Libro primo - Capitolo 32
Rimaso solo di vivi il tristo campo, in pochi giorni col corrotto fiato convocò in sé infinite fiere, delle quali tutto si riempié. E non solamente i lupi di Spagna occuparono la sventurata valle, ma ancora quelli delle strane contrade vennero a pascersi sopra’ mortali pasti. E i leoni africani corsero al tristo fiato tignendo gli aguti denti negli insensibili corpi. E gli orsi, che sentirono il fiato della bruttura dello ’nsanguinato tagliamento, lasciarono l’antiche selve e i segreti nascondimenti delle lor caverne. E i fedeli cani abandonaron le case de’ lor signori: e ciò che con sagace naso sente la non sana aria si mosse a venir quivi. E gli uccelli, che per adietro avean seguitati i celestiali pasti, si raunarono; e l’aria mai non si vestì di tanti avoltoi, e mai non furono più uccelli veduti adunati insieme, se ciò non fosse stato nella misera Farsaglia, quando i romani prencipi s’afrontarono. Ogni selva vi mandò uccelli: e i tristi corpi, a cui la fortuna non avea conceduto né fuochi né sepoltura, erano miseramente dilacerati da loro, e le lor carni pasceano gli affamati rostri. Ogni vicino albero parea che gocciolasse sanguinose lagrime per li sanguinosi unghioni che premeano gli spogliati rami: il passato autunno gli aveva spogliati di foglie, e’ crudeli uccelli col morto sangue premuto da’ lor piedi gli aveano rivestiti di color rosso, e’ membri portati sopra essi ricadevano la seconda volta nel tristo campo, abandonati dagli affaticati unghioni. Ma con tutto questo il gran numero de’ morti non era tutto mangiato infino all’ossa, ancor che squarciato tra le fiere si partisse; gran parte ne giace rifiutato, ben che dilacerato sia tutto: il quale il sole e la pioggia e ’l vento macera sopra la tinta terra, fastidiosamente mescolando le romane ceneri con l’arabiche non conosciute.