Filocolo/Libro terzo/7

Libro terzo - Capitolo 7

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Dico che molti giorni in sì fatta maniera faccendo festa, Florio ricoperse il suo dolore, avvegna che sovente a suo potere s’ingegnava di star solo, acciò che egli potesse sanza impedimento pensare alla sua Biancifiore. E quando avveniva che egli solo fosse in alcuna parte, incontanente incominciava ad imaginare d’essere col corpo colà ov’egli con l’animo continuamente dimorava. Egli imaginava alcuna volta avere Biancifiore nelle sue braccia, e porgerle amorosi baci, e altretanti riceverne da lei, e parlare con essa amorose parole, e essere con lei come altre volte era stato ne’ puerili anni. E mentre che in questo pensiero stava, sentiva gioia sanza fine; ma come egli di questo usciva, e ritornava in sé e trovavasi lontano ad essa, allora si mutava la falsa gioia in vero dolore, e piangea per lungo spazio ramaricandosi de’ suoi infortunii. Poi ritornando al pensiero, tal fiata si ricordava del tristo pianto che veduto l’avea fare nella bruna vesta temendo l’acceso fuoco, quando egli sconosciuto si mise in avventura per campare lei, e poi si dolea d’averla renduta al padre e di non aversi almeno fatto conoscere a lei, acciò che egli l’avesse alquanto consolata e fattala più certa dell’amore che egli le portava. E molte fiate fra sé si chiamava misero e di vil cuore, dicendo: - Come è la mia vita da biasimare, pensando che io amo questa giovane sopra tutte le cose del mondo, e per questo amore vivo in tanta tribulazione lontano da lei, e non sono tanto ardito che io abbia cuore d’andarla a vedere, e lascio per paura d’un uomo, il quale più tosto a sé che a me offenderebbe. Perché non vo io, e entro nelle mie case, e rapiscola, e menonela qua su meco? E avendola, ogni dolore, ogni gelosia, ogni sospetto fuggirà da me. Chi sarà colui che ardito sia di biasimare la mia impresa o di contrariarla? nullo: anzi ne sarò tenuto più coraggioso, là dove io debbo ora esser vilissimo riputato. Sono io più vile di Paris, il quale non a casa del padre, ma de’ suoi nimici andò per la disiderata donna, e non dubitò d’aspettare a mano a mano Menelao, sollicito richieditore di quella? Io non debbo aver paura che questa da alcuno radomandata mi sia, né con ferro né con altra maniera. Il peggio che di questo mi possa seguire, sarà che al mio padre ne dorrà: e se ne gli duole, e’ ne gli dolga! Io amo meglio che egli si dolga, che io di dolore muoia. E pur quand’egli vedrà che io abbia fatto quello di che egli si guarda, la doglia gli passerà, se passare gli vorrà, se non, sì l’ucciderà: che già l’avesse ella ucciso! e poi non ne sarà più. Io il voglio fare: cosa fatta capo ha. E posto che egli per questo si volesse opporre alla vita di Biancifiore, egli s’opporrà ancora alla mia: niuna cosa opererà verso di lei, che io come lei nol senta. Se egli per forza la mi vorrà torre, e io con forza la difenderò. Io non sarò meno debole d’amici e di potenza di lui: e quando egli pur fosse più forte di me, puommi egli più che cacciare del suo regno? Se egli me ne caccia, io starò in un altro. Il mondo è grande assai: l’andare pellegrinando mi ha cagione d’essercizio. Elli fu a Cadmo cagione d’etterna fama l’andar cercando Europa e non trovarla; a Dardano e a Siculo similemente il convenirli partire del loro regno fu cagione di grandissime cose. Io il pur voglio fare. Peggio ch’io m’abbia non me ne può seguire -. E poi ritornava al piangere: e in questi pensieri teneva la maggior parte della sua vita. E eravisi già tanto disposto che con opera il volea mettere in effetto, e avria messo, se il raffrenamento del duca e d’Ascalion non fosse stato, li quali il confortavano con migliore speranza, e il suo volere gli biasimavano.