Libro primo - Capitolo 12
Poi che questo tutto fu fatto, e il giorno, il quale segretamente avea proposto di movere col suo essercito, fu venuto, egli comandò che divoti sacrificii s’apparecchiassero a Marte, acciò che la sua deità, la quale verso loro parea indebitamente crucciata, sacrificando si mitigasse; e esso personalmente volendo sacrificare acciò che il suo andare prosperamente si dirigesse verso i suoi nemici, andò al sacrato tempio davanti agli altari di Marte, la cui effigie riguardando per più effettuosamente porgere pietosi prieghi, vide bagnata di novelle lagrime, le quali non poco dubbio gli porsero. Ma poi, imaginando che Marte per compassione de’ suoi danni avesse lagrimato, alquanto riprese conforto, e fatto venire un giovane toro per volerlo sopra i detti altari sacrificare, disse così: - O vera deità, la quale a’ nostri danni hai mostrata lagrimando vera compassione, ricevi i nostri volontarii sacrificii, i quali presenzialmente ti facciamo, e con lieto viso ne porgi speranza di prosperevole andata -. E dette queste parole, ferì lo ’ndomito toro, il quale, sì tosto come sentì la puntura del freddo coltello, per duolo sì forte si scosse, che uscito delle mani di coloro che ’l teneano, furiosamente fuggì verso i marini liti d’occidente, il suo sangue spandendo, allungandosi, e torcendo i passi da quella parte onde i nimici, secondo il falso detto, doveano il reame avere assalito.