Libro terzo - Capitolo 56
Quivi pervenuti, dico che al vento tolsero le vele e dierono gli aguti ferri a’ tegnenti scogli, e con fido legame fermarono la loro nave. E di quella con grandissima festa discesi, ringraziando i loro iddii, cercarono la città, e in quella con la bella giovane entrati, da Dario alessandrino furono graziosamente non sanza molto onore ricevuti, e massimamente Biancifiore. E in questo luogo per alquanti giorni dimorati, vi venne un signore nobilissimo e grande, il quale era amiraglio del possente re di Bambillonia, e per lui quel paese tutto sotto pacifico stato possedea. Il quale, come la bella nave vide, fece a sé di quella venire i padroni, e li dimandò qual fosse la loro mercantantia, e onde venissero. A cui i mercatanti risposero: - Signore, noi lasciammo i liti quasi all’ultimo Occidente vicini, e quindi abbiamo, sanza altra cosa più, recata una nobilissima giovane, in cui più di bellezza che mai in alcuna si vedesse, si vede, la quale un grandissimo re, in quelle parti signoreggiante, ci donò per una grandissima quantità de’ nostri tesori che noi a lui donammo -. Disse allora l’amiraglio: - Venga adunque la giovane, la cui bellezza voi fate cotanta, e se bella è come la vantate, e di nobili parenti discesa, e ancora casta virginità tiene, de’ nostri tesori quelli che vorrete prenderete e donereteci lei -. Piacque a mercatanti, e per lei incontanente mandarono, la quale, di nobilissimi vestimenti vestita e ornata, insieme con Glorizia davanti all’amiraglio si presentò. Il quale graziosamente la ricevette, e non sì tosto la vide, come a lui parve la più mirabile bellezza vedere che mai per alcuno veduta fosse, e comandò che a’ mercatanti fosse donato a loro piacere dei suoi tesori. E poi ch’egli ebbe di lei da loro ogni condizione udita, pietoso de’ suoi affanni così disse: - Io giuro per i miei iddii che omai più la fortuna non le potrà essere avversa: alle sue tribulazioni io con grandissima felicità mi voglio opporre, e voglio provare se la fortuna la potrà fare più misera che io felice. E’ non passerà lungo tempo che il mio signore dee qui venire, al quale io intendo, in luogo di riconoscenza di ciò ch’io tengo da lui, donare questa bellissima cosa, né conosco che gioia più cara donare gli potessi. E sì prometto per l’anima del mio padre che tra le sue moglieri io farò che questa sarà la principale, e sì farò la sua testa ornare della corona di Semiramis; e infino a quel tempo che questo sarà, tra molte altre giovani, le quali a simil fine si tengono, la farò sì come donna di tutte onorare, e sotto diligente guardia servare, con tutti quelli diletti e beni che niuna giovane dee potere disiderare -. E questo detto, comandò che onorevolemente alla gran Torre dello Arabo insieme con Glorizia fosse menata Biancifiore, e quivi con l’altre giovani donzelle dimorasse faccendo festa. Di questo furono assai contenti i mercatanti, sì per lo loro avere, il quale aveano forse nel doppio multiplicato, e sì per la giovane a cui prosperevole stato vedeano promesso da signore che bene lo poteva attenere. E a lei rivolti, con pietose parole la confortarono, e da essa piangendo si partirono, e pensarono d’altro viaggio fare con la loro nave. E quella, posta con l’altre pulcelle molte nella gran torre, non sanza molto dolore, infino a quel tempo che agl’iddii piacque la ’mpromessa di Venere fornire, dimorò.