Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro I/I

Cap. I

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Libro I Libro I - II
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CAPITOLO PRIMO.

Fondazione della Città di Macao, e sue

Fortezze.


E
’ Giunto finalmente il tempo di entrare nel vastissimo Imperio della Cina; e quì sì, che vorrei pari alla grandezza di esso e lo stile, e la favella, per adeguatamente rappresentarlo a gli occhi, ed all’intendimento del curioso Lettore; ma non essendo in me tanto talento, resterà egli [p. 2 modifica]contento della mia semplicità. Cominciando dunque da un de’ Porti di questo Impero, che è Macao, ove dapprima io approdai; è da ridurre a memoria, che Macao vuol dire porto in lingua Cinese, ed in altra maniera dicesi Ama-Gao, così denominato dall’Idolo di questo nome, che si adorava in detto luogo. E’ nella lunghezza di 141. gr. e latitudine di 22. E’ posta la Città nella punta d’un’Isola della Provincia di Canton detta Hocicheu; la sua figura è come d’un braccio, bagnata per ogni lato dall’acque marine, fuor che in quella parte, che si congiugne coll’omero. Il suo sito è ineguale fra monti, valli, e piani; le sue case sono alla maniera d’Europa ben fabbricate: le Chiese a riguardo del paese ottime, e particolarmente quella del Collegio de’ Padri Gesuiti, che tiene un famoso frontespizio ornato di buone colonne. In questa Chiesa si conserva la preziosissima Reliquia di S. Francesco Saverio, dall’osso dell’omero sino al gomito del braccio destro, che si tagliò al Santo. Le Chiese poi de’ Padri Agostiniani, di San Francesco, di San Lorenzo, della Misericordia, e delle Religiose sono con molta decenza fabbricate, ed abbellite; [p. 3 modifica]le strade della Città sono tutte selciato, perche la pietra non manca. Farà 5. mila, e più anime di Portoghesi, e sopra 15. mila di Cinesi.

Son più di cento e dieci anni, che fu cominciata da’ Portoghesi; poichè venendo da Malaca, e dall’Indie a contrattar con Cinesi; sopraggiunti dal rigor della stagione alcuni vascelli miseramente perivano, per non tener sicuro porto nelle vicine Isole di Macao; onde dimandarono alcun ricovero per isvernare sino a tanto, che la stagione loro permettesse il ritorno: et i Cinesi per loro proprio utile diedero loro questo angolo di terra sassosa, occupata da’ ladroni, purchè gli scacciassero, come fecero. Dal principio si permisero loro case di paglia, ma poi corrotti li Mandarini, non solo le ferono di buona fabbrica, ma vi eressero fortezze; essendovene una alla bocca del porto detta della Barra, con un muro, che all’in su va a terminare alla Pegna, che è un Romitaggio de’ Padri Agostiniani sul monte; l’altra, ch’é la maggiore, dicesi del Monte, per esser collocata sulla più alta cima di una montagna. Di più vi è un Forte eminente, detto di Nostra Signora della Ghia. [p. 4 modifica]

Prese granchio Filippo Ferrario, che nel suo Dizionario Geografico scrive essere stata questa Città del Re di Portogallo Verbo Macaum., e che nel 1668. fusse stata espugnata dall’Imperador della Cina, ed a lui fusse soggetta; mentre sin dal principio della sua fondazione non patì alcun mutamento, essendo Colonia de’ Portoghesi per antica concessione dell’Imperadore, a cui non solo pagano l’annuo tributo, ma anche la dogana delle mercatanzie, e la misura de’ vascelli, quantunque scarichi di robe, nella maniera stessa che fassi a quelli de’ Mori, o degli Inglesi; nè può entrare, o uscir Barca senza licenza de’ Cinesi, che guardano la bocca del Porto.

Non ha vettovaglia per sostentarsi un giorno quello picciolo recinto sassoso di tre miglia, ma tutto viene dalle popolazioni Cinesi, che tengono come serrati i Portoghesi in un carcere; avendo chiuso quel poco di terreno dal Mar grande al picciolo con un muro, e porta, che disserrano i Cinesi, quando loro piace, e gli fanno morire dalla fame ogni volta, che vogliono. Per altro paese della Cina è sì abbondevole, che con una pezza da otto di pane (che è il migliore [p. 5 modifica]del Mondo) si può vivere per mezzo anno.

Permettono i Cinesi che la Città di Macao, in quanto appartiene all’amministrazione della Giustizia, sia ella da’ Portoghesi governata; ed i Cristiani pagano per questa permissione un tributo annuo di 600. Taes, che ogn’uno di essi agguaglia il prezzo di carlini 15. napoletani, oltre il diritto, che traggono dalla Dogana, che si tiene da un Mandarino detto Upù; e fan pagare, come si disse, anche la misura de’ vascelli, secondo la loro grandezza, che del più picciolo non si paga meno di mille Taes. La giurisdizione sì civile, come criminale è governata da un Vidor destinato dalla Città, sempre che non è offeso alcun Cinese; e nel politico da un Capitan generale deputato dal Re di Portogallo; e nella stessa guisa nello spirituale da un Vescovo. Tutti quelli Ufiziali, e Ministri sono mantenuti dalla Città, che dà una pezza da otto il dì al Capitan generale, e tre mila per lo triennio; al Vescovo 500. alli Capitani 15. ed a’ Soldati a proporzione; esito, che pagasi dal ritratto del 10. per 100. che prende dalle merci Portoghesi, e 2. per cento dal danajo. Mentre il Re di [p. 6 modifica]Portogallo tutto che gli si permetta di deputar il Capitan generale in questo picciolo luogo, non però paga un bajocco al medesimo di provvigione.

Oltre di tali gravezze, a cui soggiace quella poverissima Città, debbonsi alloggiare, e regalare ancor tutt’i Mandarini, che vengono di Canton, e ciò non fassi con poco dispendio. L’Upù, che nuovamente venne, comandò tosto, che si uccidesse una vacca per mangiarne un poco, e rifocillarsi della sua indisposizione, stante che i Cinesi l’hanno in conto di delicata, e saporosa vivanda.

Tutto il capitale, e rendita sì della Città, come de’ Cittadini di Macao è fondato nell’incostanza del Mare, poiche ogni sorte di persona attende all’esercizio della marinaria; e la Nobiltà per mezzo di costoro traffica il suo danajo, dandolo ad interesse, o mandando mercatanzie, ovvero pani d’oro per cambiarli in pezze da otto in Goa; poiche in Macao non tengono terreno per seminarvi quattro piselli; nulla di manco sono da Dio provveduti, faccendo loro menare una vita assai abbondante, mentre lor viene da’ contorni tutto il bisognevole; e si trattano così bene, che la [p. 7 modifica]mensa non resta mai priva di confezioni, che sogliono squisitamente comporsi dalle donne; e con verità posso dire, ch’in nessuna parte ho mangiato così bene, come in Macao; sapendo quelle donne imbandir tavole da Re, e soddisfare ad ogni buon gusto.

Quando fioriva il commercio del Giappone, era sì ricca quella Città, che poteva lastricare le strade d’argento; ma dopo l’eccidio di tanti Cristiani, serrossi affatto il traffico di Nangasache per gli Portoghesi: poiche a pena di morte è minacciato chi approda a quel porto. Così colla mancanza del negozio suddetto, gli abitanti di Macao caddero nella povertà, che ora sperimentano, non recando lor di capitale, che cinque vascelli per sostentare la Città tutta; li quali alla fine non riportano quell’utile di trecento per cento, che dava loro il Giappone, ma molto poco; e meno sarà con l’erezione della nuova Compagnia dell’Indie, che lor proibisce la moltiplicità de’ porti, e generi dì mercatanzie.

Venerdì 5. venne a vedermi il Padre D. Gregorio Rauco Leccese Cherico Regolare, che passò nella Cina con intendimento d’entrare nell’Isola di Borneo, [p. 8 modifica]

Sabato 6, principiò una gran pioggia insieme con un gran vento.

Domenica 7. dimostrò il vento principio di Tifone, rendendosi la notte molto violento; però, grazia al Signore, non passò più oltre la sua violenza. Li mesi di Giugno, Luglio, Agosto, e Settembre si teme grandemente de’ mentovati turbini, essendovene accaduto uno tre anni prima, che rotando per l’aria portossi via i tegoli delle case, ed alzava pietre, che quattro uomini non averebbono potuto muovere, atterrando più case, e rovinando il dormitorio di S. Agostino. Non ogni anno però soggiacciono allo stesso flagello.

Per la festa di S. Gaetano il detto P. D. Gregorio desinò con altri amici nel sudetto Convento, complimentati dal P. Priore. Continuò la pioggia nell’istessa maniera Lunedì 8. senza punto cessare il vento ben’impetuoso.

Martedì 9. andai a veder rappresentare una commedia alla Cinese; questa la facevano fare quelli della vicinanza per lor diporto in mezzo d’una piazzetta. Era posto un tavolato ben grande per capire 30. persone fra uomini, e donne, che rappresentavano; e benche io non [p. 9 modifica]l’intendessi, perche parlavano in lingua Mandarina, o di Corte; nondimeno alli gesti, e maniere compresi, che rappresentavano con grazia, ed abilità. Era parte in istile recitativo, e parte cantata, accordando colla musica la varietà degli strumenti d’ottone, e di legno, secondo l’espression del Commediante. Eran tutti vestiti assai bene, e gli abiti erano ricchi d’oro, che mutavano ben spesso. Durò questa commedia dieci ore, terminando con le candele; poiche finito l’atto si pongono a mangiare i Commedianti, e spesse volte gli ascoltanti sogliono far lo stesso. Mercoledì 10. ripeterono i medesimi altra commedia in casa dell’Upù, o Doganiere.