Libro secondo - Capitolo 57
Nel piccolo spazio che Florio quivi adormentato stette, gli fu la fortuna molto graziosa, però che a lui parea, così dormendo, con le sue forze avere liberata Biancifiore da ogni pericolo, e con lei essere in un piacevole giardino, pieno d’erbe e di fiori, e di varii frutti copioso, allato a una chiara fontana coperta e circuita da giovanetti albuscelli, in maniera che appena i chiari raggi del sole vi potevano trapassare. E quivi gli parea con lei sedere con due strumenti in mano sonando: e cantando amorosi versi, insieme si traevano allegra festa, talora recitando i loro fortunosi casi, e tal volta disiderosamente gli pareva abbracciar lei, e ch’ella abbracciasse lui, e dessorsi amorosi baci. E già non lo allegrava tanto la gioiosa festa, quanto il parergli averla tratta di tanto pericolo, in quanto ella medesima gli avea nel sogno narrato ch’era stata. E così Florio, che dormendo disiderava di non dormire, si stava, quando il giorno s’incominciò alquanto a rischiarare. Allora l’altissimo prencipe delle battaglie, sollecitato dalla sua amica, discese del suo cielo, e sopra un rosso cavallo, armato quanto alcun cavaliere fosse mai, sopragiunse a costoro; e ismontato da cavallo, prese per lo braccio Florio, che ancora dormiva, e disse: - Ahi, cavaliere, non dormire, leva su: vedi colui, il cui figliuolo seppe sì mal guidare l’ardente carro della luce, che ancora si pare nelle nostre regioni, che già co’ suoi raggi ha cacciate le stelle! -. Allora Florio, tutto stupefatto subitamente si dirizzò in piè guardandosi dintorno, e forte si maravigliò, quando vide il cavaliere, che chiamato l’avea, che della rossa luce di che era coperto tutto parea che ardesse, e disse: - Cavaliere, chi siete voi che queste parole mi dite e che m’avete il dolce sonno rotto? -. - Io sono guidatore e maestro delle celestiali armi - rispose Marte - e insieme sono in cielo iddio con gli altri, e sono qui venuto al tuo soccorso, però che novello cavaliere se’ entrato sotto la mia guida. Non dubitare, fatti sicuro, e te’ questo arco con questa saetta: niuno tuo nimico ti sarà sì lontano, che con questa non l’aggiunghi, solamente che tu il vegga: folle è chi l’aspetta, ardito chi la saetta, e iddio è chi le fabrica; però tieni caro e l’uno e l’altro, acciò che donandoli non te ne avvenisse come alla misera Pocris, la quale molto più lunga vita aspettava, se guardata avesse la saetta che donò a Cefalo. E quella spada, che la mia carissima amica ti recò, non dispregiare, ché niuna arme, fuori che le nostre, è che a’ suoi colpi possa resistere. L’ora s’appressa che noi dobbiamo cavalcare; chiama il tuo compagno, e andiamo -.