Dopo alquanto spazio Florio alzò il lagrimoso viso, e così allo aspettante duca rispose: - Il dolce adimandar che voi mi fate e ’l dovere mi costringono a rispondervi e a manifestare quello ch’io credea che manifesto vi fosse. E però ch’io spero che non sanza conforto sarà il mio manifestarmivi, dal principio comincerò a dirvi la cagione de’ passati dolori e de’ presenti, posto che alquanto le lagrime, le quali io non posso ritenere, mi impediscano. Ne’ teneri anni della mia puerizia, sì come voi potete sapere, ebbi io continua usanza con la piacevole Biancifiore, nata nella paternale casa meco in un medesimo giorno, la cui bellezza, i nobili costumi e l’adorno parlare generarono un piacere, il quale sì forte comprese il mio giovinetto cuore, che io niuna cosa vedea che tanto mi piacesse. E di questo piacere era multiplicatore e ritenitore nella mia mente un chiarissimo raggio, il quale, come strale, da arco mosso, corre con aguta punta all’opposito segno, così da’ suoi begli occhi movendo termina nel mio cuore, entrando per gli occhi miei: e questo fu il principale posseditore in luogo di lei. E con ciò sia cosa che questi ogni giorno più la fiamma di tal disio aumentasse, in tanto la crebbe, che convenne che di fuor paresse, e scopersemisi allora lei non meno di me che io d’essa essere innamorata. Né questo fu lungamente occulto per li nostri sospiri, di ciò dimostratori al nostro maestro, il quale più volte con gravi riprensioni s’ingegnò ritrarre indietro quello che agl’iddii saria impossibile frastornare, ma fattolo alla notizia del mio padre venire, egli imaginò che, lontanandomi da lei, della mia memoria la caccerebbe: la quale, se per la mia bocca tutto Letè entrasse, non la poria di quella spegnere. Ma non per tanto egli faccendomi lontanare da lei, non fu sanza gran dolore dell’anima mia e di quella di Biancifiore. E in questo luogo mi rilegò in essilio, sotto colore di volere ch’io studiassi. Ma qui dimorando, e trovandomi lontano a quella bellezza in cui tutti i miei disiderii si terminano e termineranno, incominciai a dolermi, né mi lasciava il doloroso cuore mostrare allegro viso: e di questo vi poteste voi molte fiate avedere. Ora, come la mia doglia fosse manifesta al re m’è ignoto, ma egli, o per questa cagione o per altra iniquità compresa ingiustamente sopra la innocente Biancifiore, cercò d’uccider lei e nella sua morte l’anima mia: e voi foste presente al nascoso tradimento, né non vi fu occulto lei essere a vilissima morte condannata né di ciò niente mi palesaste. Ma li pietosi iddii e il presente anello non soffersero che questo fosse, ma questi mostrandomi con turbato colore lo stato di lei, e gl’iddii ne’ miei sonni manifestandolmi, mi fecero pronto alla salute d’essa, e porgendomi le loro forze, con vittoria la vita di colei e mia insiememente scampai, e poi ricevetti debita coronazione di tale battaglia, avendo già rimessa la semplicetta colomba intra gli usati artigli de’ dispietati nibbi: di che io ora ricordandomi, parendomi aver mal fatto, mi doglio. E più doglie mi recano le vere imaginazioni che per lo capo mi vanno, che mi par vedere un’altra volta avvelenare il prezioso uccello, e condannare la mia Biancifiore a torto, e essere il fuoco maggiore che mai acceso. E quasi mi pare intorno al cuore avere uno amarissimo fiume delle sue lagrime, le quali tutte mi gridano mercé. Io non so che mi fare: io amo, e amore di varie sollecitudini riempie il mio petto, le quali continuamente ogni riposo, ogni diletto e ogni festa mi levano, e leveranno sempre infino a quell’ora che io nelle mie braccia riceverò Biancifiore per mia, in modo che mai della sua vita io non possa dubitare. Io non vi posso con intera favella esprimere più del mio dolore, il quale credo che più vi si manifesti nel mio viso che nel mio parlare non è fatto. Gl’iddii mi concedano tosto quel conforto che io disidero, però che se troppo penasse a venire, così sento la mia vita consumarsi nell’amorosa fiamma come quella di Meleagro nel fatato stizzo si consumò -. E questo detto, perdendo ogni potere, sopra il ricco letto ricadde supino, tornato nel viso quale è la secca terra o la scolorita cenere.