nostra scampanata. I ragazzi si riuniscono di sera portando ognuno uno strumento musicale o non musicale, tant’è vero che si servono anche di padelle, ecc., e vanno per le strade facendo un rumore indiavolato. Un fantoccio, rappresentante una strega, è posto a cavallo a una capra o ad un asino, o è trascinato in una slitta, e si dice che tutto quel rumore deve servire a cacciare la strega. Dopo che quella figura è stata portata in processione, è lasciata fuori della città, e allora il rumore cessa, e i ragazzi ritornano tranquilli alle loro case.

Un uso strano c’è nella valle di Münster. In sul principio della primavera tutti i ragazzi al disotto dei quattordici anni vanno di casa in casa sonando delle grosse campane attaccate alla cintura. Lo chiamano «ir per calendas Mars» o per far crescer l’erba. I ragazzi danno loro uova, noci, riso e danaro, e con quel provento fanno una festa.

Quando vi era occasione in alcuni cantoni svizzeri di collocare una pietra di confine per delimitare una parte di territorio, quelli che dovevano procedere a quel lavoro portavano seco un ragazzo senza informarlo di ciò che stavano per fare. Giunti al luogo stabilito, gli davano un pugno nell’orecchio, un pizzicotto e in alcuni luoghi anche un morso. Il ragazzo non dimenticava mai più, neppur se fosse campato cent’anni, il luogo dove era stato offeso. Anche se la pietra veniva tolta e sotterrata, egli poteva sempre indicare dove era il limite di quel [p. 80 modifica]territorio, e così far cessare le dispute che insorgevano rispetto alla proprietà.

Gli abbigliamenti dei contadini svizzeri sono vari e graziosi. Le fanciulle del Valais portano, la domenica, la sottana e il bustino di stoffa rossa ricamato, il grembiule bianco e le larghe maniche bianche alla camicia, un fazzoletto di seta al collo; in testa un cappello di paglia e le calze bianche o rosse. Dei capelli fanno due trecce, che si avvolgono intorno al capo. Quell’acconciatura è chiamata guazza.

Alcuni ragazzi portano pure una treccia pendente, che chiamano la codinetta. Il loro vestiario consiste in un paio di calzoni di lana neri fermati al ginocchio, in un paio di calze bianche con le scarpe a fibbia, una camicia, un giustacore corto e un cappello tondo di feltro.

Le stoffe che servono a fare i vestiti per gli uomini e per i ragazzi sono quasi sempre filate e tessute dalle donne di casa e provengono dalla lana delle pecore proprie, così sono di colore naturale; cioè bianco, nero e marrone.

I bambini piccoli portano un vestitone largo e lungo fino ai piedi, fermato alla vita soltanto con una cintura chiara. Hanno le scarpe con le grosse fibbie e la scuffia di colore.

In altri cantoni svizzeri le sottane sono di colore diverso da quello del busto, e questo è allacciato di dietro ed è ornato di nastri o di catene. I pastorelli delle Alpi portano camiciotti turchini e berretti di velluto nero ornati di rosso.

Nelle graziose città come Berna, Coira, Zurigo ecc., vi sono buone scuole, collegi ed università, dove viene data una eccellente educazione ed istruzione ai giovanetti ed alle fanciulle. Molte di queste sono mandate dalla Germania, dall’Inghilterra e perfino dall’America in pensione a Losanna, a Ginevra o a Basilea per essere istruite, ed [p. 81 modifica]acquistare nel tempo stesso, quella semplicità d’idee che è il tratto principale del carattere svizzero. Sapete che in quel paese si parla da alcuni italiano, da altri francese, e da altri tedesco, perchè tante sono le diverse nazionalità che compongono la repubblica federale. Ogni cantone ha il proprio governo, e il governo centrale è a Berna, una graziosa città tutta Lauben (portici) dove i ragazzi possono correre anche nei giorni di pioggia, e dove c’è uno dei più curiosi mercati che si conosca.