Gli duoi fratelli rivali/Prologo

Prologo

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Gli duoi fratelli rivali Personaggi
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PROLOGO.

Olá che rumore, olá che strepito è questo? Egli è possibil pure che fra persone di valore e di sangue illustre ci abbia a venir mischiata sempre questa vilissima canaglia? la qual per mostrar a quel popolazzo che gli sta d’intorno, che s’intende di comedie, or rugna di qua, or torce il muso di lá. Par che le puzzi ogni cosa: — Questa parola non è boccaccevole, questo si potea dir meglio altrimente, questo è fuor delle regole di Aristotele, quel non ha del verisimile; — pascendosi di quella aura vilissima popolare, né intende che si dica, e alla fine viene a credere agli altri. E altri pieni d’invidia e di veleno, per mostrar che la comedia non dia sodisfazione agli intendenti e che l’hanno in fastidio, empiono di strepito e di gridi tutto il teatro. E che genti son queste poi? qualche legista senza legge e qualche poeta senza versi.

Credete, ignorantoni, con queste vostre chiacchiere far parere un’opera di manco ch’ella sia, come il mondo dal vostro bestial giudicio graduasse gli onori dell’opere? O goffi che sète! ché l’opre son giudicate dall’applauso universal de’ dotti di tutte le nazioni: perché si veggono stampate per tutte le parti del mondo, e tradotte in latino, francese, spagnolo e altre varie lingue; e quanto piú s’odono e si leggono tanto piú piacciono e son ristampate, come è accaduto a tutte l’altre buone sue sorelle che in publico e in privato comparse sono. Vien qua, dottor della necessitá, che con sei tratti di corda non confessaresti una legge, che non sapendo della tua prosumi saper tutte le scienze: certo che se sapessi che cosa è comedia, ti porresti sotterra per non parlarne giamai. Ignorantissimo, considera prima la favola se sia nuova, meravigliosa, piacevole, e se ha l’altre sue parti convenevoli, ché questa è l’anima della comedia; considera la peripezia, che è spirito dell’anima che l’avviva e le dá moto, ché se gli antichi consumavano venti scene per far caderla in una, in queste sue [p. 198 modifica]senza stiracchiamenti e da se stessa cade in tutto il quarto atto, e se miri piú adentro, vedrai nascer peripezia da peripezia e agnizione da agnizione. Ché se non fossi cosí cieco degli occhi dell’intelletto come sei, vedresti l’ombre di Menandro, di Epicarmo e di Plauto vagar in questa scena e rallegrarsi che la comedia sia gionta a quel colmo e a quel segno dove tutta l’antichitá fece bersaglio.

Or questo è altro che parole del Boccaccio o regole di Aristotele, il qual, se avesse saputo di filosofia o di altro quanto di comedia, forse non arebbe quel grido famoso che possiede per tutto il mondo. Ma tu, che sei goffo, non conosci l’arte. Or gracchiate tanto che crepiate, ché il nome vostro non esce fuor del limitar delle vostre camere; né per ciò voi scemerete la fama dell’autore, la qual nasce da altri studi piú gravi di questo, e le comedie fûr scherzi della sua fanciullezza. Or tacete, bocche di conche e di sepolcri de morti: ché se provocarete la sua modestia, come or amichevolmente qui vi ammonisce, fará conoscer per sempre chi voi sète.

Ma questi ignorantoni per la rabbia m’han fatto tralasciare il mio officio che era qui venuto a fare con voi. Or questo serva in vece di prologo, ché l’argomento della favola lo vedrete minutamente spiegato da questi che vengon fuora.