Libro quinto - Capitolo 31
Filocolo, che già tali mari avea navicati, a se medesimo pensando, di Caleon divenne pietoso, e disse: - Giovane, a quel maestro che ha più volte operando la sua arte esperta si puote e deesi credere con più giusta ragione che a quello o che la sperimenta o sperimentare la dee; né questo si può negare. Sono adunque i mutamenti della fortuna varii e le sue vie non conosciute. Già fu che io con più tempesta ne’ mari dove il tuo legno dimora mi trovai che tu non truovi, e certo io non potea sperare se non morte, né altro dintorno mi vedea, quando subitamente in porto di salute mi vidi con tranquillo mare. E tu ti dei ricordare, non sono ancora molti anni passati, quanto la tua vita alla mia fosse contraria, quando ti specchiavi nel tuo disio, e io pellegrino con grieve doglia ignorava ove il mio fosse; e ora io il mio veggio e tengo, e tu quello che avevi non tieni; per che, a me riguardando, dei sperare bene. La tua doglia è grandissima: ma chi dubiterà che dopo gli altissimi monti non sia una profonda valle? Io, il quale ho corsi i dolenti mari tutti, e a cui né scoglio né secca né porto s’occulta, in quelli voglio della tua navicella essere nocchiero, e spero con quella arte che io a salutevole porto pervenni, te delle pestilenziose onde trarrò quando ti piaccia -. - Adunque - disse Caleon, - o signor mio, nelle tue mani sia la vita mia -.