Libro secondo - Capitolo 21
- Deh, perché s’affannano le nostre mani a rasciugare le lagrime de’ nostri visi nel principio del nostro dolore? Sia di lungi da me che io mai di lagrimare ristea, mentre che tu sarai lontano da me. Oimè, che tu mi dì: "Comanda che io non vada a Montoro!". Deh, or perché bisognava egli che io il ti comandassi? Non sai tu come io volontieri vi ti vedrò andare? Tu il dovevi ben pensare. Ma volontieri i’ ’l farei, se convenevole mi paresse; ma però che io non disidero meno che ’l tuo dovere s’adempia che ’l mio volere, poi che tu promettesti d’andarvi, fa che tu vi vada, acciò che vituperevole cosa non paia, volendosene rimanere, il disdire quello che tu hai promesso. E acciò che le tue parole non paiano vento, io concedo, così volontieri come Amore mi consente, che tu vi vada, e ubidendo anzi adempi il piacere del tuo padre. Ma sopra tutte le cose del mondo ti priego che tu per assenza non mi dimentichi per alcuna altra giovane. Io so che Montoro è copioso di molti diletti: tutti ti priego che da te siano presi. Solamente a’ tuoi occhi poni freno quando le vaghe giovani scalze vedrai andare per le chiare fontane, coronate delle frondi di Cerere, cantando amorosi versi, però che a’ loro canti già molti giovani furono presi: però che se io sentissi che alcuna con la sua bellezza di nuovo t’infiammasse, come furiosa m’ingegnerei di venire dove tu e ella fosse; e se io la trovassi, con le propie mani tutta la squarcerei, né nel suo viso lascerei parte che graffiata non fosse dalle mie unghie, né niuno ordine varrebbe a’ composti capelli che io, tutti tirandoglieli di capo, non gli rompessi; e dopo questo, per vituperevole e etterna sua memoria, co’ propii denti del naso la priverei: e questo fatto, me medesima m’ucciderei. Questo non credo però che possibile sia di dovere avvenire: ma sì come leale amante ne dubito, e però il dico. Tu avrai molti altri diletti, e ciascuno s’ingegnerà di piacerti, acciò che io ti dispiaccia: ma io mi fido nella tua lealtà. E però che io sono certa che come tu in molti e varii diletti starai, così io in molte avversità, le quali forse io non ti potrò far note così com’io vorrei, ti voglio pregare, poi che gl’iddii adoperano verso noi tanta crudeltà, e la fortuna ne mostra le sue forze in dipartirci, che ti piaccia per amore di me portar questo anello, il quale, mentre che io sanza pericolo dimorerò, sempre nella sua bella chiarezza il vedrai, ma, come io avessi alcuna cosa contraria, tu il vedrai turbare, Io ti priego che allora sanza niuno indugio mi venghi a vedere: e priegoti che tu sovente il riguardi, ogni ora ricordandoti di me che tu il vedi. Più non ti dico, se non che sempre il tuo nome sarà nella mia bocca, sì come quello che solo è nella memoria segnato, e nello innamorato cuore col tuo bel viso figurato. Tu solo sarai i miei iddii, i quali io pregare debbo della mia felicità: a te saranno tutte le mie orazioni diritte, sì come a quelli in cui i miei pensieri tutti si fermano per aver pace. Veramente una cosa ti ricordo: che s’egli avviene che il tuo padre non mi mandi a te come promesso t’ha, che il tornare tosto facci a tuo potere, però che se troppo sanza vederti dimorassi, lagrimando mi consumerei -. E dette queste parole, piangendo gli si gittò al collo; né prima abbracciando si giunsero, che i loro cuori, da greve doglia costretti per la futura partenza, paurosi di morire, a sé rivocarono i tementi spiriti, e ogni vena vi mandò il suo sangue a render caldo, e i membri abandonati rimasero freddi e vinti, e essi caddero semivivi, avanti che Florio potesse alcuna parola rispondere. E così, col natural colore perduto, stettero per lungo spazio, sì che chi veduti gli avesse, più tosto morti che vivi giudicati gli avrebbe. Ma dopo certo spazio, il cuore rendé le perdute forze a’ sopiti membri di Florio, e tornò in sé tutto debole e rotto, come se un gravissimo affanno avesse sostenuto, e tirando a sé le braccia, gravate dal candido collo di Biancifiore, si dirizzò, e vide che questa non si movea, né alcun segnale di vita dimostrava. Allora elli, ripieno di smisurato dolore, appena che la seconda volta non ricadde, e disiderato avrebbe d’esser subitamente morto; ma veggendo che ’l dolore nol consentiva, piangendo forte si recò la semiviva Biancifiore in braccio, temendo forte che la misera anima non avesse abandonato il corpo e mutato mondo, e con timida mano cominciò a cercare se alcuna parte trovasse nel corpo calda, la quale di vita gli rendesse speranza. Ma poi che egli dubbioso non consentiva alla verità, ché forse caldo trovava e pareagli essere ingannato, cominciò piangendo a baciarla, e dicea: - Oimè, Biancifiore, or se’ tu morta? Deh, ove è ora la tua bella anima? In quali parti va ella sanza il suo Florio errando? Oimè, or come poterono gl’iddii essere tanto crudeli ch’elli abbiano la tua morte consentita? O Biancifiore, deh, rispondimi! Oimè ch’io sono il tuo Florio che ti chiamo! Deh, or tu mi parlavi ora inanzi con tanto effetto, disiderando di mai da me non ti partire, e ora solamente non mi rispondi! Or se’ tu così tosto sazia dell’essere meco? Oimè, che gl’iddii mi manifestano bene ora che di me sono invidiosi e hannomi in odio. Ma di questo male m’ha più cagione il mio crudel padre, il quale sì subitamente ha affrettata la mia partita. O crudele padre, tu l’avrai interamente! Le parole da me dette stamattina ti saranno dolente agurio e oggi ti faranno dolente portatore del fuoco, ove tu miseramente ardere mi vedrai: la tua crudeltà è stata cagione della morte di costei, e ella e tu sarete cagione della mia. Vivere possi tu sempre dolente dopo la mia morte, e gl’iddii prolunghino gli anni tuoi in lunga miseria! Or ecco, o anima graziosa, ove che tu sii, rallegrati che io m’apparecchio di seguitarti, e quali noi fummo di qua congiunti, tali infra le non conosciute ombre in etterno amandoci staremo insieme. Una medesima ora e uno medesimo giorno perderà due amanti, e alle loro pene amare sarà principio e fine -. E già avea posto mano sopra l’aguto coltello, quando egli si chinò per prima baciare il tramortito viso di Biancifiore, e chinandosi il sentì riscaldato, e vide muovere le palpebre degli occhi, che con bieco atto riguardavano verso di lui. E già il tiepido caldo, che dal cuore rassicurato movea, entrando per li freddi membri, recando le perdute forze, addusse uno angoscioso sospiro alla bocca di Biancifiore, e disse: - Oimè! -. Allora Florio, udendo questo, quasi tutto riconfortato, la riprese in braccio e disse: - O anima mia dolce, or se’ tu viva? Io m’apparecchiava di seguitarti nell’altro mondo -. Allora si dirizzò Biancifiore con Florio insieme, e ricominciarono a lagrimare. Ma Florio, veggendola levata, disse: - O sola speranza della vita mia, ove se’ tu infino a ora stata? Qual cagione t’ha tanto occupata? Io estimava che tu fossi morta! Oimè, perché pigli tu tanto sconforto per la mia partita? Tu me la concedi con le parole, e poi con gli atti pieni di dolore il mi vieti. Io ti giuro per li sommi iddii che, s’io vi vado, che o tu verrai tosto a me come promesso m’ha il mio padre, o io poco vi dimorerò, che io tornerò a te; e mentre che io là dimorerò, o ancora, mentre ch’io starò in vita, mai altra giovane che te non amerò. E però confortati, e lascia tanto dolore: ché s’io credessi che questa vita dovessi tenere, io in niuno atto v’andrei; o s’io vi pure andassi credo che pensando al tuo dolore morrei. E promettoti per la leal fede che io ti porto, come a donna della mia mente, che il presente anello, il quale ora donato m’hai, sempre guarderò, tenendolo sopra tutte cose caro, e spesso riguardandolo, sempre imaginerò di veder te. E se mai accidente avviene che egli si turbi, niuno accidente mi potrà ritenere che io non sia a te sanza alcuno indugio: e però io ti priego che tu ti conforti. Queste parole, e altre molte, con amorosi baci mescolati di lagrime e di sospiri furono tra Florio e Biancifiore quanto quel giorno mostrò la sua luce; ma poi che egli chiudendola tornò tenebroso, i due amanti pensosi, teneramente dicendo "A Dio!" si partirono, tornando ciascuno sospirando alla sua camera.