Libro terzo - Capitolo 58
- O gloriosi iddii, della cui pietà l’universo è ripieno porgete i santi orecchi alquanto a’ miei prieghi, e non mi sia da voi negata l’usata benignità tornando crudeli discenda de’ cieli il vostro aiuto in questo espressissimo bisogno. Venga la vostra grazia, d’ogni noioso accidente cacciatrice, sopra la innocente Biancifiore, la quale ora per noiosa infermità pare che si disponga a rendervi la graziosa anima. Sostengasi per vostra pietà la sua vita, e siale renduta la perduta sanità, e la giovane età, nella quale essa dimora, prima di lei si consumi. Non muoiano in una morte due amanti. O buono Apollo, o luminoso Febo per cui ogni cosa ha vita, ascolta i miei prieghi! Non consentire che tanta bellezza alla tua simigliante per mortal colpo al presente perisca. O Citerea, o Diana, aiutate la vostra giovane. O qualunque iddio dimora nel celestiale coro, sturbate la costei morte, acciò che io, a voi fedelissimo servidore, viva. O Lachesis, tieni ferma l’ordita conocchia, composta da Cloto, tua fatale sorella, non lasciare ancora il dilettevole uficio, dove sì corto affanno hai infino a qui sostenuto. E tu, o morte, generale e infallibile fine di tutte le cose, in cui la maggior parte della mia speranza dimora, quasi imaginando che in te stia quella salute la quale io cerco, non mi consumare ferendo la mia Biancifiore: dilungati da lei per li miei prieghi. In te sta il donarlami e il torlami. Deh, non essere tuttavia crudele! Vincasi questa volta per prieghi la tua fierezza, e pietosa ti volgi a riguardare con quanta umiltà i miei prieghi ti sono porti, e riguarda quanta sia la noia che ricevo, se verso la bella giovane incrudelisci. Oimè, che io nol posso dire, ma il mio aspetto tel dee manifestare. Oimè, perdona, risparmiando un solo colpo, allo infinito valore che dal mondo si partirebbe morendo questa. Perdona a tanta bellezza quanta ella possiede: non si fugga per te tanta leggiadria quanta in costei si vede, né si diparta per lo tuo operare il fedele amore che insieme lungamente ci ha tenuti legati con pura fede, il quale a mano a mano se la ferissi, per lo tuo medesimo colpo si ricongiugnerebbe. Ahimè, raffrena per Dio il tuo volere: leva la pungente saetta che già in sul tuo arco mi pare vedere posta, per uccidere colei in cui gl’iddii più di grazia che in alcuna altra posero. Sostieni che nel mondo si vegga costei per mirabile essemplo delle celestiali bellezze. Se alcuni prieghi ti deono fare pietosa, faccianti i miei, e questo sia sanza alcuno indugio: io non temo niuna cosa se non te. Riguarda le mie lagrime e il palido aspetto già dipinto della tua sembianza: sola questa grazia mi concedi, la quale se dura t’è a concederlami, concedi che quella saetta che il tuo arco dee nel dilicato petto di lei gittare, prima il mio trapassi, acciò che dopo il trapassare della mia Biancifiore io non rimanga per doverti biasimare, e più la tua crudeltà far manifesta nella poca vita che mi lascerai -.