(Alla signorina De Sillery)
Se il Boccaccio mi tolse un giorno al dolce
Esopo mio, novella ecco mi toglie
ad entrambi una Musa assai gentile,
che alla fonte natia mi riconduce.
Come dire di no, quando divina
è la musa e di tal beltà vestita,
che sui cuori sovrana alza lo scettro?
Or sappia il mondo che a cantar mi tragge
ancora messer Lupo e monna Volpe
l’unica Sillery, vaga donzella,
a cui tutti si prostrano devoti.
Chi dice Sillery nulla gli resta
d’aggiungere di poi che non sia vano.
Essa si duol che a lei sfugga il segreto
spirto de’ miei Racconti (a dolce sguardo
è ben che ignudo il ver non apparisca)
onde ancor canterò, ma sol per essa,
ciò che davanti a lei senza commento
possa tornar più volte e senza offesa.
Vengano prima i miei pastori e poi
ben io saprò sulla modesta lira
di capri e lupi concertar le voci.
Tirsi diceva ad Amaranto un giorno:
- Conosco un mal, mia cara, un mal sì dolce,
che vince ogni altro ben sopra la terra
ne’ suoi misteriosi incanti. Or vieni,
se di Tirsi non hai dubbio e paura,
e lascia che conoscere ti faccia
questo mal, questo bene. E non son io
il più fedele e il più sincero amico
di quanti hanno per te malato il cuore? -.
Disse Amaranto: - E qual nome gli fanno
a questo mal che dici?
- Amor.
- Amore?
È un bel nome davver. E a quali segni
presentirlo potrei, qual è il tormento?
- Son pene al cui confronto anche i più grandi
passatempi dei re, stupidi giochi
diventan. Tu vaneggi in una blanda
estasi in mezzo ai boschi. Il ruscelletto
luccica sempre in una vaga imagine
tremolante che a te non rassomiglia
e t’insegue dovunque ove tu fugga;
per ogni cosa è cieca la pupilla
fuor di quella parvenza. Il nome, il nome
d’un pastorel, la voce sua, l’idea,
d’una fiamma improvvisa il volto accende.
Sospiri, se di lui pensi, e non sai
perché sospiri, ma per lui sospiri,
incontrarlo vorresti e in un lo temi.
- E questo mal? - allor disse Amaranto; -
o mio buon Tirsi, è un pezzo ch’io lo provo -.
Tirsi sperò d’essere giunto in porto,
e corse a lei, che subito soggiunse:
- Io lo conosco, è il mal che sento in core
per Clidamante-.
Ahi disgraziato Tirsi!
ché di vergogna non moristi e d’ira?
Molti son come lui semplici e stolti,
che, giocando alla sorte, ahi! troppo tardi
s’avvedono di fare il giuoco altrui.