Favole (La Fontaine)/Libro quarto/VII - La Scimia e il Delfino

Libro quarto

VII - La Scimia e il Delfino

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro quarto

VII - La Scimia e il Delfino
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Era fra i Greci usanza
e Cani e Scimie di condur sui mari
per gioco ai marinari.
Accadde che un navilio
un dì con questa bella comitiva
non lungi dalla riva
di Atene naufragò.

Tutti morti sarian, se in quel momento
un buon Delfino (il qual secondo Plinio
ha per gli uomini un certo sentimento)
non ne traeva alcuni in salvamento,
fra gli altri anche una Scimia
che in groppa gli saltò.

Ingannato il Delfin dalla sembianza,
accolse il Bertuccione
con tanta gravità, che in lontananza
parea veder l’imagine di Arione.

- Sei tu d’Atene? - il buon Delfin dimanda,
mentre al porto si avvia.
- D’ Atene per servirti, - a lui la Scimia
risponde, e per far grossa la bugia:
- Son molto conosciuto alla città, -
soggiunge, - e conto assai
fra quelli della prima nobiltà:
posso raccomandarti ad un cugino
ch’è giudice di Stato.

- Ti son molto obbligato, -
risposele il Delfino,
- e allor, suppongo, ti sarà presente
anche il Pireo. - Cospetto, egli è dei prossimi
illustri miei parenti il più parente -.

Quel brutto bertuccione aveva il torto
di confondere un uomo con un porto.

Pazienza, ma conosco ancor dei musi,
forse di lui più belli,
che discorron di tutto ad occhi chiusi
e cambian le montagne in fiumicelli.

Quando il Delfin si accorse a qual bel tomo
avea prestato il dorso,
me lo tuffò nel mar e il suo soccorso
offerse a un galantuomo.