Libro primo - Capitolo 29
Avea già, nel brieve giorno, Pean, che nell’ultima parte della guizzante coda d’Almatea, nutrice dell’alto Giove, dimorava, trapassato il meridiano cerchio, e con più studioso passo cercava l’onde di Speria, quando Giulia misera dintorno a sé, ritornate le forze nel palido corpo, sentì piangere le dolenti compagne, che già i loro danni aveano veduti; alle cui voci subitamente levatasi disse: - Oimè misera, qual è la cagione del vostro pianto? -. E riguardandosi dintorno non vide il caro marito, nelle cui braccia avea perdute le forze degli esteriori spiriti. Allora, non potendo tenere le triste lagrime, disse: - Oimè! or dov’è fuggito il mio Lelio? Ecco se la fortuna ha ancora concedute le ’nsegne al mio marito contra i non conosciuti nimici! -. E dicendo queste parole, quasi uscita di sé si drizzò, e i miseri fati le volsero gli occhi verso quella parte, la quale le dovea mostrare il suo dolore manifestamente; e verso quella mirando, sentì lo spiacevole romore degli spogliatori e vide il secco campo essere di caldo sangue tutto bagnato, e pieno della nimica gente. Allora il dubitante cuore di quello che avvenuto era, manifestamente conobbe i suoi gran danni. Ella non fu dalla feminile forza delle sue compagne potuta ritenere, che ella non andasse tra’ morti corpi sanza alcuna paura; ma come persona uscita del natural sentimento, messesi le mani ne’ biondi capelli, gli cominciò con isconcio tirare a trarre dell’usato ordine. E i vestimenti squarciati mostravano le colorite membra, che in prima soleano nascondere. E bagnando le sue lagrime il bianco petto, sfrenatamente sicura contra’ nemici ferri, incominciò a cercare tra’ morti corpi del suo caro marito, dicendo alle sue compagne: - Lasciatemi andare: e’ non è convenevole che così valoroso uomo rimanga ne’ lontani campi alla sua città, sanza essere lagrimato e pianto. Poi che la fortuna gli ha negate le lagrime del suo padre e de’ suoi parenti e del romano popolo, non gli vogliate anche torre quelle della misera moglie -. E andando ella per lo campo piangendo e sprezzando le sue bellezze, molti corpi morti con le propie mani rivolgea per ritrovare il suo misero marito, ma i sanguinosi visi nascondeano la manifesta sembianza allo ’ntelletto. E poi che ella molti n’ebbe rivolti, riconosciuto alle chiare armadure il suo Lelio, il quale di molti morti nimici morto attorniato giacea, quivi sopr’esso semiviva piangendo cadde; e dopo picciolo spazio drizzatasi, piangendo amaramente s’incominciò a battere il chiaro viso con le sanguinose mani e a graffiarsi le tenere gote. E aveasi già sì concia, che tra ’l vivo e ’l morto sangue che sopra il viso le stava, non Giulia, ma più tosto uno de’ brutti corpi morti nel campo parea. Ella non si curava di bagnare il suo viso nell’ampie piaghe di Lelio, anzi l’avea già quasi tutte piene d’amare lagrime. Ella spesse volte il baciava e abbracciava strettamente, e nell’amaro pianto, riguardandolo, diceva così: - Oimè, Lelio, ove m’hai tu abandonata? ove m’hai tu lasciata? Tra gente araba diversa da’ nostri costumi, de’ quali niuno io non conosco! Almeno mi facesse Giove tanta di grazia, che la loro crudeltà fosse con le loro mani operata in me, come elli l’operarono in te; ma il feminile aspetto porta pietà in quelli petti ov’ella non fu mai. Almeno sarei io più contenta che la mia anima seguisse la tua ovunque ella fosse, che rimaner viva nella mortale vita dopo la tua morte. Deh! perché non fu licito al tuo virile animo di credere al feminile consiglio? Certo tu saresti ancora in vita, e forse per lungo spazio saremmo lieti insieme vivuti. Deh! ove fuggì la tua pietà, quando tu in dubbio di morte nelle feminili braccia mi lasciasti di lungi alle tue schiere? Come non aspettasti tu che io almeno t’avessi veduto inanzi che tu fossi entrato nell’amara battaglia, e che io con le propie mani t’avessi allacciato l’elmo, il quale mai per mia voglia non sarebbe stato legato, perché io conoscea sola la fuga essere rimedio alla nostra salute? Oimè dolente, quanto è sconvenevole cosa di volere adempiere l’uomo i suoi disideri contra ’l piacer di Giove! Noi desiderammo miseramente i nostri danni quell’ora che noi domandammo d’aver figliuoli, i quali se convenevole fosse suto che noi dovessimo avere, quella allegrezza Giove sanza alcun boto ce l’avrebbe conceduto. O iniquo pensiero e sconvenevole volontà, recate la morte in me, che non l’ho meno meritata che costui; o almeno, o dolorosa fortuna, mi fosse stato licito di pararmi dinanzi a’ crudeli colpi, i quali costui innocente sostenne, sì com’io avea di grazia adimandato! Omai non è al mio dolore niuno rimedio se non tu, morte! La quale io sì come misera priego che tu non mi risparmi, ma vieni a me sanza niuno indugio. Tu non dei omai potere più esser crudele, e massimamente a’ prieghi delle giovani donne, in tal luogo se’ stata! Deh! piacciati inanzi di farmi fare compagnia ne’ miseri campi al mio marito, che lasciarmi nel mondo essemplo di dolore a quelli che vivono. Uccidimi, non indugiar più! Oimè dolente! come i’ ho malamente seguito con effetto il perfetto amore della mia antica avola Giulia, la quale, poi che vide i drappi del suo Pompeo tinti di bestial sangue, temendo non fosse stato offeso, costrinse l’anima di partirsi dal misero corpo, subitamente rendendola a’ suoi iddii. Oh quanto le fu prosperevole il morire, però che morendo poté dire: "Io non vedrò quella cosa la quale per dolore mi conducerebbe a maggior pena, e poi a morte, ma morendo vincerò il dolore". E io, misera!, davanti agli occhi miei veggio il mio dolore, e non m’è licito di morire, né posso cacciar da me la misera anima, la quale per paura sento che cerca l’ultime parti del cuore, fuggendosi dalla mia crudeltà. Oimè, morte, io ti domando con graziosa voce, e non ti posso avere! Certo la tua signoria è contraria del tutto agli atti umani, i quali i disprezzatori delle loro potenze s’ingegnano di sottomettersi, risparmiando i fideli: e tu coloro che più ti temono crudelmente assalisci, dispregiando gli schernitori della tua potenza lungamente, e di questi sempre più tardi che degli altri ti vendichi. Oh quanto è misero colui che così comunal cosa, come tu se’, gli manca ad uno bisogno! -. Ella, piangendo, più volte con aguti ferri caduti per lo campo si volle ferire il tenero petto, ma, impedita dalle compagne, non potea. Poi si voltava agli aspri rubatori e dicea: - Deh! crudeli cavalieri, i quali sanza alcuna pietà metteste l’agute lance per l’innocente corpo, deh!, ammendate il vostro fallo tornando pietosi: uccidete me, poi che voi avete morto colui che la maggior parte di me in sé portava! Fate che io sia del numero degli uccisi! Questa pietà sola usando vi farà meritar perdono di ciò che voi avete oggi non giustamente adoperato -. E dette queste parole, ritornava a baciare il sanguinoso viso; e di questo non si potea veder sazia, anzi l’avea già quasi tutto con le amare lagrime lavato, e piangendo forte sopr’esso si dimorava dolente.