Giobbe (Rapisardi)/Intermezzo secondo/V
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V
LE STELLE
Aurei figli del ciel, che ne vale
L’alto azzurro e il recondito lume,
Se lo sguardo d’un egro mortale
4Figge in noi l’indomabile acume?
Basta un facil di vetri congegno,
Perchè ogn’astro inconcusso o fugace,
Perchè tutto dell’etera il regno
8Campo aprico diventi all’audace.
Curioso, instancabile, invitto
Ei che il piè nella melma ha confitto,
Sitibondo di luce e di vero
12Corre il ciel con alato pensiero.
Orgoglioso! Nel tetro soggiorno,
Ov’ei nasce, ove muore infelice.
Plumbea tenebra aggravasi intorno,
16Gitta il male la bronzea radice:
Entro un cerchio di ferro e di foco
Per brev’ora lo avvolge la sorte,
Fin che stanca del misero gioco
20Lo calpesta passando la Morte.
Pur tal verme che mai non ha posa,
Tutto vuol, tutto spera, tutt’osa:
Spia del cielo i misteri col guardo,
24Contro i numi s’accampa beffardo.
O a nessun, fuor che ad Iside, noti
Per lo spazio siderei concenti,
Casti amori di raggi e di moti,
28Fresche aurore, crepuscoli ardenti,
Ecco, l’uom d’ogni arcano nemico,
Scopritore, eversor d’ogni legge,
Ci profana con l’occhio impudico,
32Ci persegue, ci scruta, ci legge:
Egli, il verme dell’ombre e de’ mali,
Noi, del ciel peregrini immortali;
Ei, l’insetto c’ha un’ora di vita,
36Noi, fontane di luce infinita!