A discrezion non metterti dei matti,
un consiglio più bello non si dà,
e per quanto tu veda i mentecatti,
gli stolidi, gli scempi
goder presso le corti autorità,
non sono buoni esempi.
Un Matto iva gridando per i vicoli
ch’ei vendeva per poco la Sapienza
e ciascuno correa per farne compera.
Ei dopo aver provato la pazienza
d’ognun di lor con infinite smorfie,
dava loro uno schiaffo e per il prezzo
un filo lungo più d’un braccio e mezzo.
Se alcun mostrava stizza e meraviglia,
gli regalava il resto del carlino.
Altri più saggi invece preferivano
rider di sé, del filo e del meschino,
e mogi e cresimati se ne andavano,
ché a cercar la ragion nell’opinione
dei matti perdi il tempo e la ragione.
È il caso che ragiona e parla ed opera
nei cervelli balzani. E tuttavia
un di questi burlati, che nei simboli
crede, e suppon che un senso anche ci sia
nello schiaffo e nel fil di quello stolido,
va in cerca di un filosofo men pazzo,
perché, se può, lo tragga d’imbarazzo.
- Son geroglifi, - a lui dice il filosofo, -
che nascondono un saggio avvertimento,
e questi schiaffi e questo fil dimostrano
che in fondo il matto è un matto di talento.
Tra i savi e i matti ei vuole che lo spazio
corra di questo fil, o avranno i savi
certe carezze ahimè! poco soavi.