Libro secondo - Capitolo 68
Quando i due cavalieri si furono allungati ciascuno l’uno dall’altro quanto a loro parve, e voltate le teste de’ cavalli con presta mano l’uno verso l’altro, allora s’accostò Marte a Florio, e disse: - Giovane cavaliere, qui si parrà quanto sia il valore del tuo ardito cuore: fa che tu seguiti nelle tue battaglie gli amaestramenti del tuo compagno -. E questo detto, con la sua mano gli alzò la visiera dell’elmo, e alitogli nel viso, e poi gliele richiuse, e acconciandogli in mano la forte lancia, disse: - Muovi, che già il tuo nemico è mosso -. Florio sospirando riguardò verso quella parte dove Biancifiore dimorava, e appresso ferì il corrente destriere con i pungenti sproni, dirizzandosi verso Massamutino, che inver di lui correndo veniva con la lancia bassata. Ma già non parve alla circustante gente che un cavaliere si movesse, ma una celestiale folgore. Egli nella sua mossa fece tutto il campo risonare e fremire, e giugnendo sopra il siniscalco, sì forte con la sua lancia il ferì nella gola, che quella ruppe, e lui miseramente abbatté nel campo sopra la nuova erbetta, passando avanti. E appena avea ancora il colpo fornito, quando i sergenti, veggendo la gente attenta più a riguardar loro che Biancifiore, s’accostarono per voler prendere lei e farne come il siniscalco avea comandato. Ma Marte, che di ciò si accorse, sfavillando corse in quella parte, e lei nella sua luce nascose, faccendo loro impauriti tutti di quindi fuggire. Il romore fu sì grande nel campo per la caduta del siniscalco, che lui stordito fece risentire: il quale ritrovandosi in terra ancora con la sua lancia in mano sanza avere ferito, e riguardandosi intorno, e vedendo il nimico suo a cavallo tornare verso di lui, tutto isbigottì, dicendo: - Oimè, or con cui combatto io? Quelli non mi pare uomo: voglio io provare le forze mie con gl’iddii? Già mi manifestò il cuore stamane, incontanente che io vidi la vermiglia luce, che quello era segno di soccorso divino a Biancifiore. Io veggio costui che d’iniquità o d’altro arde tutto nel primo aringo: or che farà egli quando più sarà riscaldato nella battaglia? S’egli è iddio, io non gli potrò resistere; s’egli è uomo, molto mi sarà duro alla sua fierezza contrastare. Volontieri vorrei di tale impresa esser digiuno, ma più non posso -. E così dicendo, prestamente si dirizzò, e volontieri si saria partito se potuto avesse; e, traendo fuori la spada, disse: - Faccino di me gl’iddii che loro piace: io pur proverò s’egli è così fiero con la spada in mano come con la pungente lancia, avanti che io, sanza aver bagnata la terra del mio sangue, mi voglia vituperosamente chiamare vinto -. In questo Florio s’appressò verso di lui e disse: - Cavaliere, certo mala pruova ci fa il tuo orgoglio, e già del primo assalto stai male -. Disse il siniscalco: - Niente sto peggio di te, se io fossi a cavallo; ma già questo vantaggio non avrai tu da me -. E questo dicendo, subitamente alzò la spada per ferire Florio sopra la testa, ma il colpo fu corto e discese sopra il collo del buon cavallo, al quale niuna resistenza valse che non partisse la testa dal busto, e cadde morto. Florio, vedendo il colpo, saltò tantosto a terra del cavallo, e acceso d’ira, tratta fuori la celestiale spada, andò verso di lui, e sì forte col petto l’urtò, che fatto il credette avere cadere, ma egli forte si ritenne pettoreggiando lui, non lasciandoselo da quella volta inanzi più accostare, ma ferendolo continuamente di gravi e spessi colpi. Florio ricevea sopra il rilucente scudo le molte percosse, quasi lui poco o niente ferendo; ma, stando sempre a riguardo, intendea di volere tutti i suoi colpi in uno recare, acciò che per molto ferire la celestiale spada non fosse avvilita. E quando luogo e tempo gli parve, avvisandolo in quella parte nella gola là ove la lancia avea le armi guastate, alzato il braccio sì forte il ferì, che alcuna arme non gli giovò che egli non gli ficcasse la spada assai nelle nude carni: e se il colpo fosse stato traverso, come fu diritto, oppinione fu di tutti che tagliata gli avrebbe la testa. Per questo colpo cadde il siniscalco, e tutti fermamente credettero che egli fosse morto: per la qual cosa il romore si levò grande: - Morto è il siniscalco, e liberata è Biancifiore -; e di ciò tutti rendeano grazie agl’iddii e faceano festa. Mentre il gran romore si facea, il siniscalco, che per quel colpo morto no, ma istordito era, si dirizzò tacitamente, e salito sopra un cavallo, il quale apparecchiato gli fu, incominciò a fuggire. Ma Florio, che verso Biancifiore se n’era andato, voltato per lo romore che la gente gli facea dietro, vedendolo fuggire, quasi niente gli parve avere fatto, però che morto il credeva avere lasciato: allora mise mano al suo arco, un poco in se medesimo turbato, e postavi la saetta, l’aperse, saettandogli appresso, e disse: - Sanza nostro affanno questa ti giugnerà più tosto che tu non credi -. E lui fuggente ferì di dietro nelle reni: niuna arme fece alcuna resistenza a quel colpo, ma passando dentro, mortalmente il piagò. Onde il siniscalco, sentendo il duolo, quivi si fermò, dove Florio tutto a piè venuto il prese per la irsuta barba e tirandolo villanamente a terra del cavallo, infino all’acceso fuoco, nel cospetto di Biancifiore, cui Marte avea già della sua luce tratta, lo strascinò, insanguinando il piano con le sue piaghe; al quale, quivi giunto, disse: - Malvagio e iniquo traditore, se tu vuoi a noi di te porgere alcuna pietà, narra davanti a tutto questo popolo in che maniera il veleno, del quale questa innocente giovane fu accagionata, fu mandato davanti al re -. A cui il siniscalco così rispose: - Poi che gl’iddii v’hanno questa vittoria conceduta, e piace loro che la verità sia manifesta, io, la cui vita è nelle vostre mani, avvegna che poca rimasa me ne sia, il vi dirò come io potrò. Fatemi dirizzare in piè e sostenere ad alcuni, acciò che io stando alquanto alto possa da tutti essere udito e veduto -. Fecelo Florio sostenere a’ suoi sergenti medesimi, e egli così incominciò a dire: