Libro quarto - Capitolo 98
Come egli alla città fu pervenuto, e smontato all’ostiere di Dario, l’ora essendo già tarda, trovò Dario e Ascalion e gli altri tutti attenderlo, i quali, come il videro, lieti gli si fecero avanti, dicendo: - Assai ci hai oggi fatto avere di te pensiero; dove se’ tu tanto dimorato? -. - Nelle mani della fortuna - rispose Filocolo, - la quale non così nimica m’è com’io reputava, ma forse de’ miei danni pietosa, mi comincia a mostrare lieto viso ne’ nostri avvisi, e sì fatto principio in quello che divisammo ho avuto, che appena ch’io ne possa altro sperare che grazioso fine -. E chiamati Dario e Bellisano e Ascalion in una camera, ciò che avvenuto gli era loro narrò. Lodano costoro gl’iddii, e a Dario piace tale cominciamento e consigliali l’andare a mangiare con lui e l’essergli cortese, dicendogli che d’oro e d’avere non dubitasse, che, poi che ’l suo donato avesse, quanto egli n’avea in suo servigio ponesse sicuramente, ricordandogli che con discrezione proceda, ad ogni uomo celando il suo segreto, fuori che al castellano, quando luogo e tempo gli parrà. Ringrazialo Filocolo: prendono il cibo e vannosi a posare. Ma gli altri dormono e Filocolo ferma nella mente con molti ragionamenti ciò che al castellano dee dire, e quello che con lui vuol fare, e che movimento deggia il suo essere a dovergli narrare il suo segreto. Molte vie truova, e ciascuna pruova in se medesimo, e le migliori riserba nella memoria. Poco abandonano la notte le sollecitudini lo ’nnamorato petto, e la notte, che già maggiore gl’incominciava a parere che l’altre, si consuma: e il chiaro giorno rallegra il mondo. Levasi Filocolo, e tacitamente e con discrezione ordina ciò che davanti al sonno la notte avea pensato; e venuta l’ora ch’egli estimò convenevole, soletto se ne cavalcò alla torre. Quivi dal castellano con mirabile onore è ricevuto, e le tavole preste niuna cosa aspettano se non loro.