Libro quinto - Capitolo 48
Caleon, udendo il savio consiglio e conoscendo la liberalità di Filocolo, e similmente il perpetuo onore e l’utile che di ciò che Filocolo gli proferea gli potea seguire, rispose: - Signor mio, a molto più valoroso di me sì alto uficio si converria, il quale ancora, come voi dite, ottimo rimedio il conosco alla mia infermità, e però in luogo di grazia singulare da voi il ricevo, apparecchiato ad ogni riconoscenza che voi vorrete di tanto dono; e là dov’io insofficiente fossi, quant’io posso divoto priego gl’iddii che in luogo di me il mio difetto suppliscano, e voi lungo tempo conservino in vita, sempre di bene in meglio aumentando -. Concessegli adunque Filocolo il luogo, e de’ suoi tesori gran parte gli fece donare, acciò che la cominciata opera potesse magnificamente adempiere; e fatti convocare tutti e due i pacificati popoli, i quali del nuovo luogo doveano essere abitatori, a Caleon fece intera fedeltà giurare, e promettere che elli lui per signore e per difenditore avrebbero sempre, né i suoi comandamenti in alcuno atto trapasserebbero: i quali se passassero, secondo il suo giudicio del passamento sosterrieno la punizione; e quelle leggi, che egli desse loro, quelle serverieno, essi e i loro discendenti. E così similemente Caleon promise di servarli e guardarli e governarli come cari fratelli e suggetti, da qualunque persona ingiustamente offendere li volesse. Allora Filocolo disse a Caleon: - Omai edifica, e di bene in meglio la tua terra, la quale tu chiamerai Calocepe, accrescerai -. E fatti i suoi arnesi acconciare, a ciascuno vietando che sanza sua licenza chi e’ fossero non manifestasse ad alcuno, in abito di pellegrini montarono a cavallo, e accomiatati da Caleon, cavalcarono verso Roma.