Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro IV/VIII

Libro IV - Cap. VIII

../VII ../../Indice delle cose più notabili IncludiIntestazione 14 giugno 2023 75% diari di viaggio

Libro IV - VII Indice delle cose più notabili
[p. 519 modifica]

CAPITOLO OTTAVO.

Naufragio d’un Petacchio, e maraviglioso scampo

d’alcuni marinaj del medesimo


T
Olta una barca il Sabato 31. andai a veder l’Isola verde (appartenente a’ Padri della Compagnia) discosta non più d’un miglio dalla Città. Ella ha un miglio di circuito; e con tutto, che il suolo sia una sterile rocca, vi è nondimeno, per diporto de’ PP. una comoda casa; e all’intorno d’essa alquanti alberi fruttiferi, [p. 520 modifica]di licie, lungans, e vivas; come anche pochi plantani, e ananas.

In quella Isola trovai un Fratello, il quale mi riferì un caso ben stravagante, (che prima io avea udito da altri) d’un Petacchio della Costa di Cormandel, sopra al quale egli era stato marinajo. Nel 1682. partì egli dalla Città di Manila, e porto di Cavite; con circa 60. persone, fra Mori, Gentili, e Portughesi. Il Piloto poco pratico di due secche, che sono a fronte dell’Isole di Kalamianes, urtò inavvedutamente in una di esse; onde si ruppe, e si perdettero le merci. Volendosi salvare in un’Isola vicina i Mori, e Gentili, sopravvenne un temporale, e gli sommerse, con tutta la barca, nella quale andavano, ma gli altri, aspettata la calma, al meglio che poterono, composero di tavole un cassone; e dentro di esse a poco a poco, in più volte passarono nell’Isola, non più di due miglia discosta. Non avendo quivi trovato acqua, andarono in un’altra, tre miglia distante; la quale trovarono ugualmente bassa, picciolissima, e senza legna, et acqua; sicchè convenne loro per quattro giorni bere sangue di tartarughe. Alla fine, la necessità aguzzando l’intendimento, fecero fosse nella medesi[p. 521 modifica]ma Isola, sino al livello dell’acqua; che quantunque salinastra, per mancanza di migliore, pure la bevettero. La provvidenza divina (che giammai non abbandona) gli nutriva intanto di tartarughe; poiche venendo elleno a far le uova (ciò che accade per 6. continui mesi) ne uccidevano tal prodigiosa quantità, che loro bastava per sostentamento. Passato il tempo delle tartarughe, vennero nell’Isola grandi uccelli di Mare (chiamati da gli Spagnuoli, e spezialmente da’ Portughesi Paxaros Bobos) a fare i loro nidi; e come che erano molto semplici (come il nome stesso dinota) i marinaj ne uccidevano similmente, a colpi dì legna, bastante numero; e così tutti i 18. passati nell’Isola, si nutrivano, per sei mesi dell’anno di tartarughe, e’l rimanente d’uccelli; de’ quaii facevano anche provvisione, seccandogli al Sole. Non aveano pentole per cuocergli, onde la necessità insegnò loro, a farne di terra, che però servivano una sol volta. Essendo già logore le vesti (in sette anni, che menarono sì penosa vita) scorticavano gli uccelli, e cucendo le pelli insieme, con aguglie, e filo, fatto di picciole palme, coprivano la lor nudità. In Inverno poi si difendevano, in qualche [p. 522 modifica]modo dal freddo, sotto grotte, cavate da essi colle mani. Passarono in quello spazio molte navi; ma niuna, per molti segni, ch’essi facessero, con fuochi, chiamando soccorso, volle giammai venire ad ajutargli, per timore forse delle secche; e così convertivasi sempre in tristezza la conceputa sprranza. Si risolsero alla fine o di morire, o di uscire da tante miserie; poiche gli uccelli spaventati, più non venivano in quella quantità di prima, ed essi eran divenuti tante fantasime, per mancanza di cibo, e di fuoco (che s’erano ridotti a far di paglia) e per l’acqua, ch’era pessima. Fecero adunque una picciola barchetta, o per dir meglio, cassa di tavole; calafatandola colla bambagia d’una materassa, che tenevano, e ponendovi, in luogo di pece, grasso di tartarughe. Fecero le corde di certi nervi delle medesime; e le vele delle pelli degli uccelli, cucite insieme. Partironsi in fine senza la bastante provvisione d’uccelli, e d’acqua; riponendo ogni lor speranza nella misericordia divina; e dopo otto giorni, approdarono nell’Isola d’Aynan.

Posto piede a terra da’ 16. marinai (poiche due si erano morti nell’Isoletta) presero a fuggire i Cinesi, in vedendogli [p. 523 modifica]come fantasime, e con sì stravaganti abiti; ma narrata la loro disavventura, il Mandarino dell’Isola fece ristorargli, con cibi, e gli providde del necessario, per ritornare alle loro case. Giunti quelli, ch’erano Portughesi, in Macao, uno di essi trovò, che la moglie, credendolo già morto, avea tolto un’altro marito; però la riebbe, e il secondo s’ebbe la pazienza di provvedersi d’altra, e forse non gli seppe male.

Prima di porre il piede fuori della Cina è dovere (poiche qui mi rammenta) di dar contezza al lettore: che molto attorto viene intaccata la modestia delle donne Cinesi dall’Autor della Relazione Relat. de divers. voyages par. 3, pag. 67. n. 16. dell’Ambasceria Olandese a Pekin; il quale primamente ha sognato, che in Cina vi siano pubbliche meretrici; e poi, ch’elleno siano condotte per la Città, sopra un’asino, da chi ne fa traffico; e che costui va gridando: Chi se la toglie, della medesima maniera, che si fa delle altre cose necessarie alla vita: aggiungendo nel libro la figura di essa donna. Certamente io in tanti Imperj, e Regni, c’ho veduti, eziandio di Mori (più degli altri barbari) non mi sono incontrato in simile sfacciatezza; e quanto alla Cina, essendo andato alle due Corti, di [p. 524 modifica]Pekin, e Nankin, per l’istesso cammino, che fecero gli Ambasciadori Olandesi; non ho udito (non che veduto) far menzione di sì abbominevol mercato: anzi non v’è nè il nome, ne l’usanza delle meretrici, acciò non si corrompa la gioventù, e se vi fussero, sarebbono gastigate severamente. Quindi con molta ragione mi diceva in Pekin il Padre Filippo Grimaldi (ch’era stato Interprete di questa ambasceria) che l’Autor della Relazione avea scritte più mensogne, che parole.

La Domenica primo di Marzo venne l’ultimo Ciampan, carico di drappi. Lo tolse in affitto Domenico Seila, Fattore del Petacchio Spagnuolo, per non tener più a bada la nave, aspettando il carico. Convenne nondimeno, che si trattenesse anche il Lunedì 2. sì perche era assente Simea, servidore del Tsuntò, il quale s’avea tolta la cura del negozio, che importava 28. m. pezze da otto; e perche un suo compagno, in poter del quale era venuto il rimanente de’ drappi, non volea consegnargli senza di lui: come anche, perchw l’Hupù, o doganiere Cinese, per interesse, differiva la spedizione della Ciappa, o licenza, che il Capitan Basarte gli chiedea istantemente, per poter partire: e [p. 525 modifica]ciò perche il Generale Portughese non lo permette, senza licenza dell’Hupù.

Finalmente il Martedì 3. vennero in casa del suddetto Capitano alcuni Scrivani del Doganiere, co’ quali s’accomodò l’affare per ducati cinquanta, oltre il pagamento di tutti i diritti: e così il Mercordì 4. ritornò lo Scrivano maggiore, con molti portieri, e sottoscrivani, a consegnar la Ciappa al Basarte, che ricompenso il lor travaglio.

Il Giovedì 5. venuto Simea, fece puntalmente la consegna, per la somma di 28. mila pezze da otto; e ricevette le 15. mila, che se gli restavano dovendo.

Essendo il Venerdì 6. sul punto di far vela il petacchio, io, ch’era stato troppo neghittoso, non durai poca fatica, a far cosi all’infretta le provvisioni necessarie per l’imbarco. E qui non abbia a male il lettore, che faccia alquanto di sosta nel racconto de’ miei viaggi; per ricominciarne, a Dio piacendo, in brieve, il filo nel seguente volume.

Fine della Quarta Parte.