Le novelle della nonna/I Nani di Castagnaio
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- I Nani di Castagnaio
Il dì della Pentecoste, cui i contadini toscani dànno il poetico nome di Pasqua di Rose, era stato un giorno lieto per il podere di Farneta. Vezzosa, levata col sole, aveva destato i bimbi, e dopo averli lavati, pettinati, e vestiti con quel che avevano di meglio, aveva condotto seco l’Annina e Gigino nell’orto, e mentre la ragazzetta coglieva le più belle rose dalle piante, che crescevano rigogliose fra i cavoli, i piselli e l’insalata, Gigino ripeteva la poesia imparata per la nonna, una poesiola semplice, trovata in un libro di lettura delle classi elementari. Il Rossino aveva messo tanto impegno nell’impararla, che ora la ripeteva senza sbagli, e con un garbino che gli valeva molti baci dalla zia. - Va’ a vedere se la nonna è scesa in cucina, - disse Vezzosa alla ragazzetta, allorché le piante di rose furono spogliate dei fiori più belli. - C’è, c’è! - tornò a dire l’Annina, - e non sola; c’è la mamma, che fa il caffè, e vi è tutta la famiglia che lo aspetta. - Ebbene, andiamo, - disse Vezzosa. E posto il grosso mazzo olezzante nelle mani del bimbo, se lo spinse avanti. Il Rossino, giunto sulla porta di cucina, si fermò e non disse nulla. - Via, coraggio e avanti, - gli sussurrò Vezzosa nell’orecchio. E allora il bambino fece una corsa e depose le rose in grembo alla nonna. Tutti avevano capito e s’erano schierati per ascoltare il bimbo, il quale, fatti pochi passi indietro, incrociò le mani e disse la sua brava poesia, senza intaccar mai. - Bravo! - esclamò la nonna. - Ma chi te l’ha insegnata, chi ha preparato a me questa sorpresa? Gigino, tutto rosso, accennò coll’indice la Vezzosa, che stava a ridere in disparte. - Sempre lei; - mormorò la vecchia, - è la vera consolazione della famiglia, è la moglie che avevo sognato per Cecco. Le rose furono messe in fresco in un rozzo boccale, e, dopo aver preso il caffè, le donne si disposero ad andare alla messa. Era una festa di quelle grosse e bisognava riconoscerla mettendosi i vestiti migliori e le gioie più belle. Come fosse carina Vezzosa, col vestito di seta, il fazzoletto turchino incrociato sul petto e i bei pendenti che le aveva regalati Cecco, non si può dire. E lui, tutto orgoglioso della moglie, se la condusse in chiesa, e gli pareva che ella dovesse somigliare alla Regina quando era giovine sposa, come l’aveva descritta Maso nella veglia dell’Epifania. Sul sagrato della chiesa c’erano, in un gruppo, i perfidi amici di Cecco; questi, invece d’imbrancarsi con loro, entrò in chiesa e vi rimase finché vi restò Vezzosa. Quando uscirono, ella disse: - Bravo Cecco, così ti voglio. - E così hai diritto che io sia! - rispos’egli. La giornata passò al solito lieta, come tutti i giorni di festa in cui i Marcucci si concedevano un riposo assoluto. Vezzosa, in attesa dei viaggiatori di ritorno da Camaldoli, aveva preparato una tavola sull’aia, vi aveva messo una bella tovaglia di bucato, le rose còlte per la nonna, e, a suo tempo, avrebbe servito la schiacciata fatta il giorno prima e il vin santo vecchio. Verso le quattro i viaggiatori non si vedevano, e i bimbi volevan la novella. - Oggi, - disse la Regina prima di cominciare, - ne voglio raccontar una apposta per Gigino. Egli m’ha detto stamani la poesia, e io voglio ricompensarlo. Il Rossino le si sedé accanto e la vecchia incominciò:
- C’era dunque una volta a Castagnaio tutto un popolo di Nani, diviso in quattro tribù, che abitavano i boschi, le piagge, le valli e i poderi, dove maturano le méssi. Quelli che stavano nei boschi, si chiamavano Cornetti, perché soffiavano in piccoli corni che tenevano appesi alla cintura; quelli che abitavano le piagge, si chiamavano Ballerini, perché passavano la notte a ballare in giro al lume di luna; quelli che abitavano le valli, Valletti, per la loro predilezione per quelle località; in quanto agli abitatori dei poderi, che erano piccini piccini e neri, venivan chiamati Topolini, ed essendo stati accusati di proteggere i cristiani e di favorire i loro raccolti, dovettero fuggire in Mugello. Al tempo di cui parlo, dunque, non c’erano più altro che i Cornetti, i Ballerini e i Valletti, ma in così gran numero, che pochissimi uomini, anche fra i più coraggiosi, osavano avventurarsi a passar accosto al palazzo rotondo che essi avevano a Castagnaio. V’era poi un punto, detto Pian del Castagno, nel quale i Ballerini stavano a preferenza, e che era evitato da ogni cristiano durante la notte, perché i perfidi Nani circondavano il mal capitato nella loro danza vertiginosa, e lo facevan girare fino al primo canto del gallo. Però, una volta, un certo Bernardo, che faceva il bifolco, tornando di sera, stanco, da arare un campo, aveva lasciati i buoi nella stalla del contadino e, imbattutosi nella moglie sua, prese giù per la piaggia abitata dai Ballerini, per scorciar la via. Bernardo credeva che fosse presto, e sperava che i Nani non avessero ancora incominciato il ballo; ma giunto in mezzo al Pian del Castagno, li vide sparsi intorno ai massi che le piogge avevan travolti dalla vetta dei monti. Il bifolco stava per tornare addietro, quando sentì echeggiare i corni dei Cornetti e le grida dei Valletti. Bernardo si mise a tremare e disse alla moglie: - Se san Francesco benedetto non ci aiuta, siamo perduti; ecco i Cornetti e i Valletti che vengono a raggiungere i Ballerini per continuar le danze tutta la notte. Ci costringeranno a ballare fino a giorno, e io scoppierò. Infatti i Nani giungevano da tutte le parti, circondando Bernardo e la moglie come uno sciame di mosche intorno a un piatto di miele; ma subito si allontanarono vedendo che aveva la forca in mano e si misero a cantar in coro:
Via, fuggiamo dal villano
Che la forca reca in mano,
Quella forca maledetta,
Che compié tanta vendetta!
Bernardo capì allora che la forca era una scongiura contro i Nani e passò in mezzo ad essi, insieme con la moglie, senza soffrir nessun danno. Quello fu un avvertimento per tutta la gente del contado, e chi doveva uscir la sera, prendeva sempre seco una forca e non evitava più il Pian del Castagno e la casa rotonda dei Nani. Bernardo, però, non credé con questo di aver fatto abbastanza per i suoi compaesani; egli era un uomo curioso, aveva il cervello fine e una vivace allegria, non da gobbo davvero. Poiché non vi ho detto ancora che Bernardo era gobbo fin dalla nascita, ma gobbo reale, cioè con una protuberanza in mezzo alle spalle e un’altra in mezzo al petto che tuttavia non gl’impedivano di lavorare tutto il giorno, e di guadagnarsi coscienziosamente il pane. Una sera, non potendo più stare alle mosse, prese la forca e, dopo essersi raccomandato a san Francesco, andò al Pian del Castagno. Appena i Ballerini lo videro da lontano, gli corsero incontro gridando: - Ecco Bernardo! Ecco Bernardo! - Sì, omìni, sono io; - rispose quel mattacchione del gobbo, - vengo a farvi una visitina. - Benvenuto! - risposero i Ballerini. - Vuoi ballare con noi? - Scusate, brava gente, ma voi non soffrite d’asma, e io sì. - Ci fermeremo quando vorrai, - dissero i Ballerini. - Me lo promettete? - domandò Bernardo che avrebbe volentieri ballato, per poterlo raccontare. - Te lo promettiamo, - risposero i Nani. - Sulla croce del Salvatore? - Sulla croce del Salvatore. Il gobbo, convinto che quel giuramento lo garantisse da ogni sventura, entrò nella catena formata dai Ballerini, i quali incominciarono a girare cantando:
Giro, giro tondo,
Giro. giro tondo.
Dopo un certo tempo Bernardo si fermò e disse: - Con la vostra buona grazia, signori Nani, io vi ho da dire che questo canto e questo ballo mi sembrano poco divertenti. Senz’esser poeta, credo di poter allungare la canzone. - Sentiamo! Sentiamo! - dissero i Nani. Allora il gobbo riprese:
Giro, giro tondo,
Un pane, un pane tondo,
Un mazzo di viole,
Le do a chi le vole;
Le vo’ dare alla vecchina;
Caschi in terra la più piccina!
I Ballerini fecero un gran baccano, - Avanti, avanti! - esclamarono circondando Bernardo. - Sai far versi e balli bene; ripeti, ripeti! Il gobbo ripeté:
Giro, giro tondo,
Un pane, un pane tondo,
Un mazzo di viole,
Le do a chi le vole;
Le vo’ dare alla vecchina;
Caschi in terra la più piccina!
Intanto i Ballerini giravano come tante piume spinte dal turbine. A un tratto si fermarono e, affollandosi intorno a Bernardo, gli dissero tutti a una voce: - Che cosa vuoi? che cosa desideri? Ricchezza o bellezza? Parla e noi ti contenteremo. - Dite sul serio? - chiese il bifolco. - Che si possa esser condannati a raccattare a uno a uno tutti i chicchi di grano del Casentino, se ti inganniamo, - risposero. - Ebbene, - replicò Bernardo, - dal momento che volete farmi un dono e me ne lasciate la scelta, vi chiedo una cosa sola: levatemi le due gobbe e fatemi diventar diritto come un fuso. - Bene! Bene! - risposero i Nani. - Vieni qua e vedrai. Essi acchiapparono Bernardo, gli fecero fare una capriola per aria e se lo buttarono da uno all’altro come se fosse stata una palla, finché non ebbe fatto tutto il giro del circolo. Allora egli ricadde in terra sbalordito, mezzo soffocato, ma senza gobba e ringiovanito, cresciuto, rimbellito. Era così cambiato che anche la sua mamma avrebbe stentato a riconoscerlo. Vi potete figurare che sorpresa fece ai suoi compaesani quando ritornò a Castagnaio senza gobba! Nessuno voleva credere che fosse Bernardo, e anche la moglie era in forse se dovesse riceverlo o no. Per farsi riconoscere egli dovette dirle quante paia di lenzuola aveva nel cassettone e di che colore erano le gonnelle che ella teneva nel cassetto. Finalmente, quando si furono accertati che era proprio lui, tutti vollero sapere come aveva fatto a diventare così diritto, da gobbo reale com’era prima; ma Bernardo pensò che, se lo diceva, lo avrebbero creduto il compare dei Nani, e che tutte le notti che qualcuno si fosse trovato in bisogno, avrebbe subito ricorso a lui. Perciò, a tutti coloro che lo tempestavano di domande, rispose che la guarigione era avvenuta durante il sonno e ch’egli non ne sapeva nulla, altro che s’era addormentato sulla piaggia vicina al Pian del Castagno. Allora tutti i gobbi del vicinato andarono a dormire a ciel sereno; ma rimasero sempre gobbi e pensarono che Bernardo non aveva voluto svelare il segreto. In paese c’era anche un sarto con i capelli rossi e gli occhi loschi, che chiamavano Pietro il Balbuziente, perché parlando intaccava sempre. E invece d’essere allegro e burlone, come sogliono essere i rossi, era tetro, uggioso quanto mai, e avaro, aiutatemi a dire avaro. Figuratevi dunque che egli campava a pattona e migliaccio, pur di dare i quattrini a usura, strozzando quanti gli capitavano fra mano. Bernardo gli doveva da un pezzo cinque fiorini d’argento. Un giorno Pietro andò da lui a richiederglieli. L’ex gobbo si scusò e lo supplicò di aspettare fin dopo la mietitura del grano; ma Pietro disse che non gli concedeva la proroga alla restituzione, altro che se gl’insegnava il segreto di diventar bello. Preso così alle strette, Bernardo dovette confessare, e raccontò la visita ai Ballerini dicendo quali parole aveva aggiunte alla loro canzone. Pietro il Balbuziente si fece ripetere le rime; poi se ne andò, avvertendo il suo debitore che gli concedeva dieci giorni per trovare i cinque fiorini. Ma sentendo che i Ballerini avevano offerto a Bernardo la scelta fra la bellezza e la ricchezza, il suo istinto d’avaro si ridestò e la sera stessa volle andare al Pian del Castagno per ballare fra i Nani e scegliere la ricchezza fra le due offerte che gli avrebbero fatto. Appena la luna fu alta sull’orizzonte, ecco dunque il Balbuziente che si mette in cammino verso la piaggia, con la forca in ispalla. I Ballerini, appena lo scorgono, gli corrono incontro e gli domandano se vuol ballare. Pietro acconsente, dopo aver fatto gli stessi patti di Bernardo, e si mette nella catena degli uomini neri che cominciano a cantare:
Giro, giro tondo,
Giro, giro tondo...
- Aspettate! - esclama il Balbuziente, - io voglio aggiungere qualche cosa alla vostra canzone. - Aggiungi! Aggiungi pure! - rispondono i Ballerini. E si mettono a cantare tutti insieme:
Giro, giro tondo,
Un pane, un pane tondo,
Un mazzo di viole,
Le do a chi le vole;
Le vo’ dare alla vecchina;
Caschi in terra la più piccina!
Allora i Nani tacquero, e il Balbuziente aggiunse solo, balbettando :
E si... si... rompa la zu... zucchina.
I Nani mandarono un altissimo grido. - E poi? - domandarono a una voce.
Si... si... rompa la zu... zucchina.
- Ma poi, ma poi?
Si... si... rompa la zu... zucchina.
I Nani ruppero la catena; tutti correvano all’impazzata e, non potendosi far capire, andavano in bestia. Il povero Balbuziente rimase a bocca aperta non potendo dir nulla. Alla fine tutta quella moltitudine di omìni neri si calmò un poco; essi circondarono Pietro e mille voci gli gridarono nello stesso tempo: - Esprimi un desiderio! Esprimi un desiderio! - Un de... de... siderio, - ripeté Pietro, facendosi coraggio. - Bernardo ha... ha... scel... to fra ricchezza e bellezza. - Sì, Bernardo ha scelto la bellezza e ha lasciato la ricchezza. - Ebbene, io scelgo ciò che Berna... Bernardo ha ri... cusato. - Bene, bene! - esclamarono i Ballerini. - Vieni qui, Pietro. Pietro si avvicinò tutto gongolante. Essi lo sollevarono da terra, come avevan sollevato Bernardo, lo fecero rimbalzare di mano in mano fino alla fine della catena, e quando cadde in terra aveva fra le due spalle una gobba grossa come un cocomero. Il sarto non si chiamava più Pietro il Balbuziente, ma era per di più il Gobbo balbuziente. Egli tornò a Castagnaio più svergognato di un can rognoso, e appena si seppe in paese quello che gli era accaduto, non ci fu più chi lo volesse vedere. Tutte le vecchie andavano a casa sua con una ciabatta in mano, col pretesto di chiedere un tizzo di fuoco, e appena vedevano Pietro, gliela picchiavano sulla gobba. L’infelice campava di rabbia e se la rifaceva con Bernardo, ruminando nel cervello pensieri di vendetta, perché accusava lui solo di tutti i suoi mali. Diceva che era il preferito dei Nani e aveva loro domandato certo di far quell’affronto al suo creditore. Così, appena trascorsi gli otto giorni, il Gobbo balbuziente disse a Bernardo che, se non poteva pagargli i cinque fiorini, avrebbe avvertito la giustizia per fargli sequestrare e vendere tutto quello che aveva. Bernardo ebbe un bel pregare e supplicare; l’altro tenne duro, e disse che il giorno seguente gli avrebbe messo all’incanto i mobili, gli attrezzi e il porco. La moglie di Bernardo si mise a piangere e ad urlare, dicendo che li esponeva alla berlina, che non restava loro altro da fare che prendere la bisaccia e il bastone e andar elemosinando, che non meritava il conto che Bernardo fosse diventato dritto e di bella presenza per farsi segnare a dito da tutti. Ella aggiunse molte altre cose, che è inutile riferire e che il dolore strappa di bocca ai meschini. Bernardo non rispondeva a tutte quelle lamentazioni. Diceva solamente che bisognava rassegnarsi alla volontà di Dio e di san Francesco; ma il suo cuore sanguinava e si rimproverava di non aver preferito la ricchezza alla bellezza, quando gli avevano lasciato la scelta. Ora si sarebbe adattato a riprendere le due gobbe, purché fossero state piene d’oro e d’argento. Dopo essersi lambiccato il cervello per trovare il mezzo di uscir da quel ginepraio, risolse di andare al Pian del Castagno. I Ballerini lo accolsero con grida di gioia come la prima volta, e vollero che ballasse in giro insieme con loro. Benché Bernardo non ne avesse voglia, pure non si fece pregare e si mise a saltare con tutte le sue forze. I Nani non saltavano, ma volavano come foglie secche spinte dal vento, ed erano tutti lieti. Essi ripetevano il primo verso della canzone, Bernardo ripeteva il secondo, essi il terzo, e così di seguito. Ma quel ripeter sempre le stesse parole parve un po’ monotono a Bernardo, il quale disse: - Se m’azzardassi a esprimere l’opinione mia, direi che questa canzone, alla lunga, è un po’ noiosa. - È vero! È vero! - gridarono i Nani. - Ebbene, - riprese Bernardo, - io ve ne comporrò un’altra più allegra. - Dilla subito, - gridarono i Nani. - Statemi a sentire:
Siam piccini, siam bruttini,
Siamo tutti ballerini,
Ed alquanto sbarazzini;
Gobba va, gobba viene,
Chi l’ha avuta se la tiene.
Mille gridi, che formavano un solo grido, partirono da ogni punto della piaggia. In un momento tutto il terreno fu coperto da Nani: ne uscivano dai ciuffi di erba e di ginestra, dal tronco dei castagni, dalle fessure delle rocce, pareva un alveare di omìni neri, sgambettanti tra i cespugli, e tutti gridavano:
Bernardo, sei l’atteso salvatore,
Se’ colui inviato dal Signore!
- In parola d’onore, non capisco quello che dite! - esclamò Bernardo meravigliato. - Te lo spieghiamo subito: - risposero i Nani, - Iddio ci aveva condannati a restare fra gli uomini e a ballare tutta la notte sulle piagge finché un cristiano non ci avesse inventata una nuova canzone. Tu allungasti l’altra, ma non bastava; avevamo sperato nel sarto Balbuziente, ma lui ci ha canzonati e noi l’abbiamo punito. Il tempo della nostra pena è cessato, e noi ritorniamo nel nostro regno, che si stende sotto la terra ed è più basso del mare e dei fiumi. - Se è vero che vi ho reso un servigio, - disse Bernardo, - non ve ne andate senza cavar d’impaccio un amico. - Che cosa ti occorre? - Tanto da pagare oggi, il Balbuziente, e il fornaio tutti i giorni. - Prendi i nostri sacchi! Prendi i nostri sacchi! - esclamarono i Nani. E gettarono ai piedi di Bernardo i sacchetti di panno rosso che portavano a tracolla. Egli ne raccolse quanti più poté e corse a casa tutto allegro. - Accendi la lucerna e metti il chiavistello, affinché nessuno ci possa vedere, - disse alla moglie. - Porto tante ricchezze da comprar tutto il Casentino. Bernardo posò subito sulla tavola i sacchetti e si mise ad aprirli. Ma, ahimè! aveva detto quattro prima d’aver la gatta nel sacco! I sacchetti non contenevano altro che rena, foglie secche e crini. Il povero Bernardo mandò un grido così acuto, che la moglie, la quale era andata a chiuder l’uscio, accorse spaventata. Il marito le narrò la gita al Pian del Castagno e tutto quello che era accaduto. - San Francesco, aiutateci! - esclamò la donna. - I perfidi Nani si sono burlati di te! - Purtroppo, me ne accorgo io pure! - disse Bernardo sgomento. - E tu, disgraziato, hai osato toccare quei sacchetti che hanno appartenuto ai dannati? - Credevo che contenessero qualche cosa di meglio, - rispose Bernardo tutto afflitto. - Chi non val nulla non può dar cosa di valore; - replicò la donna, - questi sacchi porteranno disgrazia alla casa. - E stava per buttarli sul fuoco, allorché ebbe un pensiero e disse: - Avessi almeno un po’ d’acqua santa! Ella andò a capo al letto, staccò da un chiodo una piletta di maiolica, c’inzuppò un ramo d’olivo benedetto, e ne asperse i sacchetti. Ma appena la rugiada del Signore cadde su di essi, i crini si cambiarono in vezzi di perle, le foglie secche in monete d’oro, e la sabbia in diamanti! L’incantesimo era rotto, il miracolo era avvenuto e le ricchezze che i Nani avevano voluto nascondere ai cristiani, erano costrette a riprendere il loro vero aspetto. Bernardo rese i cinque fiorini al Balbuziente, dette una ricca elemosina a ogni povero del contado, lasciò cinquanta messe al preposto, e poi partì insieme con la moglie per Firenze, dove comprarono una casa, ebbero dei figli e morirono ricchi in età avanzatissima. E da quel momento, nel Pian del Castagno, tutti passano liberamente di notte, e nessuno ha incontrato più né Cornetti, né Ballerini, né Valletti, né Topolini. I Nani sono spariti per sempre. E la novella è finita.
Il Rossino, che s’era divertito un mondo, corse ad abbracciare la nonna, ma l’arrivo dei viaggiatori da Camaldoli mise termine alle effusioni del piccino. Vezzosa, appena aveva sentito il rumore della carrozza, era corsa sulla via maestra, e Cecco le era andato dietro insieme con l’Annina. - Vedete, - disse la signora alla giovine sposa, - siamo stati di parola e accettiamo il vostro rinfresco. I due viaggiatori erano scesi di carrozza e, giunti sull’aia, risposero cordialmente ai saluti della numerosa famiglia. La Vezzosa fece sedere la signora accanto alla Regina, e subito servì la schiacciata e il vin santo. La viaggiatrice centellinava l’eccellente vino e rivolgeva domande alla vecchia, mentre l’ispettore forestale parlava con Maso. - Noi abbiamo stabilito di venire a Camaldoli nell’estate, - disse l’impiegato, - e allora mi fermerò spesso qui quando intraprenderò delle gite. Frattanto la signora parlava della bella impressione che aveva prodotta in lei il Casentino, del desiderio che aveva di passar molto tempo in quella dolce solitudine di Camaldoli insieme con i suoi bambini, quando un tuono fortissimo fece cessare la conversazione. Le donne si fecero il segno della croce, gli uomini si alzarono a un tratto, e Maso, che del tempo se ne intendeva, disse: - Avremo una gran burrasca... Signori, favoriscano di entrare in casa, e tu, Beppe, rimetti la carrozza sotto la capanna. Voi, donne, sparecchiate; ma fate presto, se no la grandine romperà ogni cosa. Prima che tutti fossero al coperto, si era scatenato un vento d’uragano. Il cielo pareva di piombo, l’aria aveva dei riflessi verdastri e veniva giù una grandine grossa come noci, accompagnata da fulmini. - Qui non ci piove, - disse Vezzosa alla signora quando fu in casa. - È vero, - rispose quella, - ma il treno non ci aspetta, e stasera noi non potremo essere ad Arezzo. - In viaggio occorre armarsi di pazienza e far più spesso la volontà del tempo che la nostra, - rispose il marito; e dopo essere andato a una finestra per guardare il cielo, aggiunse: - E non credo che la burrasca cesserà tanto presto. Che ne dite, capoccia? Maso esitò un istante per studiar bene il cielo e poi rispose: - Io credo che il temporale durerà un pezzo, e siccome è impossibile che la signora si rimetta in viaggio con questo tempo, la prego di adattarsi da noi per stanotte. Prima che la signora dicesse se accettava o rifiutava quell’offerta fatta alla buona, Vezzosa offrì la sua camera. - Non ci staranno come a casa loro; ma la camera è pulita e io gliela offro con tutto il cuore. - Vi daremo troppo incomodo, - osservò la signora. - Non creda, - disse Vezzosa, - io vado a dormire con la mamma; Cecco va col nipote maggiore, e non rimane altro che mettere un paio di lenzuola pulite sul letto. Appena la Carola aveva sentito che quei signori restavano, era andata nella rimessa e aveva acchiappati due piccioni. Mentre li pelava, la Vezzosa, aiutata dall’Annina, era andata a preparar la camera, e le altre donne attizzavano il fuoco e apparecchiavano la tavola per la cena. Intanto l’olio cominciava a bollire nella padella; le donne sbattevano le uova, andavano a prendere in cantina il cacio, il vino e il prosciutto, per fare assaggiare ai forestieri i migliori prodotti dei paese, e si davano un gran da fare. La cena fu oltremodo lieta, e la signora godeva di vedersi dintorno tanta gente pulita, educata e di buon umore. Ella parlava di altre regioni d’Italia, dov’era stata insieme col marito, come la Basilicata e la Calabria, ed era meravigliata che corresse tanto divario fra i contadini di quei luoghi incolti e poveri e la bella regione dove si trovavano adesso, popolata da gente cortese ed educata. - Prima di tutto, mia cara, - rispondeva il nuovo ispettore, - questi sono paesi che vantano un’antichissima civiltà; e poi il sistema della divisione delle terre fa sì che il contadino si affezioni al podere che coltiva. In Calabria, in Basilicata, in quei paesi che tu rammenti con raccapriccio, perché vi hai sofferto tanti disagi, le vaste distese di terreno appartengono ai signori che vivono lontani e che non si curano di farle fruttare. Basta loro di ritirare il fitto, e se i contadini non le coltivano, peggio per loro. Qui il proprietario non affitta i poderi; li dà a mezzadria al contadino, il quale ha interesse di farli fruttare senza esaurirli, e questa cura del lavoratore per la terra, che è sempre rimuneratrice, si traduce in belle raccolte e dà al paesaggio quest’aspetto gaio, gentile, ridente. Siamo sui greppi di alti monti; la neve copre per più mesi queste terre, i vénti impetuosi vi dominano, eppure l’uomo è riuscito a dare a questi terreni l’aspetto di un verde giardino non interrotto. Oh! se tutta l’Italia fosse così! - esclamò l’ispettore. - Quanta meno miseria e quanti meno malati di pellagra! - Miseria vera da noi ce n’è poca; l’emigrazione è quasi nulla; sono soltanto gli scioperati che vanno in America, e la pellagra non si conosce, - rispose Maso che gongolava a sentir lodare il suo bel Casentino da persona competente. Così ciarlando passò la serata, e fra il nuovo ispettore e la famiglia Marcucci si stabilì un legame di simpatia, che doveva in seguito portare i suoi frutti. Fuori, la tempesta imperversava; ma né i Marcucci né i loro ospiti s’impensierivano per il tempo, perché parlavano allegramente come vecchi conoscenti; i primi, lieti di offrire l’ospitalità, e i secondi, di vedersela offrire con tanto buon garbo. E quando l’ispettore cavò di tasca l’orologio, si meravigliò che fossero già le undici e che la serata fosse passata tanto presto. Vezzosa prese il lume e volle accompagnare la signora in camera per aiutarla a spogliarsi. La sposina adempié il suo ufficio di cameriera con tanto garbo, da meritarsi gli elogi della signora.